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FISH: Lettere 23 giugno 2003
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1. FISH: Lettere 23 giugno 2003
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Organi di Stampa
Loro Sedi

La Fish ha inviato al Ministro per l’Istruzione la seguente lettera.

Oggetto: Richieste per la riunione dell’Osservatorio Miur del 1 luglio 2003

La FISH, che ha riunito il proprio Osservatorio sull’integrazione scolastica il 7 giugno scorso, prende atto con soddisfazione che il Ministero dell’Istruzione ha convocato la riunione del suo Osservatorio proprio all’inizio del semestre di presidenza italiana del Unione Europea.

La circostanza è di buon auspicio, perché così il Sottosegretario On.Aprea, che si era riservato di dare delle risposte alle pressanti richieste delle associazioni il 14 febbraio in occasione dell’apertura dell’Anno Europeo delle persone con disabilità, sicuramente vorrà sciogliere positivamente le riserve e fornire alcune proposte operative o concordarle con le associazioni.

A titolo esemplificativo si richiamano le richieste ed i quesiti formulati dalle associazioni nel documento preparatorio ed in quello conclusivo del convegno di Bari e nelle numerose lettere inviate successivamente dalla Fish al MIUR, su problemi concreti quali:
- bozza di decreto per le deroghe nel sostegno didattico;
- decreti attuativi della riforma Moratti;
- aggiornamento degli insegnanti curriculari per evitare la delega dell’integrazione ai soli insegnanti per il sostegno;
- aggiornamento delle migliaia di insegnanti non specializzati, nominati per il sostegno;
- aggiornamento dei Dirigenti scolastici sugli aspetti organizzativi e giuridici concernenti la qualità.

Cordiali saluti.

Roma 23 giugno 2003


Il Presidente
Pietro Vittorio Barbieri

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Al Direttore di
Panorama
Carlo Rossella

e p.c. Alle organizzazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie

Loro Sedi

Carissimo Direttore,
chi le scrive è disabile ed ha l’onere e l’onore di presiedere una Federazione che raggruppa 32 associazioni nazionali di persone con disabilità e delle loro famiglie, impegnate da anni nella promozione dei diritti umani e civili a partire dalla non discriminazione
E’ difficile parlare di diversità e comunicare in maniera corretta la vita delle persone con disabilità.
L’Unione europea non si è mai sognata di intitolare un anno intero all’handicap, non fosse altro perché esso identifica l’ostacolo fisico, sociale e psicologico che si frappone tra la persona e la sua piena partecipazione alla vita della nostra società. Ha un’accezione assolutamente negativa che sottolinea ancora la differenza, la distanza.
Come vede, non intendo semplicemente fare dei distinguo lessicali ed etimologici.
E’ sostanza, in carne ed ossa. Infatti l’Unione Europea ha intitolato l’anno europeo alle persone con disabilità, laddove l’individuo è il centro senza speculazioni parossistiche sulla sua condizione fisica, mentale o sensoriale, bensì accentuando la diversità. Ebbene si, non tutti rientriamo nello stereotipo da copertina di rivista patinata, tanto meno nell’immagine fumettistica proposta da Panorama.
I meccanismi della comunicazione li conosciamo e li usiamo biecamente se necessario. Sappiamo benissimo che Panorama intendeva colpire, sollevando un polverone: i ben pensanti saranno inorriditi, intimamente urtati e feriti nella loro normalità borghese. Ma a quale prezzo?
Parlare di “ombre compiante”, mostrare enormi deformità ed accennare solo accidentalmente ai temi dell’Anno Europeo, offende pesantemente le centinaia di migliaia di persone con disabilità e le loro famiglie, che contribuiscono quotidianamente al benessere collettivo, ad immaginare e realizzare una società basata sulla tolleranza e ad evitare impulsi estremi di auto ghettizzazione. Non vuole essere un’affermazione politica, bensì intende esprimere il sentimento di persone con disabilità, familiari, operatori e tecnici, hanno provato di fronte al servizio di Panorama. Più che trattare la diversità, si è seguito il clichè della stampa scandalistica: sbatti il mostro in prima pagina e vendi copie.


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Il paradosso è nella sequenza delle pagine: nella copertina vi è un riquadro con un viso, nella prima pagina l’immagine intera che ritrae una donna focomelica nuda e nella seconda e terza una pubblicità patinata di abbigliamento che ritrae due modelli. La sensazione è prima di curiosità, poi di orrore e compassione, e poi di sollievo per il ritorno alla “normalità”.
Lo è per me che di persona con disabilità ne ho viste diverse, figuriamoci per un comune cittadino. Peggio di così ….
Voglio però concedere il beneficio del dubbio: immagini forti ma non censurabili e l’intenzione di affrontare seriamente il tema delle diversità, seppure con errori tipici del giornalismo tuttologo. Se così dovesse essere, caro Direttore, sarebbe necessario contestualizzare le immagini e raccontare della disabilità in maniera diversa, ma con lo stesso spazio e la stessa enfasi.
Non chiedo quindi che questa missiva sia pubblicata, La sollecito a fare un altro servizio ed un’altra prima pagina, magari in occasione della Conferenza di chiusura del 2003, offendo ai lettori la sfida della “normalità” da parte di persone con disabilità.
Ma prima sarà necessario attivare forme di confronto per evitare errori grossolani di comunicazione.

