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Crocifisso vietato, Castelli invia gli ispettori
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1. Crocifisso vietato, Castelli invia gli ispettori
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da Il Corriere della Sera
27 ottobre 2003

Il paese abruzzese contro Adel Smith, il musulmano che ha scatenato il caso della scuola. I Poli d’accordo sulle critiche al giudice

Crocifisso vietato, Castelli invia gli ispettori

La Cei: sentenza sorprendente. Il magistrato sotto accusa: non sono una toga d’assalto, è una scelta di diritto

ROMA - La sentenza dell’Aquila che impone di togliere il crocefisso dalle aule scolastiche finisce sotto inchiesta degli ispettori del ministero della Giustizia. Lo ha annunciato il ministro Castelli, mentre è unanime la condanna del verdetto. Fini: così si aiuta chi non vuole l’integrazione. Critico l’Ulivo. I vescovi: verdetto sorprendente. Il paese di Ofena contro Smith, il musulmano che ha scatenato il caso. Il giudice Montanaro: «Ho considerato soltanto le norme: non sono un giudice d’assalto».

LE NORME
Il simbolo a scuola «autorizzato» da due regi decreti

ROMA - La legge ha quasi 80 anni. Ma da allora non è mai stata cambiata. Dice l’articolo 118 del regio decreto 30 aprile 1924: «Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula l’immagine del crocifisso e il ritratto del Re». Re a parte, le regole sono ancora queste. Anzi. Quattro anni dopo un altro regio decreto entra nel dettaglio: la croce viene inserita nell’elenco degli «ordinari arredi scolastici». Insieme alla cattedra, alla lavagna, ai banchi.

LEGGE - I Patti lateranensi del 1929, che regolano i rapporti fra Chiesa e Italia, non toccano la questione. Nemmeno la revisione del Concordato del 1985 entra nel merito. Tutto come 80 anni fa. La legge può essere discussa. Anche cambiata, naturalmente. Ma serve un intervento del Parlamento. Oppure bisogna impugnarla davanti alla Corte costituzionale che la potrebbe dichiarare illegittima. Fin quando questo non avviene, però, deve essere rispettata. Ma allora come è possibile che il tribunale dell’Aquila abbia fatto questa scelta? Il magistrato si richiama a due pronunce della Corte costituzionale della fine degli anni ’80: «Gli studenti che non vogliono seguire l’insegnamento della religione, non sono obbligati a restare in classe in quelle ore». Secondo il giudice, è un esplicito riferimento alla salvaguardia del pluralismo delle fedi. Da qui la decisione per la scuola di Ofena.

SENTENZE E PARERI - Ma la questione è diversa. Ed è già stata affrontata più di una volta. Un parere del Consiglio di Stato del 1998 ricorda non solo che le leggi di 80 anni fa sono ancora in vigore. Ma spiega anche che il crocifisso, «a parte il significato per i credenti, rappresenta un simbolo della cultura cristiana come essenza universale, indipendente da una specifica confessione. Per questo la sua esposizione non contrasta con la libertà religiosa». Parere condiviso dalla Cassazione con una sentenza del 13 ottobre 1998: nell’affissione del crocifisso «non è ravvisabile una violazione della libertà religiosa» perché questa «comporta solo che a nessuno può essere imposta per legge una prestazione di contenuto religioso ovvero contrastante con i suoi convincimenti».

CIRCOLARE - L’ultimo atto è del 3 ottobre 2002. Una circolare del ministro dell’Istruzione Letizia Moratti che chiede ai «dirigenti scolastici di assicurare l’esposizione del crocifisso». E aggiunge che ogni istituto può riservare una stanza per la preghiera di studenti e genitori con una fede diversa. Il rispetto della legge. E una mano tesa verso chi crede in un altro Dio.

