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CHI DEVE PAGARE LA SCUOLA PRIVATA
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da La Repubblica
Domenica, 2 settembre 2001

CHI DEVE PAGARE LA SCUOLA PRIVATA

di EUGENIO SCALFARI

NON mi sono affatto stupito (l'ho già scritto domenica scorsa) degli applausi e delle "ola" con i quali fu accolto il discorso sulla scuola privata e le lance spezzate in suo favore della signora Moratti al Meeting ciellino di Rimini: quella platea è clericale quant' altre mai nel panorama della Chiesa italiana e sa bene chi merita l'applauso e chi i fischi e i berci. "Unicuique suum", non è vero?
Né considero sorprendenti gli incoraggiamenti e le difese della linea scelta dal ministro dell'Istruzione da parte di alcuni sedicenti liberali che da tempo si sono messi in servizio permanente o di complemento del governo e che proprio sui temi della scuola hanno concentrato da tempo la loro attenzione in concorde convergenza di pensiero con il Cardinal-Vicario, coi giovanotti di Cl e con tutta quell'ala della gerarchia ecclesiastica che non brilla certo per ampiezza e libertà di vedute.
Questi commentatori mi hanno molto sgridato per aver io osato, a proposito della signora Moratti, "sparate demagogiche e toni di rissa", lei che viceversa al Meeting di Cl si era espressa "con un garbo, un buon senso e una fermezza che le fanno onore". Garbo verso gli interessi del Vaticano e della consorteria delle Opere certamente, fermezza nel puntellare il garbo sicuramente, buon senso non direi proprio. Vogliamo parlarne?
***
L'Istruzione fu uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale di Berlusconi. Per vari motivi: si era determinato un forte malumore nel personale docente contro la riforma Berlinguer, in gran parte per ragioni stipendiali e per il metodo che il ministro aveva proposto come strumento selettivo delle attitudini professionali degli insegnanti. Di fronte alle critiche dei sindacati della scuola e della maggioranza dei docenti, il ministro rettificò, mediò, venne incontro ad alcune richieste nei limiti finanziari di cui disponeva; poi cadde insieme al ministero D'Alema. Credo che ora sarà rimpianto dagli operatori della scuola pubblica e dai loro sindacati, ma ogni giorno ha la sua pena: Berlinguer non piacque, De Mauro neppure, adesso se la vedranno con Moratti.
Comunque, il Polo puntò sul disagio degli insegnanti così come puntò sugli interessi colpiti dalla riforma Bindi della Sanità; ma c'erano altre e più corpose ragioni per cavalcare il tema della scuola da parte della destra: c'era la questione cattolica, il rapporto privilegiato da instaurare con l'ala clericale della gerarchia, l'appoggio da conquistare della Conferenza episcopale.

