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Il cervello si muove a tempo di musica
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1. Il cervello si muove a tempo di musica
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da Il Corriere della Sera
23 novembre 2003

Il cervello si muove a tempo di musica
A differenza del linguaggio, l’apprendimento della melodia è immediato

La musica davvero non ha confini? Stando ai risultati di uno studio pubblicato su «NeuroImage », pare proprio di sì. Un gruppo di scienziati americani ha infatti scoperto che il cervello si comporta allo stesso modo se ascolta una musica familiare oppure una di culture diverse. Il risultato è opposto rispetto a quello che si ottiene con il linguaggio: in questo caso, infatti, il cervello risponde in maniera diversa di fronte a una lingua nota oppure sconosciuta. Steven Morrison e Steven Demorest, ricercatori della Scuola di musica dell’Università di Washington, hanno fatto ascoltare alcune parti di una sonata di Alessandro Scarlatti e frammenti di una composizione tradizionale cinese a sei musicisti professionisti e a sei volontari con una scarsa preparazione musicale. La risonanza magnetica funzionale, una tecnica che permette di visualizzare le aree del cervello che si attivano in risposta a uno stimolo, ha rivelato che le differenze nell’attività cerebrale erano legate al livello di educazione musicale, ma non alla musica ascoltata.
Indipendentemente dal tipo melodia, «entrambi i gruppi hanno mostrato un’attivazione delle aree del cervello del giro temporale trasverso destro e del giro temporale superiore sinistro», si legge nello studio. Queste aree si trovano nella corteccia, la zona in cui avviene l’elaborazione più fine delle informazioni ricevute dall’esterno. Qualche differenza fra musicisti e dilettanti però si è vista, dato che nei primi si sono attivate anche altre aree del cervello. Questo ha indotto i ricercatori a pensare che la formazione scolastica, più che il contesto culturale, influenza gli schemi dell’attività cerebrale. «Il risultato è importante per l’insegnamento di questa disciplina perché indica che lo studio influisce sul modo con cui un allievo si avvicina alla musica molto più della familiarità con un particolare stile musicale» conferma Morrison.
Nell’ultima fase dell’esperimento i partecipanti sono stati sottoposti a una serie di test per verificare se erano in grado o meno di identificare i brani appena ascoltati da altri mai sentiti. Anche in questa fase, a fare la differenza è stato il livello delle conoscenze, più che la vicinanza culturale con lo stile di musica ascoltato. I musicisti infatti si sono mostrati molto più sicuri delle loro risposte rispetto ai non professionisti. Tuttavia, come c’era da aspettarsi, entrambi i gruppi hanno ottenuto maggiore successo quando dovevano identificare le melodie di Scarlatti. Secondo Morrison «le persone cercano di interpretare la musica utilizzando le regole conosciute» (il che spiega perché i musicisti si sono mostrati più sicuri nelle risposte). Tuttavia, prosegue il ricercatore, «queste regole possono anche essere inappropriate dal punto di vista culturale».

Marina Caporlingua


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Date: 23 Nov, 2003 on 09:29
Il cervello si muove a tempo di musica
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