Lorenzo Salvia

L’INTERVISTA / Mario Montanaro, 33 anni: sono cultore di un tecnicismo sfrenato. Non ho considerato l’aspetto sociale ma solo le leggi

«Non sono un giudice d’assalto, ho fatto una scelta di diritto»
«E’ un provvedimento d’urgenza che può essere impugnato»

DAL NOSTRO INVIATO

L’AQUILA - «Non sono un giudice d’assalto. Ho deciso solo secondo il diritto». Mario Montanaro ha 33 anni, è in magistratura da cinque dopo tre anni passati in Consob, ma da 24 ore è il magistrato più noto d’Italia. Colpa della valanga di proteste che ha sommerso la sua ordinanza di rimozione del crocifisso dalle aule scolastiche frequentate dai figli di Adel Smith. Chi lo conosce sorride. Sa che si è già fatto apprezzare per una professionalità e una competenza tecnica di ferro soprattutto in materia commerciale e fallimentare. E’ stato candidato al comitato direttivo centrale di Magistratura Democratica, corrente di sinistra. Ma è lui stesso ad assicurare che in questa decisione la politica non c’entra. «Io parto dal principio che il diritto è diritto - assicura, sereno -. Io, poi, sono proprio cultore di un tecnicismo sfrenato».
Ma la motivazione affronta la questione dell’evoluzione culturale avvenuta dalla legge del ’24 a oggi, i principi di rispetto per le convinzioni degli altri, e il dubbio che la Croce non sia patrimonio collettivo degli italiani.
« Certamente i profili sociali e culturali sono esistenti, però io non ho deciso in base a ragioni di carattere sociale ma solo in base al diritto».
Ha scatenato il finimondo.
«Francamente mi sembra un’attenzione eccessiva. Il Tribunale ha preso nella mia persona un provvedimento d’urgenza. Non è una sentenza definitiva».
Però scende nel merito.
«Nel merito deciderà il Tribunale in sede collegiale (con tre magistrati, fra i quali io non ci sarò) se l’avvocatura dello Stato opporrà reclamo. E penso che lo farà».
Il crocifisso però viene staccato.
«In quella sede la decisione potrebbe benissimo essere riformata».
Le sono piovute addosso accuse, censure, insulti. Come risponde a quell’Italia che si sente offesa?
«Dal punto di vista personale ritengo inopportuno che sia io a commentare. Ho scritto 30 pagine di motivazione, citando sentenze e articoli, per spiegare quella decisione».
Non dica che non si aspettava queste reazioni.
«Non sono i commenti che mi meravigliano, ma alcune considerazioni tecniche che sono state fatte».
Perché non ha inviato tutto alla Corte costituzionale? Poteva lasciar decidere alla Consulta sulla conformità alla nostra Carta fondamentale di quel principio affermato nel ’24 e poi ribadito. E certamente si sarebbe risparmiato critiche e accuse.
«Io ho preso una decisione, che eventualmente potrà anche essere impugnata. Le opinioni diverse sono legittime».
Lei è molto giovane. C’entra qualcosa con la sua decisione?
«No, non c’entra. Ho trentatré anni. Se si volesse fare della facile ironia si potrebbe sottolineare che sono proprio gli anni di Cristo. Ma questo non è proprio il momento dell’ironia».

Virginia Piccolillo

CONVERTITO DA 15 ANNI

CHI E’ Adel Smith
Nasce nel 1960 ad Alessandria d’Egitto: il padre è un architetto italiano, la madre è egiziana. Si converte all’islamismo 15 anni fa. Sposato con un’italiana, ha tre figli. E’ il presidente dell’Unione dei mu- sulmani d’Italia

Tutti contro il presidente dell’Unione dei musulmani in Italia: «Così attizza il conflitto sociale». L’imam di Carmagnola, simpatizzante di Bin Laden: «Offendere la fede di un miliardo di persone è un errore»

I musulmani: «Usa l’Islam per farsi pubblicità»

La reazione di società civile e religiosi: «E’ un provocatore». Afef: «Il segno del cristianesimo va rispettato»