Roma 23 giugno 2003

Il Presidente
Pietro Vittorio Barbieri

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da Panorama
20/6/2003

2003, ANNO EUROPEO DELL'HANDICAP: GENTE FUORI DEL NORMALE

Elogio della diversità

di Stella Pende

L'uomo senza braccia, la donna barbuta, le sorelle siamesi. Deformità gravissime che non hanno impedito a tanti uomini e donne di affermarsi nella vita e superare tutte le barriere. A cominciare da quelle sociali.



Il busto di una donna nuda poggiato sul capitello come la statua di una dea romana finalmente viva. Capelli corti, occhi maliardi, seno perfetto. Niente braccia: come un respiro mozzato. Un omone con il corpo coperto di pelliccia nera. Sì, di pelliccia: la faccia, le braccia, tutto. Un lupo mannaro on the road. Un torerino alto un metro scarso e accanto a lui la testa di un toro, sei volte più grande di lui. Un negro sbiadito, schizzato di macchie nere come lapilli di una pestilenza che non si arrende. Infine un bambino con un occhio azzurro e al posto dell'altro solo una caverna di carne.

Mostri moderni? Nient'affatto. L'incredibile reportage fotografico sull'handicap dei francesi Virginie Luc e Gerard Rancinan è elogio puro e travolgente della diversità. È partecipazione e comprensione di queste forme e di queste vite speciali incontrate. È abbraccio stretto a questi corpi mancati e ai loro difetti fisici.
Rancinan ci mostra foto e ritratti che solo al primo sguardo sembrano scioccanti, poi basta vedere per capire che non c'è voyerismo, né pietà. «È stato un viaggio appassionato nella diversità che ha tatuato la nostra esistenza. Che ci ha reso irriducibili della vita come quelli che abbiamo intervistato e ritratto. Dopo di loro non saremo più capaci di barare»

Virginie e Gerard hanno incontrato 25 portatori di handicap lavorando quasi due anni a questo progetto perché fosse pronto proprio nel 2003, cioè nell'anno dell'handicappato. Le foto e le storie sono come un dardo che sfreccia nel cielo dell'indifferenza e dell'ignoranza di noi tutti. Hervé, l'uomo tronco dai capelli lunghi come la coda di un cavallo, Del o Della l'ermafrodito dai seni pelosi, Lori e Reba sorelle siamesi incastrate una all'altra dai lobi frontali, Alison e gli altri raccontano vite attraversate dal dolore, certo. Ma non sono emarginati, né avanzi della società. Anzi: fatalmente la deficienza fisica diventa la loro sfida per rispondere alla vita. Anne Cecile Lequiem, una volta bambina amputata per meningite di quattro arti e oggi campionessa di nuoto, dimostra che l'impotenza può diventare una ragione per vincere. Anne è bella, nuota come una sirena spezzata ma è sempre armonica e guizzante. Dice: «Si diventa quello che si vuole essere».

Un'eco raccolta da Alison Lapper, la donna busto che è riuscita ad avere un figlio e un lavoro di pittrice conosciuta. «Sono stata una bambina addolorata ma oggi non ho complessi, anzi. Essere come sono è stata una vera chance». Allison dice che non è giusto mettere gli invalidi al di sopra o al di sotto degli uomini. «Chiamarci mostri o angeli è recitare lo stesso insulto: è metterci comunque fuori dal mondo. Io sono una donna, sessuale, forte e debole come tutte le donne. Oggi inoltre so che il mio corpo è bello. Che posso essere attraente forse più di una donna perfetta». Le immagini le danno ragione.

Questo suo corpo unico sprigiona sensualità e forza. Guardando la curva delle sue spalle sole non senti nostalgia di braccia. È lei che ti ricorda che la bellezza vera nasce da una dissonanza, da una mancanza.

Forse perfino da un‘abbondanza. Deb Teighlor, 250 chili, dopo anni di umiliazioni e di inutili diete, oggi fa la modella fenomeno. «Non potevo continuare a vivere nascosta nell'oblio del mio corpo. Oggi vinco proprio perché sono immensa». E nella sua immensità e nella sua ciccia mette pure il dolore, le umiliazioni che improvvisamente ha saputo trasformare in vita.

