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TROPPI DOCENTI FATTI IN CASA
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1. TROPPI DOCENTI FATTI IN CASA
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da Il Corriere della Sera
27 settembre 2003

TROPPI DOCENTI FATTI IN CASA

di ANGELO PANEBIANCO

Uno dei problemi più seri che deve fronteggiare oggi l’Università riguarda le modalità di reclutamento dei docenti, soprattutto dei professori ordinari e associati. Da quando, alcuni anni fa, è entrata in vigore la nuova normativa sui concorsi (che si svolgono ora nella sede che ha bandito il posto di ruolo con una commissione composta, oltre che da un membro interno, da professori di altre sedi) si è verificato un fatto negativo: si è accentuato il carattere localistico del reclutamento. In pratica, salvo eccezioni, vale lo ius loci : nella sede che ha bandito il posto vince il candidato locale. Tutto bene quando il candidato locale è bravo. Ma questo, ovviamente, non è sempre vero. Si è ridotta la mobilità dei docenti fra un Ateneo e l’altro. E’ raro, per esempio, che una Facoltà metta a bando un posto di ruolo «per trasferimento», al fine di accaparrarsi un bravo professore incardinato in un’altra sede o un ricercatore straniero: nella maggior parte dei casi preferisce bandire il posto «per concorso» a vantaggio del candidato locale. Se questo è oggi il principale problema nel reclutamento dei docenti, si può rimediare solo se se ne conoscono le cause e si è disposti a incidere su di esse. Le cause del localismo sono fondamentalmente quattro: la convenienza economica, l’assemblearismo, l’assenza di un sistema di valutazione sulla ricerca e sulla didattica collegato alla distribuzione dei fondi ministeriali, le regole concorsuali. Quanto al primo punto, la questione è semplice: la Facoltà spende molto meno, intacca una quota molto più piccola del budget a sua disposizione promuovendo il candidato interno piuttosto che reclutando un esterno. Il solo modo per superare lo scoglio è che il ministero sostenga le Facoltà impegnandosi a pagare la differenza che corre fra il costo del candidato locale eventualmente promosso e quello del professore esterno.
Pesante è anche, spesso, il vincolo dell’assemblearismo. Non è infatti facile per molte Facoltà resistere alla pressione dei candidati locali, alla loro domanda di promozione interna. Occorre ripensare gli organi di autogoverno dell’Università: non è accettabile (è un caso patente di «conflitto di interessi») che, in nome di una malintesa «democrazia», abbiano diritto di intervento sull’uso e la destinazione delle risorse proprio coloro la cui carriera ne può essere avvantaggiata.
Gioca poi un ruolo assai importante l’assenza di una distribuzione di fondi alle diverse sedi sulla base di un rigoroso sistema di valutazione della ricerca e della qualità (non della quantità) della didattica. Se le sedi venissero premiate o penalizzate a seconda della qualità della ricerca e della didattica, avrebbero tutto l’interesse a chiamare bravi professori esterni. Oggi questo incentivo non esiste.
Da ultimo c’è un sistema di regole concorsuali che non si è dimostrato efficiente. La migliore proposta resta quella avanzata alcuni anni fa da Umberto Eco: una lista nazionale (bloccata) di candidati riconosciuti «idonei», per la qualità dei loro titoli scientifici, da cui le Facoltà possano liberamente attingere. Ricordo che questa proposta non piacque agli accademici italiani (molti professori temettero di perdere il controllo fino ad allora esercitato sui reclutamenti nelle rispettive discipline). Oggi forse i tempi sono maturi per riproporla. Se combinata a un meccanismo di premi e punizioni connesso alla valutazione della ricerca e della didattica, la lista d’idoneità potrebbe, col tempo, ridare mobilità al corpo docente e innescare una competizione «virtuosa» fra le Facoltà, rendendo conveniente il reclutamento dei più bravi.


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Date: 27 Sep, 2003 on 08:59
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