ROMA - Se perfino Abdulkadir Fadlallah Mamour, il contestatissimo imam di Carmagnola simpatizzante di Osama bin Laden gli volta le spalle, vuol dire che Adel Smith è veramente isolato in seno alle comunità musulmane. Una ventina di intervistati, un’altra cinquantina che hanno risposto alla domanda secca «Siete o no favorevoli alla rimozione del crocifisso dai luoghi pubblici?»: non un solo responso favorevole al presidente della sedicente «Unione dei musulmani d’Italia». Il popolo di Allah nel nostro Paese è decisamente per la salvaguardia del simbolo della cristianità. Imam di moschee, semplici praticanti, laici, personaggi noti e anonimi: la condanna di Smith è unanime. Cambiano le sfumature. C’è chi esprime un dissenso totale e chi invece sottolinea le ragioni di opportunità. C’è chi si identifica nelle posizioni della maggioranza degli italiani e chi invece esalta le differenze sia rispetto al radicalismo islamico sia rispetto al laicismo italiano. «Il fratello Smith sbaglia. Non c’è nessun hadis (detto o fatto attribuito al profeta Mohammad, Maometto) che dice che bisogna togliere il crocifisso - spiega il battagliero imam di Carmagnola (in realtà la sua moschea è chiusa) -. Il Corano recita: non insultate il loro Dio. Offendere la religione di oltre un miliardo di persone è un errore. L’Italia è un Paese cristiano e ha nel crocifisso il proprio simbolo. Smith sta sfruttando l’Islam per provocare un conflitto sociale».
«E’ un provocatore». Ne è convinto anche Ali Abu Shwaima, emiro del Centro islamico di Milano e Lombardia: «Smith non lo consideriamo parte della comunità musulmana. Non frequenta nessuna moschea. Vuole sollevare un polverone per farsi della pubblicità. Sta lanciando una provocazione per coinvolgere i musulmani in una vicenda che per noi non è una preoccupazione. E’ un provocatore».
Dello stesso avviso una serie di personaggi della società civile musulmana. Prevalentemente laici. Afef è il nome più noto: «Vogliamo vivere con tutti i simboli della fede, nessuno escluso. Il crocifisso è il simbolo del cristianesimo e va rispettato. Troviamo i punti che ci uniscono e non quelli che ci allontanano. Se la libertà di parola deve danneggiare la maggioranza, va tolta. Io do molte colpe ai giornali e alle televisioni. Questo personaggio rappresenta se stesso, perché gli si dà la parola? La tolleranza non è questo. Forse che il Papa non è entrato nella moschea di Damasco e nelle terre dell’Islam con il crocifisso? Nessuno gli ha mai chiesto di rinunciare al crocifisso. Nessuno chiede di togliere i crocifissi dalle chiese che sono tante in tutti i Paesi musulmani ad eccezione dell’Arabia Saudita».
Anche Rula Jebreal, palestinese, giornalista di La7 , punta il dito contro i media: «A me quell’uomo disturba molto. Con due sparate rovina il lavoro della gente moderata che vuole la pacifica convivenza. Perché lo invitano in televisione? Forse che si vuole accreditare l’immagine di un Islam intollerante? Togliamogli la parola».
Omar Mario Camiletti, esponente di primo piano della comunità islamica di Roma, evidenzia il rischio dello scontro di religione: «Il crocifisso fa parte dell’identità culturale italiana. Trovo fuori luogo esacerbare gli animi fino a questo livello. Questa situazione turba enormemente i rapporti della minoranza musulmana con gli italiani. Mio fratello, appena rientrato dalla messa domenicale, mi ha riferito che il parroco ha invitato i fedeli a insorgere a difesa del crocifisso. E’ un clima da crociata. E’ lo spirito di Lepanto. E’ una vittoria degli estremismi reciproci proprio in concomitanza con l’inizio del Ramadan, il sacro mese del digiuno islamico».
La pensa così anche Hamza Massimiliano Boccolini, esperto del mondo arabo e islamico, collaboratore da Napoli dell’agenzia Ap.com: «Per i musulmani italiani la questione del crocifisso non è una priorità. Esiste piuttosto il timore di molti musulmani che questa sentenza si riveli un boomerang per gli interessi dei musulmani stessi».
Rachida Kharraz, marocchina, impiegata alle Acli di Viterbo, illustra un’esperienza di ecumenismo religioso nelle proprie quattro mura: «Noi donne musulmane ci siamo stufate di questa gente che sta usando l’Islam per farsi pubblicità. Non sanno nulla dell’Islam. Il Corano prescrive che se non si crede in Gesù e Maria non si è musulmani. Vogliono attizzare il fuoco della guerra religiosa. La croce è Gesù, è Dio, e noi musulmani ci crediamo. Io faccio il Ramadan e prego. Ma la domenica accompagno mio figlio, che è cristiano, in chiesa».
Younis Tawfik, autore di «La città di Iram» e «La straniera», italo-iracheno di Torino, è uno strenuo difensore della laicità: «Dobbiamo isolare Smith. Rappresenta soltanto se stesso. Non è nostro diritto chiedere di togliere il crocifisso. Non possiamo assolutamente pretendere di cambiare una cultura millenaria che sta andando verso la tolleranza e il dialogo». Zoheir Louassini, giornalista italo-marocchino di Raimed, curatore del sito arabroma.com , ha una posizione più articolata: «La questione del crocifisso è molto seria. Ma le persone che credono nella laicità dello Stato non devono lasciarla nelle mani di irresponsabili. Smith manca di rispetto a questo Paese. Dovrebbe rendersi conto che una scuola laica non accetterà mai il velo delle donne. Quindi o siamo laici al 100% o non lo siamo».

