Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


Edscuola Board
Edscuola Board Discussion Forum.
Index / Educazione&Scuola© - Archivio Rassegne / Educazione&Scuola© - Rassegna Stampa (Archivio 2)
author message
Saperi di Scuola: TENDENZE, DINAMICHE E DIBATTITI NELLA SCUOLA EUROPEA
Post a new topic Reply to this Topic Printable Version of this Topic
edscuola
Administrator
in Educazione&Scuola

View this member's profile
posts: 13944
since: 23 May, 2001
1. Saperi di Scuola: TENDENZE, DINAMICHE E DIBATTITI NELLA SCUOLA EUROPEA
Reply to this topic with quote Modify your message
TENDENZE, DINAMICHE E DIBATTITI NELLA SCUOLA EUROPEA.
(intervento di Pino Patroncini al convegno Saperi di Scuola. Dialogo a più voci sulla scuola dell’Europa prossima ventura. Firenze 6 settembre 2003)

Un utile paradigma per fare il punto sul dibattito intorno alla scuola in Europa e anche su tendenze e dinamiche che la animano può essere l’intervista che il 1 settembre scorso ha rilasciato al quotidiano Liberation ( e anche ad altri quotidiani) il ministro dell’educazione francese Ferry. Luc Ferry, non Jules Ferry che alla fine dell’ottocento obbligò tutti i comuni d’oltralpe a mettere una scuola nel proprio municipio: il primo Ferry entrò così nella storia della massificazione dell’istruzione, mentre probabilmente il secondo entrerà in quella della sua mercificazione.
Ebbene che cosa dice di avere intenzione di fare il ministro Ferry? Dice che bisognerà razionalizzare gli organici, cioè ridurre il numero degli insegnanti per pagarli meglio (un leit-motiv già noto anche da questa parte delle Alpi, no?!), che bisognerà decentrare il governo delle scuole alle regioni (guarda, guarda! che coincidenze!). Ma dice soprattutto che bisognerà ridefinire le finalità della scuola. E mette ciò al primo posto.

Le finalità della scuola.
Già! Ridefinire le finalità. Questo è il segno dei tempi. E Ferry ha il pregio di dirlo apertamente. Infatti fino ad una ventina di anni fa non era in discussione il fatto che una delle finalità della scuola, la principale probabilmente, fosse l’integrazione sociale. E questo non era un obiettivo solo dei governi di sinistra, socialdemocratici. Anche i governi conservatori in qualche modo, a modo loro, non sfuggivano a questa finalità.
In Italia ne abbiamo avuto un esempio. Fino a quindici anni fa da noi si scontravano due modelli di integrazione, quello di sinistra animato da obiettivi di riforma o trasformazione sociale e quello, magari un po’ più passivo, dei ministeri democristiani. Ma non c’è dubbio che eravamo di fronte a due modelli di integrazione sociale.
Oggi abbiamo di fronte un modello o più modelli di integrazione da una parte e un modello di disintegrazione dall’altra, dalla parte di chi governa. Di quella disintegrazione che serve al mercato per governare meglio salari e consumi. Questa è la novità, questa la nuova finalità.
Ma quando oggi si parla di scuola e mercato o di mercificazione della scuola vengono in mente immediatamente GATS, WTO, G8 e quant’altro, che proprio in questi giorni a Cancun affrontano questo tema dell’educazione e dell’istruzione nel mercato dei servizi.