Di gente handicappata ne ho incontrata parecchia. Negli anni sempre di più. Pensavo al caso, al mestiere. Poi ho capito che ero io a cercarli perché ogni volta in quegli esseri mancanti trovavo qualcosa che mancava agli altri: non solo il coraggio di vivere ma anche quello di essere felici. La consapevolezza di sapere che l'intensità fa rima con la fragilità e che anche una vita corta può essere piena. Una volta ho raccontato la storia di Maria, grande bambina di 6 anni. Aveva una rara malattia che non le faceva crescere gli organi, ma dipingeva quadri che le avevano fatto vincere molti premi. Una pittrice nata. L'ho rivista a 11 anni che moriva. Mi ha sorriso dal suo letto di ospedale e mi ha detto: «Non soffrire per me. Ho vissuto abbastanza per capire che ne valeva la pena. Pensa a mia madre: lei non ci crederà». Sua madre è morta sei mesi dopo di lei. Era una donna normale: il dolore l'ha schiantata.
Al di là di Maria, bisogna essere proprio manichei per credere che la differenza è sempre un handicap. Molti fra questi esseri speciali incontrati sono infatti uomini, donne o addirittura ragazzi di successo. Capaci di trasformare la forza del dolore e dell'infelicità in energia positiva. «Da ragazzina detestavo essere guardata. Mi sentivo un fenomeno da baraccone e passavo la vita tappata in casa. Poi ho capito che il mio handicap poteva essere una vetrina. Allora ho cominciato a usarlo come esca. Finalmente la gente si accorgeva di me e della mia intelligenza. Se fossi stata normale, come si dice, non sarei certo dove sono». Parole di un'amica molto piccola che oggi nel suo lavoro è davvero importante.
Per non parlare di Enzo che a 16 anni, potendo muovere solo la bocca, è diventato un'autorità come esperto di computer.

In un mondo dove genetica e chirurgia sfornano a tempo pieno mostri perfetti, questi mostri naturali non finiranno per caso per essere più vicini all'umanità di molti altri?
Intanto Quentin Tarantino, come pare, sta preparando un film dove la protagonista è il clone di una dea della moda che si innamora furiosamente di un uomo minimo. E dove il nano uomo la fa soffrire e correre perché lui è tutto vero e lei tutta finta. Del resto tornando al reportage di Virginie e di Gerard, e anche alle mie storie, si trova sempre un segno comune: il rifiuto totale di lasciare l'ultima parola alla natura.

«Quando ho capito che potevo comandare il computer con la bocca, che ce l'avevo fatta, sono stato così felice da credere per un attimo di essere diventato immortale» mi aveva detto Enzo, che dalla sua sedia a rotelle con un pulsore in bocca viaggiava su internet come un acrobata della Rete. E io, accanto a lui, per un attimo, avevo sperato la stessa cosa. «Pensi che sono pazzo, di' la verità!». No, non ho mai pensato che quel ragazzo cancellato nel corpo, ma travolgente nei desideri, fosse pazzo. Perché per lui sperare aveva voluto dire vincere. Perché la volontà di questi esseri, che stupidamente crediamo inferiori, è quasi sempre un destino compiuto.
Destini e vite ignorati dai molti, soprattutto in Italia. Per onorare l'anno dell'handicappato a Bari c'è stata la Conferenza nazionale dell'handicap. Con difficoltà sono arrivate nella città pugliese più di 3 mila persone tra operatori e disabili. Ebbene, chi ne ha parlato? Pochi. Pochissimi. Salvo qualche brandello di telegiornale, nulla.
Si fa un gran parlare di aiutare l'handicap, di accettarlo. Ma poi quando la carrozzella è vicina di ombrellone si scappa a gambe levate, se il Down di turno passa per strada lo guardi e non lo vedi. O lo guardi troppo. La verità è che senza lirismi facili questi uomini e queste donne diversi sono la nostra sconfitta umana. La prova della nostra miseria e non della loro.
Non possiamo accettare, ingigantiti negli altri, i difetti che temiamo di avere. Le differenze che potrebbero colpirci. E più i difetti sono atroci, più il rimorso li fa intollerabili. «La mia sofferenza non è che la vostra» mi diceva in un'intervista una ragazza senza braccia. «Io sono sempre stata così. Non ho mai sognato le braccia. Sei tu che stai male guardandomi. Non io».

In Italia ci sono 3 milioni di handicappati. Tre milioni di ombre compiante ma non considerate. Parliamo dell'avvenuta riduzione degli insegnanti di sostegno nelle scuole, delle compagnie aeree italiane che non possiedono né preparano servizi per l'handicap, delle solite barriere architettoniche. Ma anche delle barriere più alte: quelle del cinismo e dell'imbarazzo condite dall'idiozia.
Nati due volte è il titolo del più bel libro di Giuseppe Pontiggia dove lo scrittore racconta per la prima volta del figlio Paolo. «I bambini disabili possono nascere due volte: la prima li vede impreparati al nostro mondo, la seconda è affidata all'amore e all'intelligenza degli uomini».
Quanti bambini diversi potranno diventare come i protagonisti vincenti di Virginie Luc e Gerard Rancinan? Quanti uomini, quante donne potranno aiutarli a rinascere?
Di sicuro c'è che quando incontri un bambino diverso (speciale?) è sempre lui il primo a lanciare qualche passerella tra il suo cuore e il nostro. «Per farci scoprire» come dice Virginie Luc «la tenerezza infinita degli angeli, la ferocia del dolore, la natura segreta dell'amore».


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Date: 23 Jun, 2003 on 20:29
FISH: Lettere 23 giugno 2003
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