Il problema del finanziamento pieno degli istituti privati a dispetto della norma costituzionale alimentò dibattiti e convegni. L'argomento fu usato a piene mani per mettere in difficoltà i cattolici del Partito popolare che, va detto, agirono e reagirono con grande dignità nonostante gli ultimatum dell'Osservatore Romano e dell'Avvenire.
Nelle ultime battute della campagna elettorale, che dipingevano la scuola italiana come la vergogna d'Europa e del mondo intero, Berlusconi promise che in caso di vittoria la riforma Berlinguer sarebbe stata immediatamente bloccata ed una controriforma immediatamente messa in pista. Di che genere di controriforma si trattasse non fu detto. Non l'ha spiegato neppure la signora Moratti. Forse perché non lo sa ancora neppure lei.
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Non c'è dubbio che uno dei temi di fondo - prima dei cicli, prima dei programmi, prima della disputa tra pubblico e privato - sia quello del reclutamento e della qualità del corpo insegnante; una qualità che va sistematicamente controllata e aggiornata e che non dovrebbe limitarsi a livello culturaleprofessionale ma estendersi alle capacità comunicative dei docenti. Un insegnante che sia magari un pozzo di scienza ma non sappia entrare in rapporto con i suoi studenti e trasferire ad essi il suo sapere o almeno la curiosità e la voglia di entrarne in possesso, è un cattivo insegnante.
Buoni insegnanti si formano in buone scuole dedicate a creare e selezionare i futuri docenti. Sono processi lunghi ma è su di essi che bisogna investire.
Da questo punto di vista l'autonomia degli istituti, la figura del direttore didattico e del preside, il funzionamento attivo dei consigli di classe e di istituto come strumenti di crescita culturale collettiva del corpo insegnante sono snodi della massima importanza.
I cicli scolastici dovevano servire alla costruzione dei contenitori entro i quali insegnanti e studenti collocano il loro percorso scolastico. Poiché la tecnologia e l'evoluzione sociale hanno notevolmente modificato le modalità di apprendimento dei ragazzi in rapporto alla loro età anagrafica, era ovvio che i cicli tradizionali fossero ripensati. Il ripensamento contenuto nella riforma Berlinguer poteva certo essere ritoccato più o meno profondamente, ma è difficile pensare che i cicli scolastici nel XXI secolo possano esser gli stessi pensati da Giovanni Gentile negli anni Trenta del secolo scorso. Il blocco della riforma - di cui i cicli erano soltanto un aspetto - è stato dunque una pura e semplice operazione politica del tutto priva di quel buon senso di cui il nuovo ministro starebbe dando luminose prove.
***
L'altro tema di fondo è la scelta tra un modello scolastico multiculturale ed un altro profilato da una selezione preliminare. Ne ha parlato diffusamente l'altro ieri Umberto Eco su questo giornale ponendo una serie di questioni di grande importanza.
Una delle questioni riguarda i criteri di selezione preliminare adottati dagli istituti privati (quelli pubblici prevedono il libero accesso degli studenti e quindi una selezione preliminare è esclusa per definizione).
Un criterio può essere quello dell'appartenenza a un ceto sociale elevato, un altro può essere l'appartenenza ad una confessione religiosa professata (il che in Italia significa di fatto alla religione cattolica), un altro ancora l'esclusione di etnie di nuova immigrazione, un altro infine la facilità di ottenere un qualunque diploma.
L'universo della scuola privata in Italia, frequentata dal 5 per cento della popolazione studentesca con una presenza di scuole cattoliche pari al 3 per cento, utilizza in varia misura questi criteri preliminarmente selettivi e ad essi adatta anche sia le strutture edilizie sia i servizi opzionali (impianti sportivi, orari, mense, biblioteche) sia il reclutamento dei docenti.
Il criterio più diffuso è la combinazione tra l'appartenenza ad un ceto sociale elevato con spiccate caratteristiche religiose per quanto riguarda la scuola superiore, mentre per quella di base prevale il dato religioso senza soverchie distinzioni di classe. Il dato etnico è d'altra parte, allo stato dei fatti, una discriminante largamente praticata, se non altro attraverso «rette» molto elevate di iscrizione e di frequenza.
Ecco perché la legge sulla «parità», che costituisce uno degli elementi portanti della riforma Berlinguer, non ha affatto placato la pressione dei fautori del finanziamento pubblico della scuola privata: quella legge infatti attenua notevolmente, anche se non elimina del tutto, i criteri di selezione preliminare necessari all'iniziativa privata. Ciò che essi desiderano è infatti una parità di finanziamento «aggiuntivo» che non incida se non marginalmente sui criteri di accesso dei discenti e sul reclutamento dei docenti, il che evidentemente priva di ogni motivazione lo sforzo finanziario che lo Stato sarebbe chiamato a compiere con detrimento inevitabile delle risorse da destinare ad un innalzamento massiccio della qualità del servizio pubblico.
I confronti con i sistemi scolastici praticati da paesi anglosassoni sono del tutto impropri, Eco si è già largamente intrattenuto su quest'aspetto della questione sicché non ho motivo di ritornarci.
Il bonus d'altra parte ha un senso solo se limitato alle famiglie non abbienti e se accordato a tutte, sia che scelgano il privato sia il pubblico dove l'acquisto dei libri scolastici è comunque a carico degli studenti.
Forzare il bonus oltre questi limiti incapperebbe nel divieto costituzionale e aprirebbe una questione assai più complessa.
***
Personalmente non sono affatto un mangiapreti, sono un laico e non un anticlericale. A patto di non trovarmi dei clericali di fronte, nel qual caso rivendico la qualifica di «anti».
La signora Moratti non ha fatto parola nel suo «speech» di Rimini di un problema molto pertinente alle questioni che stiamo discutendo, ma neppure coloro che sono intervenuti nel dibattito ne hanno accennato. Si tratta dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.
Allo stato dei fatti tale insegnamento, svolto su basi eminentemente catechistiche, è svolto da circa 22 mila insegnanti pagati dallo Stato ma indicati dal Vescovo e da lui revocabili. Il costo è di oltre mille miliardi annui. Si tratta d'una palese stortura che si regge soltanto sull'esistenza del regime concordatario e che creerà tra brevissimo tempo una quantità di problemi (e di costi aggiuntivi) quando le nuove etnie immigrate reclameranno analogo trattamento.
La soluzione non può che essere quella di abolire l'insegnamento della religione sostituendolo con una cattedra di storia delle religioni, affidata a insegnanti pagati e nominati dall'autorità pubblica e non dai vescovi (o dai rabbini o mullah o monaci buddisti).
Perciò confermo il mio giudizio: la politica scolastica del centrodestra e le intenzioni programmatiche esposte fin qui dal ministro dell'Istruzione ignorano o sottovalutano i problemi veri della scuola, si preoccupano di pagare le cambiali politiche rilasciate alla destra clericale e rischiano di rialzare pericolosi steccati che si speravano superati.
Ho scritto domenica scorsa che se questo avvenisse la reazione sarà durissima. Una previsione che non riguarda solo i laici ma anche molti cattolici. La riforma della scuola passa per la modernizzazione del servizio pubblico ed il suo miglioramento qualitativo. Le famiglie non abbienti vanno aiutate nelle loro libere scelte educative. Per il resto, i ricchi che vogliono una scuola per ricchi se la paghino e non pretendano che sia lo Stato (cioè tutti noi) a farlo per loro.


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Date: 02 Sep, 2001 on 08:59
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