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«Cambierò la scuola francese: punizioni e moto confiscate»
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1. «Cambierò la scuola francese: punizioni e moto confiscate»
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da Il Corriere della Sera
24 novembre 2003

Il ministro per l’insegnamento spiega la riforma: obiettivi? Combattere violenza e droga, riequilibrare le diseguaglianze sociali, frenare la fuga verso gli istituti privati

«Cambierò la scuola francese: punizioni e moto confiscate»

Un sondaggio gigantesco nel Paese del centralismo: 22 domande di un questionario, 15 mila assemblee, un sito

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

PARIGI - Quali sono i valori della scuola repubblicana? Come adattare l’insegnamento ai percorsi degli studenti? Come combattere violenza e disuguaglianze? Come cambiare i contenuti in rapporto a mondo del lavoro e società europea? Domande e spunti di riflessione fioccano attorno al grande malato della società francese.
Centocinquantamila studenti persi per strada ogni anno, senza qualifica; preoccupante aumento dei ragazzi senza padronanza della lingua materna; fuga verso le scuole private; migliaia di episodi di violenza; alto consumo di droghe; rischi di deriva comunitarista o confessionale, come conseguenza di laceranti dibattiti su laicità e integrazione nel modello egualitario della République . Ottengono un diploma l’87 per cento dei figli delle classi medie superiori, il 45 per cento dei figli di operai non qualificati. Il governo non ha pronta la terapia, né vuole ripercorrere tentativi di riforma calati dall’alto e puntualmente incagliatisi in contestazione studentesca e resistenze corporative degli insegnanti.
«Per la scuola, un po’ come nel calcio, ci sono sessanta milioni di esperti», dice il ministro delegato per l’insegnamento secondario Xavier Darcos.
Di qui la decisione di sperimentare la democrazia diretta per decidere le linee della riforma che vedrà la luce l’anno prossimo. Un questionario con 22 domande, quindicimila assemblee pubbliche, un sito elettronico e una commissione di esperti, professori, imprenditori ed ex ministri dell’educazione che avrà il compito di rielaborare il gigantesco sondaggio.
Per un Paese ritenuto arcaico e centralista è una novità, anche se l’opposizione è scettica: «Tagliano i fondi e non affrontano i drammi sociali che sono all’origine del disastro della scuola. C’è contraddizione permanente fra ambizioni e fatti», ha detto l’ex ministro socialista Jack Lang. Ma intanto «le grand débat» è partito, con la benedizione di Jacques Chirac, apparso in televisione per dire che è in gioco «l’avvenire della gioventù e della Francia».
«Quando si tocca la scuola, polemiche e conflitti sono inevitabili. E’ un settore immenso (cento miliardi di euro all’anno, il 7 per cento della ricchezza nazionale, 12 milioni di allievi, 900 mila insegnanti, ndr ), che coinvolge ogni famiglia francese», dice il ministro Darcos in questa intervista al Corriere .
Come sarà possibile scrivere la riforma attraverso milioni di pareri, sogni, critiche? Non si rischia una gigantesca confusione?
«Abbiamo stabilito criteri rigorosi. Per evitare speculazioni, la commissione è autonoma e affidata a una personalità vicina alla sinistra. Per evitare il tecnicismo, abbiamo favorito la partecipazione di ragazzi e genitori. E per evitare la confusione di pareri generici, abbiamo affinato questioni e domande mirate».
Quali sono i problemi più gravi della scuola francese?
«Il sistema non va così male. Scolarizziamo milioni di studenti, con risultati soddisfacenti. I problemi più gravi sono nella fascia intermedia, fra i 9 e i 14 anni. Dai budget di comparazione si vede che la Francia spende molto (al di sopra della media europea, ndr ), ma non migliora la qualità. C’è, in primo luogo, un problema di disparità: chi proviene da classi modeste ha meno possibilità di riuscita. La riforma punta a una maggiore diversificazione di orientamenti professionali, un maggior impegno scientifico, una conoscenza delle lingue straniere. Poi ci sono problemi pedagogici: stile di vita, consumi di droghe, violenza, marginalità sociale, ostentazione di simboli religiosi».
Le statistiche parlano di esodo dalla scuola pubblica. E i sondaggi dicono che la fuga sarebbe maggiore se le famiglie potessero permettersela.
«Bisogna osservare anche un certo pendolarismo. Spesso si tratta di scelte provvisorie. Né va dimenticato che buona parte delle strutture private utilizzano personale insegnante statale».
Lei è stato soprannominato «Darkosy», con riferimento al ministro degli Interni Sarkosy, per aver proposto dure misure di sicurezza e repressione.
«Lasciamo stare le caricature. Le misure hanno permesso una diminuzione del 10 per cento di episodi di violenza. Non ci siamo limitati ai controlli, ma vogliamo ristabilire il concetto di autorità del maestro, anche con punizione e repressione. Gli studenti ricevono un libretto dei diritti e dei doveri. Le punizioni possono essere il lavoro obbligatorio nella scuola, il distacco per qualche mese o addirittura il passaggio in centri educativi chiusi. Soltanto l’autorità rispettata del maestro può comunicare educazione e sapere».
Può spiegare qualcuna di queste misure?
«I controlli elettronici dei registri per combattere l’assenteismo. I metaldetector per evitare che i giovani entrino in classe con coltelli e armi. La lotta alla droga, non solo con le multe, ma aprendo un procedimento giudiziario che porti, per esempio, alla confisca del motorino o della patente».
Ministro Darkosy, pardon Darcos, lei ha proposto anche il ritorno all’uniforme.
«Non ho proposto di rimettere il grembiule, ma un certo decoro e una certa uniformità, nel rispetto della libertà individuale. Non c’è soltanto la questione del velo, ma quella dell’ostentazione di mode, marche, abbigliamenti non propriamente adatti».
Lei ritiene giusta una legge che proibisca il velo islamico nelle scuole?
«Il dibattito è aperto, ma credo che si arriverà a una legge. Nel 1905 abbiamo separato Stato e Chiesa cattolica. Nella Francia di oggi vivono le più grandi comunità musulmane ed ebraiche d’Europa. E’ giusto che si riaffermino regole per il presente. Sull’esempio italiano, abbiamo introdotto il concetto di cultura religiosa».
Non c’è il rischio di veder aumentare le scuole confessionali?
«E’ il rischio principale. Ma il principio della laicità della scuola va comunque riaffermato. Nessuno studente deve apparire come portatore di ideologie, religioni e proselitismo. Questo non ha nulla a che vedere con la libertà d’espressione».
La riforma verrà coordinata e confrontata con quelle di altri Paesi europei?
«Con altri ministri, si cerca di fissare obiettivi comuni, armonizzare formazione e qualifiche. Per l’università si è a buon punto. Ma l’educazione non fa parte dei trattati e la Francia difende la propria eccezione culturale e non la negozia».
Anche per questo restano in vigore regole solo francesi, come la giornata di libertà il mercoledì?
«Effettivamente il criterio ha origini antiche, quando si voleva permettere che i figli aiutassero i genitori nel lavoro nei campi. La Francia è anche un Paese agricolo».

Massimo Nava


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Date: 24 Nov, 2003 on 06:33
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