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Internet e Paesi stranieri: la lingua italiana è di moda
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1. Internet e Paesi stranieri: la lingua italiana è di moda
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da Il Corriere della Sera
21 ottobre 2003

Lo studio è cresciuto nelle scuole estere del 40%. Una settimana di manifestazioni

Internet e Paesi stranieri: la lingua italiana è di moda

Potrebbe sembrare un paradosso, ma le cose stanno proprio così. Tullio De Mauro, a conclusione del suo lungo lavoro, in sette ponderosi volumi, sul Grande dizionario dell'uso, ha osservato che «l’Italiano sta bene», mentre «gli italiani un po’ meno». De Mauro nota che la nostra lingua è vitale, aperta a un continuo rinnovamento: ingloba esotismi (soprattutto inglesi), ma insieme valorizza, «nazionalizza», per così dire, preziosi e coloriti regionalismi. Ma mentre l’Italiano si modernizza con velocità e si arricchisce nel proprio patrimonio lessicale ed espressivo, nel nostro Paese il tasso di analfabetismo reale è in crescita spaventosa. Se è vero quello che dicono statistiche impietose, il 5% della popolazione adulta non è in grado di accedere alla lettura e ben il 33% ha gravi problemi di lettura e di scrittura.
Ancora. L’Italiano gode di ottima salute nel mondo, dove si è affermato come la quinta lingua più studiata all’estero, dopo l’Inglese, il Francese, lo Spagnolo e il Tedesco, anche se parte da una posizione di svantaggio: tra le lingue parlate infatti occupa solo la diciannovesima posizione. Un altro dato. Il 3,6% delle pagine web su Internet è scritto in Italiano. Non è poca cosa. Siamo al settimo posto dietro l’Inglese (35,2%), il Cinese (11,9%), il Giapponese (10,3%), lo Spagnolo (8,1%), il Tedesco (6,5%) e il Coreano (4,2%), ma davanti al Francese. Non basta. Negli ultimi cinque anni le iscrizioni allo studio della nostra lingua nel mondo sono aumentate quasi del 40% e nei programmi di ben 500 scuole superiori americane, a partire da quest’anno, sono stati inseriti corsi ed esami di Italiano che danno titoli per entrare nelle Università.
A questa vivace espansione gioverà la terza edizione della «Settimana della Lingua italiana nel mondo» appena partita ieri, organizzata dal ministero degli Esteri con la collaborazione dell’Accademia della Crusca e di altri ministeri o enti, tra cui la Dante Alighieri, la Fondazione Corriere della sera e l’Associazione internazionale di studi di lingua e letteratura italiana. Tuttavia mentre tutto ciò accade, una piccola indagine quasi artigianale ma concreta svolta a Urbino, mettendo a confronto i dettati di quinta elementare di oggi con quelli di mezzo secolo fa, ha registrato un incremento del 500% di errori di ortografia.
La «Settimana della lingua italiana» punta in alto. Giovedì prossimo ci sarà una videoconferenza in cui saranno collegati il ministero degli Affari esteri e gli Istituti italiani di cultura di Seoul, Budapest, Bruxelles, New York, Zurigo e Madrid a inventare ulteriori strategie per la diffusione dell’Italiano e per promuovere, all’interno dell’Unione europea, l’utilizzo anche della nostra lingua a livello istituzionale. Sono buone intenzioni che, dopo questa vetrina internazionale, andranno accompagnate da iniziative magari più provinciali, ma necessarie.
È urgente, in attesa che la scuola sia in grado di svolgere il suo ruolo, costituire, qui da noi, una sorta di pronto soccorso per l’Italiano. Qualcosa è stato fatto. L’Accademia della Crusca è entrata con un suo sito in internet, nel quale, oltre a fornire «La Fabbrica dell’Italiano» - un ricco archivio digitale del materiale lessicografico e bibliografico custodito - offre «La lingua in rete», che si propone non solo come un punto autorevole di dialogo, ma fornisce una preziosa consulenza linguistica a tutti. Intanto, proprio in questi ultimi anni, sono usciti dizionari ragionati, dove (penso al Sabatini-Coletti) oltre alle definizioni delle parole, si danno precise informazioni su norme grammaticali essenziali. È il modo più efficace per riportare la lingua al suo ruolo fondamentale. Quello che Manzoni definiva il compito primario della parola: far sì che gli uomini siano messi in condizione «d’intendersi fra loro», anziché fraintendersi.
Anni fa, nel riproporre il glorioso dizionario di Giacomo Devoto, Gian Carlo Oli osservava che la comunicazione prevalentemente visiva e parlata ha portato a «una progressiva svalutazione della parola in sé e per sé e a una preoccupante proliferazione di incertezze, insufficienze, contraddizioni»: ad errori, ma soprattutto a manipolazioni e strumentalizzazioni di comunicazione. L’unica cura che ci sia concessa - diceva - è quella di riscoprire «il limpido e onesto potere di persuasione della parola», «la sua univocità e schiettezza».
La medicina per questa cura, il rimedio per arrestare il processo di corruzione della parola non possono essere altro che un ritorno alle norme più semplici della grammatica e un uso del dizionario, purché questo strumento non diventi, a sua volta, un bene di consumo, ma sappia restare quello che deve essere: un vero e proprio libro di lettura. Del dizionario - sosteneva Devoto - va sempre «fatto un uso attivo, creativo», perché diventi un mezzo potente di conoscenza e quindi di vera comunicazione.

di GIORGIO DE RIENZO


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Date: 21 Oct, 2003 on 07:29
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