HANNO DETTO

Camillo Ruini
LA POLITICA E LA RELIGIONE

Ci saranno i ministri di tutti i Paesi della Ue (e di alcuni di quelli candidati a entrarvi) alla conferenza sul dialogo tra le tre grandi religioni monoteiste, voluta dal ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, che si terrà a Roma giovedì prossimo. Al centro del dibattito: il dialogo come fattore di coesione sociale in Europa e strumento di pace. La riunione, presieduta dallo stesso Pisanu, è guardata con favore dalla segreteria di Stato vaticana e non a caso i ministri europei e le delegazioni che li accompagnano saranno ricevuti venerdì in udienza da Papa Giovanni Paolo II.
Siamo convinti che il crocifisso esprima l’anima profonda del nostro Paese e quindi debba rimanere come un segno dell’identità della nostra nazione
Togliere il crocifisso dalle aule scolastiche costituisce una forzatura rispetto alla cultura e alla storia del nostro Paese che non aiuterà a fare amare l’Islam agli italiani
GLI IMMIGRATI
di religione musulmana in Italia, su un totale di 1.250.214 stranieri. La maggioranza viene da Marocco (31%) e Albania (14,7%)
GLI STUDENTI
musulmani nelle scuole, su 147.406 stranieri: il 20% frequenta la materna, il 44% le elementari, il 24% le medie e il 12% le superiori
ROMA - Finisce sotto giudizio la sentenza del giudice di L’Aquila: se ne occuperanno gli ispettori del ministero della Giustizia. Dovranno stabilire se la decisione sia «abnorme» e dunque il giudice che ha stabilito che il crocifisso va staccato dalle pareti delle aule scolastiche meriti «una sanzione disciplinare». Lo ha annunciato ieri il ministro Roberto Castelli, nel mezzo della polemica politica, che già si è estesa al protagonismo e all’ansia «di onnipotenza» di certi magistrati (parole di Alfredo Mantovano, di An) e, nel centrodestra, alla questione dei diritti degli immigrati. E’ scontato che la sentenza riscuota quasi unicamente condanne politiche: «Una decisione che compromette il dialogo religioso (Tajani, Forza Italia), «Un delirio abominevole» per Maurizio Gasparri (An), una sentenza «che non ha nulla a che vedere con la laicità dello Stato» per Marco Follini (Udc), «Una forzatura che non aiuta l’Islam» per Livia Turco e il sindaco di Roma Walter Veltroni(Ds), una sentenza «priva di intelligenza» per Pierluigi Castagnetti (Margherita), un giudizio sbagliato che «potrebbe avere un effetto boomerang» per Paolo Cento (Verdi).
Si sente «offeso come cristiano e come cittadino» il ministro dell’Interno Beppe Pisanu, che mette a fuoco il rischio di strumentalizzazioni che minino «la convivenza tra religioni e culture diverse, che si basa sul reciproco rispetto e comporta l’affermazione di ogni identità e non l’umiliazione di alcuna di esse alle pretese altrui». Il ministro parla di Adel Smith, autore del ricorso contro il crocifisso, come di «un noto provocatore», frase che gli vale la querela dell’interessato.