Non solo GATS.
Ma il problema non si riduce solo a ciò né occorre pensare che un processo di questo genere si realizza dall’oggi al domani. E non solo perché per esempio l’Unione Europea ha detto no a simili scelte nel campo dell’istruzione pubblica, ma soprattutto perché i sistemi scolastici sono in genere refrattari a questo tipo di scelte. Non a caso a Porto Alegre uno dei forum si chiamava “La scuola come spazio di resistenza al liberismo”, perché vi è qualcosa di naturalmente refrattario all’idea di mercificazione delle conoscenze nel lavoro insegnante e nei sistemi in cui questo è organizzato.
Non tutti i sistemi però lo sono allo stesso modo. Non è un caso che la proposta di un accordo mercantile anche per i servizi educativi sia affondata come una lama nel burro in paesi come gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda o il Giappone, mentre ha trovato l’Unione Europea più ostile.
In Europa siamo molto lontani da un sistema scolastico unico. Nondimeno come per il resto dello stato sociale vi sono alcuni elementi che accomunano l’Europa. Fra tutti l’elemento che rende la scuola europea più coriacea al neoliberismo e al mercantilismo è il suo carattere pubblico, anzi, il più delle volte, statale.
Da questo punto merita attenzione un fatto che riguarda la Costituzione Europea. Vi sono state molte polemiche sulla questione della laicità e anche su quella della pace, per introdurre un articolo sul ripudio della guerra simile a quello che esiste nella nostra costituzione. Poca attenzione si è attribuita invece alla “sacralità” laica che l’istruzione ha da noi, per cui l’istruzione è funzione della Repubblica, non servizio. Un senso che non ha eguali negli altri paesi nemmeno in quelli germanico-nordici dove il carattere pubblico è sicuramente assai meno in discussione che da noi, men che meno nell’area britannica dove la scuola è tutt’al più espressione della comunità locale, per storia e tradizioni. Solo la Francia da lo stesso senso alla scuola e noi lo abbiamo mutuato, in forma imperfetta, grazie alla presenza del Vaticano, dalla Repubblica Francese.

La scuola in Europa.
Per quello che riguarda i sistemi scolastici l’Europa può dividersi storicamente grosso modo in tre aree (sottolineo storicamente perché ultimamente sono intervenute alcune modifiche, ma dal momento che la scuola è un sistema vitale le modifiche ci mettono molto a essere metabolizzate):

1) L’area britannica comprendente le isole, ma anche Olanda e Belgio, caratterizzata da scuole piuttosto autonome, dove sembrano prevalere rapporti di lavoro di tipo quasi commerciale, anche con molte scuole private: è l’area più vulnerabile al mercantilismo.
2) L’area mediterranea-latina a tradizione centralista e statalista, caratterizzata sul piano contrattuale da forme di lobbysmo politico, più forte e redditizio in Francia, meno in Italia: è l’area probabilmente più conflittuale col mercantilismo
3) L’area germanico-nordica dove le scuole dipendono prevalentemente dalle autonomie locali (lander o comuni), sono a gestione aziendale-industrialista con relative dinamiche contrattuali e sindacali dello stesso genere: è l’area forse più immobile, ma anche più immune di fronte al mercantilismo.

L’area mediterranea è quella più in trasformazione. Negli ultimi anni si sono avuti parecchi cambiamenti: la scuola spagnola si è regionalizzata sul modello tedesco, in Italia è stata introdotta l’autonomia scolastica e in Portogallo è stata introdotta la valutazione dei docenti, anche se in forma soft. La Francia è rimasta un Moloch centralista che finora ha decentrato solo l’edilizia scolastica e solo ora tra mille contraddizioni e tensioni parla di “decentralisation”: nondimeno il sistema ha ovviato al rischio dell’inflessibilità con l’accentuazione delle articolazioni segmentali sia nel sistema che nella professione docente.

Le tendenze comuni.
Comunque dentro tutte queste differenze ci sono tendenze comuni che lasciano anche intendere quanto i diversi ministeri oggi “si parlino” (soprattutto poi se appartengono ad un medesimo schieramento politico). Queste tendenze comuni sono:

• Anticipo della scuola dell’infanzia (Spagna e Italia)
• Anticipo delle scelte di indirizzo (Spagna a 14 anni, Francia a 12, Italia a 14, con arretramento dell’obbligo scolastico! – e anche Gran Bretagna in via sperimentale)
• Separazione rigida del sistema secondario in istruzione generale e professionale (Spagna, Italia, in misura minore in Francia)
• Regionalizzazione (Italia e Francia, ma in molti paesi si è accentuato anche il passaggio di competenze alle autonomie locali anche laddove questo era già ampio come in Svezia e Finlandia)
• Modifiche alla formazione iniziale degli insegnanti (Italia, Francia, un po’ diverso in Spagna)
• Tagli alle risorse (ovunque)
• Precarizzazione (non solo come conseguenza dei tagli, ma anche come introduzione di nuovi rapporti di lavoro o di nuovi meccanismi di assunzione soprattutto in Francia e in Italia).

