PERCHE’ SALVARE L’ISTRUZIONE PUBBLICA
La concorrenza avvilisce la scuola

di Giuseppe Sergi

NEL dibattito sulla scuola privata si ascolta un «liberismo irrealista» che apre il solito libro dei sogni di chi crede che la competizione risolva tutto (come Angelo Panebianco in un editoriale sul Corriere della Sera, l’altro giorno). In realtà finora le scuole private sono state il rifugio dei laureati che non superavano i concorsi statali; in esse l'insicurezza del posto e la modestia dei compensi hanno sempre reso «flessibile» (che anticipazione!) e raramente qualificata la presenza di insegnanti. L'hanno sempre ammesso tutti. Dove stanno le garanzie che in futuro non sia più così? Nei servizi la privatizzazione migliora il rapporto qualità-prezzo, non altro: si pensi alla concorrenza fra le compagnie aeree nazionali statunitensi che causa enormi problemi di sicurezza; alla privatizzazione delle ferrovie britanniche e ai suoi guai (Ken Loach vi ha ora ha dedicato un film).

Si pensi per l'Italia ai telefoni: tutti abbiamo bollette meno care ma abbiamo un servizio peggiore. Per la scuola, con il solito provincialismo, si invocano modelli stranieri. Ma all'università si sono già fatte constatazioni che l'opinione pubblica ignora. Lo scambio «Erasmus» ci ha fatto conoscere studenti inglesi, francesi, spagnoli con misere basi culturali, mentre i colleghi stranieri ci scrivono entusiasti dei più modesti dei nostri studenti. E l'autonomia degli atenei?

Qualcuno era convinto che la concorrenza avrebbe indotto ogni università ad accaparrarsi i docenti migliori: invece da tre anni i concorsi hanno in più di 9 casi su 10 premiato candidati locali, raramente i più titolati. Del resto per attrarre iscritti funziona meglio far pubblicità a «contratti» provvisori con celebrità ben lontane dal mondo della ricerca. D'altronde a che servirebbe, a uno studente povero di Trento, sapere che la sede universitaria migliore per i suoi interessi è nel Sud dell'Italia? A nulla, perchè in assenza di un sistema capillare di borse di studio si iscriverà – giustamente - all'ateneo della sua città: ovvio, quando si legge che un alloggio per studenti a Bologna costa dalle 500.000 alle 800.000 lire di affitto mensile! E se le scuole sono aziende, come se ne misura la redditività?

Dal numero di iscritti (e qui si è visto di che rozza natura possono essere gli strumenti di attrazione) o dal numero di promossi (e qui basta promuovere di più, senza troppe pretese)? Educazione e cultura hanno bisogno di pluralismo e di diritto allo studio, non degli idoli contemporanei della concorrenza e del mercato. Ma forse piace uno dei sistemi scolastici peggiori del mondo (quello degli USA) che nei primi anni insegna socializzazione e negli anni successivi sembra l'«avviamento» di un'Italietta passata.

La scuola privata ha il brutto «pregio» di non mescolare i ragazzi più abbienti con l'emarginazione e le difficoltà che la scuola pubblica raccoglie. Come andare in clinica privata invece che all’ospedale pubblico. Ma finora, in Italia, in altro senso, «della mutua» sono state le scuole private. Non credo giusto che l'utopistica inversione di rotta la paghino i contribuenti.