Il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti si riserva di ricorrere in appello contro la sentenza, Margherita Boniver chiede l’intervento di Ciampi e il vicepresidente del Csm Virginio Rognoni si dice «disorientato e preoccupato» rimandando ai prossimi giorni un giudizio più esteso. I vescovi, per bocca del presidente della Cei Camillo Ruini, parlano di una decisione sorprendente e difendono il «crocifisso come simbolo dell’anima profonda del nostro Paese e di identità della nostra nazione».
Durissimo e preoccupato è anche il vicepremier Gianfranco Fini che definisce assurda la decisione «di un magistrato in cerca di notorietà», che «offende i sentimenti della stragrande maggioranza degli italiani» e sembra fatta «apposta per offrire argomenti a chi contesta la possibilità di una convivenza pacifica e di integrazione nella nostra società». E infatti dentro e fuori il suo partito scoppia subito la polemica che investe la svolta sul voto agli immigrati impressa alla politica della destra proprio dal presidente di An poche settimane fa. Francesco Storace punta il dito, «con indignazione», contro la sentenza e collega le due questioni: «Questo Paese rischia di fare passi indietro: mi chiedo se in altri Paesi noi possiamo non dico pregare ma almeno votare». Ma il capogruppo di An Gianfranco Anedda invita a tenere distinta la sentenza dal voto agli immigrati.
Maurizio Ronconi, senatore dell’Udc, insiste: «In molti troppo frettolosamente avevano manifestato la disponibilità a concedere il voto agli immigrati, una proposta che risulta fuori tempo». Parole simili a quelle del leghista Mario Borghezio che prende di mira «la politica molliccia di Fini verso le crescenti pretese degli immigrati»: la Lega nei mesi scorsi aveva presentato una proposta di legge per estendere l’obbligo di esporre il crocifisso in tutti gli uffici pubblici. E anche Fabrizio Cicchitto, numero due di Forza Italia, invita a riflettere bene sui temi che riguardano l’integrazione per evitare di prendere decisioni di cui pentirsi. Più esplicito di lui è Francesco Giro, responsabile dei cattolici di Forza Italia, che parla addirittura di un «macigno sulla proposta di Fini».

Gianna Fregonara

«NON STRUMENTALIZZATE DIO»
E anche il sindaco islamico dice no

DAL NOSTRO INVIATO

L’AQUILA - «Non si può annullare la storia con una sentenza». A scagliarsi contro l’ordinanza è Mahmoud Srour, ingegnere siriano. Dal ’69 nel nostro Paese, regolarizzato nell’80, è l’unico sindaco musulmano d’Italia. Segretario dell’Udeur in Abruzzo, guida un paese vicino a Ofena: Sant’Eusanio Forconese.
Perché è contro la decisione?
«Sono questioni delicate. Non si possono decidere nei tribunali».
Non è un riconoscimento dei diritti dei musulmani?
«Ma per carità. Il musulmano ha rispetto per tutti. Il secondo califfo che conquistò Gerusalemme raccomandò ai suoi di garantire l’incolumità delle persone, delle chiese e delle loro croci. E quando il Papa è stato in Siria ha pregato sulla tomba di san Giovanni Battista che è al centro della moschea di Damasco: nessuno si è mai sognato di dire nulla».
Quello di Adel Smith è un errore?
«Una provocazione. Ma non si può fare politica strumentalizzando Dio. Tutti gli sforzi fatti in favore dell’integrazione ora rischiano molto».

