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DON MILANI Il santo eretico che cambiò Montanelli
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1. DON MILANI Il santo eretico che cambiò Montanelli
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da Il Corriere della Sera
Domenica, 16 Settembre 2001

RETROSCENA Una nuova biografia del parroco di Barbiana contiene una lettera inedita del giornalista che sul «Corriere» lo aveva attaccato ma in privato gli chiedeva scusa

DON MILANI Il santo eretico che cambiò Montanelli


Indro Montanelli e don Lorenzo Milani, incontro che non ci fu. Uno, laico anticomunista e giornalista scettico; l’altro, prete tentato dalla politica e profeta apocalittico con lampi di santità: dialogo, sin dall’inizio, impossibile. E invece no, il colloquio avvenne. Però su carta: e questo forse evitò a due caratteri infiammabili, messi a contatto, di prendere fuoco. Dapprima ci fu un articolo di Montanelli sul «Corriere», il 28 dicembre 1958 (ne pubblichiamo un brano in questa pagina). Poi, nel gennaio successivo, una lettera privata di Montanelli all’allora parroco di San Donato, sepolta fino ad oggi negli archivi, e rivelataci dal giornalista Maurizio Di Giacomo in un saggio biografico appena pubblicato («Don Milani», editore Borla, 401 pagine e 40 mila lire, con la lettera che qui è pubblicata integralmente). E infine, tanti anni più tardi, nel 1994, quando don Milani era morto da un pezzo e Montanelli dirigeva la «Voce», poche righe finali, come di congedo verso un personaggio insieme stimato e respinto.
Se la prima e l’ultima testimonianza erano state pubblicate, la seconda fino ad oggi mancava: e ora, nel leggerla, ci rendiamo conto del rapporto speciale che esistette fra due protagonisti del dibattito politico-culturale del Novecento. Montanelli, in sintesi, chiarisce di aver scritto tutto quanto poteva in favore di don Milani, e di avere anche «forzato entro un certo limite» la linea del giornale per evitare che le sue parole suonassero come stroncatura e condanna. Ammette di «aver voluto dire di più e di meglio» e si scusa per non esserci riuscito (anche se a oltre quarant’anni di distanza il suo articolo sul «Corriere» del dicembre ’58 sembra cogliere con finezza il nocciolo della posizione di don Milani). Si preoccupa di tenere aperta una porta al dialogo, invitando il «prete scomodo» a casa sua. Ma, soprattutto, descrive con disarmante sincerità la perplessità e l’imbarazzo che suscita in lui il pensiero del sacerdote destinato alla fama come «priore di Barbiana».
Montanelli ammette di essere razionalmente d’accordo con il Sant’Uffizio, che poco prima aveva ordinato il ritiro di un libro di don Milani, «Esperienze pastorali», già denso di tutti i temi tipici del suo credo pedagogico e politico; ma confessa di esserne allo stesso tempo turbato, come chi viene scosso nella sua prudenza, pigrizia, amor del quieto vivere e trasferisce l’angoscia nell’insofferenza verso il «profeta di sventura».
La pubblicazione di questa lettera inedita è dunque la chiave per comprendere il dialogo a distanza fra i due. Don Milani aveva trasformato il suo apostolato fra i ragazzi poveri, nell’esilio di un’anonima parrocchia nella campagna toscana, in chiamata di correo per la Chiesa, il capitalismo, il moderatismo, il conformismo, l’ipocrisia borghese, la scuola di classe, eccetera. Di lì a poco, nella celebre «Lettera a una professoressa», avrebbe sostenuto che la scuola dell’obbligo «non poteva bocciare», e una parte dei sessantottini l’avrebbe preso a modello. Per il momento tuttavia, nelle «Esperienze pastorali» recensite da Montanelli, si limitava a evocare l’allegoria di un Occidente impigrito e scristianizzato, destinato a subire una probabile vendetta di classe del proletariato, e chissà, un giorno forse riconvertito alla vera fede da qualche missionario russo o cinese.
Singolare inattualità, dunque, quella del «priore di Barbiana»: ma non è difficile cogliere in quel suo rifiuto delle gerarchie e delle ideologie collettiviste che impongono scelte dall’alto, un serpeggiante fuocherello di attualità. Proprio quello che turbava la «metà migliore» di Montanelli; consentendo tuttavia all’«altra parte» di denunciare le «baggianate che non val neanche la pena di confutare», cioè i catastrofismi e la scelta mistico-proletaria, affine a quella di La Pira.
La storia successiva, si sa, ha poi seguito altre strade. L’incontro fra Montanelli e don Milani (che conservò e annotò gelosamente gli scritti a lui dedicati dal suo interlocutore) alla fine non ci fu. Così avrebbe poi commentato Montanelli nel ’96, quando le passioni erano ormai spente: «Il mio dissenso fu corretto, se non annullato, da una profonda ammirazione umana. E, ora che è morto, mi chiedo cosa aspetti la Chiesa a farlo santo».