V. Pic.

«Dal divorzio ai simboli Tra laici e mondo cattolico c’è un rapporto irrisolto»

Che ne dice, direttore? «Che viviamo in un Paese interessante, poco ma sicuro, nel giro di quattro giorni siamo passati dal colpo di mano cattolico sul divorzio breve, il partito neoguelfo all’assalto dello Stato, alla cancellazione di qualsiasi simbologia religiosa cristiana... - Dino Boffo, direttore di Avvenire , ha la voce piana e ironica -, tutto questo in fondo è sintomo di un’anomalia, c’è un atteggiamento un po’ schizoide della nostra cultura...».
In che senso?
«Si avverte un rapporto irrisolto tra l’opinione pubblica laica e secolarizzata, almeno come viene rappresentata dai media, e la religione. Che si vedano regie occulte da parte ecclesiastica o si manifesti una libido di umiliazione verso la Chiesa, in fondo è lo stesso».
E perché ci sarebbe un «rapporto irrisolto» fra laici e cattolici?
«Di volta in volta spunta la paura d’un predominio cattolico o il desiderio mal represso di agguantare al collo o umiliare la Chiesa per farle pagare il passato: i tempi in cui, attraverso i cattolici, avrebbe avuto una dominanza politica. A parte che è un periodo tutto da rivisitare, la paura è che torni il partito neoguelfo, neocattolico. Sappiamo che è impossibile, non ci sono le condizioni storiche, eppure il fantasma continua a far paura e tende a far sragionare».
Non esiste una diffidenza culturale reciproca? C’è chi non sa i nomi degli evangelisti e chi non legge Proust...
«Credo che nell’ultima generazione cattolica ci sia stata molta più attenzione al mondo laico e alla sua cultura che non viceversa. Non mi pare si possa parlare di perfetta reciprocità, nel mondo laico c’è un deficit di serenità».
E la storia del crocifisso?
«È una sorta di nullismo culturale, una volta tocca la scuola, un’altra gli ospedali, ma al fondo c’è la difficoltà ad accettare pacificamente un fatto storico, qualcosa che è nel nostro Dna: l’Italia non è la Nuova Zelanda, per dire, come gli adolescenti dobbiamo imparare ad accettare noi stessi».
Mica saranno tutti così, no?
«No, chiaro. Abbiamo visto Ciampi partecipare, da Capo dello Stato, a momenti religiosi importanti, si è anche saputo che va a messa, il che non toglie nulla alla sua laicità e anzi fa risaltare ancora di più i suoi valori, il senso della famiglia, la speranza, la stessa religiosità non ostentata. In questo senso il presidente segna il futuro: una dualità che non esiste, un rapporto risolto».

Gian Guido Vecchi

La rivolta del paese di Smith: «Ora basta»
Tentativo di aggressione il giorno dopo la vittoria in tribunale. I genitori: «Via il crocifisso? Ritiriamo i figli da scuola»

DAL NOSTRO INVIATO

OFENA (L’Aquila) - «Quando ho sentito che aveva fatto levare il crocifisso non ci ho visto più. Sono venuto quaggiù...». Antonio Faccia, ofenese rubizzo e genuino, stava per mettersi nei guai. Voleva risolverla lui la questione che infiamma l’Italia. Il suo compaesano, Adel Smith, ha ottenuto dal giudice la rimozione del crocifisso dalle aule della scuola «Antonio Silveri», frequentate dai suoi due bambini. E oggi l’avvocato di Smith, Dario Visconti, chiederà l’intervento di un ufficiale giudiziario per ottenere l’esecuzione del provvedimento di urgenza. Noncurante della rivolta delle mamme e dell’arrivo, annunciato per domani, di un gruppo di Forza Nuova pronto a presidiare la scuola. Il conto aperto da questi militanti di destra con Adel Smith già annovera due pestaggi. Il signor Antonio voleva aggiungere qualche altra legnata. Con un ferro raccolto a terra intendeva convincere il vicino musulmano che «non può venire qui a comandare a casa nostra: il crocifisso non lo deve toccare».
L’intervento dei carabinieri ha impedito che finisse male. E Smith ostenta tolleranza: «In Italia - dice - c’è un cattolicesimo integralista che questa vicenda sta facendo venir fuori. Le maschere stanno cadendo». Nel giardinetto con minuscola piscina di una villetta un po’ fatiscente, dove è arrivato nel 2000 dall’Egitto dov’è nato, dopo vari anni trascorsi in Albania, il fondatore del partito dei Musulmani Italiani protesta: «La nota della Cei - dice - è mistificatoria. Le leggi che nomina non esistono. E’ un bluff . Una sfacciata ingerenza». Il suo avvocato lo chiama al telefono. In un salottino con una maxi tv e una mini-libreria dove campeggiano i suoi libri, fra cui «Iddio maledica l’America», esulta: «Se il ministro non farà eseguire questo provvedimento lo denunceremo». Lui quindi andrà avanti.
Ma la rabbia del signor Antonio è quella di tutto il paese. «Sono due anni che qui a Ofena non si campa più - protesta la signora Maria, facendosi paonazza -, questo è un posto civile, tranquillo e lui lo sta facendo diventare un ring». Il capogruppo di opposizione in consiglio comunale, Bruno Gentile (FI) ha fatto della difesa del crocifisso una bandiera politica: «La sentenza è infondata. Casomai deve decidere il Parlamento, la Corte Costituzionale». Ma lo stesso vicesindaco ds, Marcello Palmeri, afferma: «Sono per lo Stato laico, ma perché staccare il crocifisso?». I genitori, poi, non intendono subire «questa prepotenza». «Il crocifisso a scuola c’è sempre stato, che cosa cambia adesso?» si scalda Carlo Berardi, padre di un compagno di scuola dei piccoli Smith e avverte: «Se tolgono il crocifisso ritiro il bambino dalla scuola».
Una minaccia che fa effetto da queste parti. Gli alunni sono 7, al massimo 10 per classe. Il provveditore dell’Abruzzo, Nino Santilli, si schiera a favore della croce: «Noi non stacchiamo niente - anticipa -, non siamo con l’acqua alla gola. Aspetteremo la notifica e, sentito il ministero, valuteremo i modi per opporci». «Non è un problema religioso, ma di sentimenti che fanno parte del nostro retaggio culturale di 2000 anni di storia. Già stiamo perdendo tanti valori. Se rinunciamo a quelli più alti non sappiamo cosa dobbiamo offrire alle giovani generazioni».
L’arcivescovo di Chieti, Edoardo Menichelli, rivolge un appello toccante: «Di fronte a questi fatti, la laicità non può essere neutra, perché si tratta di cancellare una tradizione tanto radicata in questa terra d’Abruzzo. Allora ai musulmani dico: "Non abbiate paura del crocifisso: Gesù è morto per amore di tutti. Anche per voi". E ai cristiani dico: "Non brandite la Croce come una spada"». Parole che piacciono anche ad Antonio, padre di tre bambini, che si autodefinisce «ultrabertinottiano». «Smith - racconta - ha fatto stampare sui grembiulini dei figli il Corano. Io che dovrei fare, chiedere che appendano in classe Che Guevara? Io l’ho messo in salotto. Faccia così pure lui e la smetta di rompere».

Virginia Piccolillo


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Date: 27 Oct, 2003 on 06:20
Crocifisso vietato, Castelli invia gli ispettori
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