Dario Fertilio

Il libro di Maurizio Di Giacomo, «Don Milani», editore Borla, 401 pagine e 40 mila lire, euro 20,65

Queste sono baggianate che mi mettono in allarme


L’articolo, di cui pubblichiamo uno stralcio, è apparso sul «Corriere della Sera» il 28 dicembre 1958 con il titolo «L’apocalisse di don Milani»
Sarei ipocrita se non dicessi che questo verdetto mi ha alquanto rassicurato. Ma lo sarei ancora di più se non aggiungessi che me ne vergogno un po’. Non perché - badate - condivida le pretese classiste di don Milani, secondo cui, di cristiano, o di suscettibile di diventarlo, non c’è che il proletariato. Queste sono baggianate, che non vale neanche la pena di confutare. Ma perché, a rallegrarsi, sono stati i miei sentimenti meno nobili: la prudenza, la pigrizia, l’amor del quieto vivere, che il libro di don Milani aveva messo in allarme. Egli dice senza dubbio molte cose assurde: quelle che gli hanno valso appunto la condanna del Sant’Uffizio.
Ma riapre dei conti e ripropone dei problemi cui la mia coscienza di cattolico italiano è piuttosto impreparata e renitente. Non per nulla appartengo alla razza che poco meno di cinquecent’anni fa prese il don Milani di turno, quello più grosso di tutti, lo legò su una catasta di legna e le diede fuoco. Appunto perché disturbava non la quiete pubblica, ma quella privata.
I. M.

Però con metà di me stesso io resto dalla sua parte


Pubblichiamo qui di seguito la lettera finora inedita, che ora compare nel volume di Maurizio Di Giacomo su Don Milani. La lettera, datata gennaio 1959, era scritta a mano su carta intestata del «Corriere della Sera».
Caro Don Lorenzo,
avrei voluto dire di più e di meglio. Ma il mio giornale ha delle esigenze, che io posso ogni tanto forzare (e nel caso del suo libro l’ho fatto), ma non oltre un certo limite.
Forse lei non si rende conto di aver messo il dito su una piaga terribile. E quindi capisco la reazione che ha provato. Io sono con una metà di me stesso (la migliore, temo) dalla sua parte. E con l’altra, col S. Uffizio. Però sono contento che lei esista e pensi e scriva a quel modo. Anche se d’ora in poi dovrò farle ancora delle critiche, si ricordi che lo faccio senza credervi e trepidando per lei e pregando Dio di darle tanti dolori e sacrifici quanti ne occorrono per rendere perentorio il suo insegnamento.
Conto di venire un giorno a trovarla costassù, se ce la lasciano. Se lei viene a Roma (ma che ci verrebbe a fare?), si ricordi di me. Abito in Pza Navona 93 e il mio telefono è: 655815.
Suo, con molta amicizia
I. M.

Un prete contro


1923
Lorenzo Milani nasce il 27 maggio a Firenze

1941
Concluse le scuole superiori si dedica alla pittura

1947
È ordinato sacerdote e viene destinato a San Donato di Calenzano. Qui fonda la scuola popolare

1954
È nominato priore di Sant’Andrea a Barbiana, minuscolo centro sopra Firenze. Anche qui fonda una scuola

1958
Pubblica Esperienze pastorali, in cui parla dell’importanza di costruire un rapporto con la classe operaia. Il Sant’Uffizio ordina il ritiro dal commercio dell’opera.

1967
Dopo essersi occupato tra le polemiche di obiezione di coscienza, pubblica nel ’67 Lettera a una professoressa, in cui critica il classismo del mondo scolastico . Muore a Firenze il 26 giugno dello stesso anno


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Date: 16 Sep, 2001 on 07:51
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