Le dinamiche comuni.
Queste tendenze comuni provocano reazioni comuni soprattutto nel corpo docente. Christian Morrison dell’Ocse aveva scritto nel 1996: “La riforma più spesso necessaria e la più pericolosa è quella delle istituzioni pubbliche, che si tratti di riorganizzarle o di privatizzarle. Questa riforma è molto difficile perché i salariati di questo settore sono spesso ben organizzati e controllano settori strategici. Si batteranno con tutti i mezzi possibili, senza che il governo sia sostenuto dall’opinione pubblica. Quanto più un paese ha sviluppato un grande settore parapubblico, tanto più questa riforma sarà difficile da mettere in piedi”. E’ esattamente ciò a cui in fondo abbiamo assistito in Italia e in altri paesi europei. In Italia dal 1994 gli insegnanti costituiscono il settore più refrattario al neoliberismo della destra e del governo: nonostante le fortune democristiane del passato nel 1996 il 70% votò Ulivo e la fine della luna di miele col governo di centro sinistra ha spostato nel 2001 solo il 10% di questo elettorato ma non sulle posizioni governative bensì sulle liste intermedie.
Il culmine di queste reazioni in Europa si è avuto tra la metà di ottobre e quella di novembre 2002 quando con quattro scioperi in Italia, Francia, Spagna e Portogallo è sceso in sciopero circa un milione e mezzo di insegnanti e lavoratori della scuola.

Il caso della Francia.
Dentro queste vicende si è distinta quest’anno soprattutto la Francia. Per la Spagna, un po’ come per l’Italia, nonostante le lotte molto forti esplose tra ottobre e dicembre, la maggioranza parlamentare afferente al PP, neanche tutta quella che sostiene Aznar, ha approvato la Loce durante la vacanze di Natale e il movimento si è in una certa misura sgonfiato. In Francia invece la scuola ha fatto complessivamente, fra scioperi di categoria e scioperi intercategoriali, 14 scioperi lo scorso anno scolastico, alcune manifestazioni nazionali molto partecipate ed una miriade di mobilitazioni locali. Da ottobre a febbraio l’’agitazione ha riguardato soprattutto le scuole, contro i tagli, la precarizzazione, la “decentralisation” , cioè la loro regionalizzazione. Con marzo si è aperto un nuovo capitolo che ha riguardato il tema delle pensioni. Anche qui le analogie col caso italiano non mancano. Il movimento da scolastico è diventato generale, con un forte rilievo dei settori pubblici, scuola in testa, che come da noi godevano di più vantaggi e quindi risultavano i più colpiti dalla riforma. A maggio, mese topico per la Francia, direi, il movimento ha quasi ripercorso le vicende del 68. Dopo lo sciopero generale del 13 maggio addirittura numerose scuole non hanno riaperto e molti insegnanti, così come ferrovieri, postini e infermieri hanno continuato lo sciopero ad oltranza. Tanto che nelle contrattazioni i sindacati hanno posto il problema di retribuire anche i giorni di sciopero. L’agitazione si è trascinata fino alla chiusura delle scuole alla metà di giugno, col rischio del blocco degli esami, che non avvenuto per scelta dei sindacati. Non sono mancate anche mobilitazioni della destra contro il presunto strapotere dei sindacati. La vicenda ha ridisegnato il panorama delle relazioni politico sindacali francesi: la Cgt è sembrata diventare inaspettatamente l’interlocutore principale dei socialisti, la Cfdt si è trovata in forte contraddizione nei settori pubblici per aver avallato la riforma pensionistica, mentre sulla scuola partecipava al movimento con gli altri, mentre al contrario Force Ouvriere non ha partecipato al movimento iniziale della scuola per poi entrare prepotentemente nel movimento sulle pensioni.
Alla fine nuove assunzioni sono state disposte, ma la precarizzazione generale soprattutto nell’assistenza scolastica non è stata fermata. La decentralisation riguarderà solo tecnici e bidelli, ma comunque inizia. E l’iter della riforma pensionistica prosegue. Tutti si aspettano che in questi giorni si tornino ad affilare le lame.

Il caso dell’Inghilterra.
Dentro a questo quadro sicuramente segnato dalle generosità degli insegnanti francesi, ma non molto incoraggiante, qualche spiraglio sembra invece aprirsi nel sistema scolastico inglese. Il Guardian del 12 luglio scorso intitolava “Le scuole affrontano la rivoluzione degli esami”. Meno test, più formazione a tempo pieno ( nel senso di meno apprendistato e più scuola), meno esami, una valutazione più basata sulla frequenza scolastica, ma anche il riconoscimento del lavoro volontario dei ragazzi, delle competenze in lettura, calcolo e tecnologie dell’informazione e della comunicazione: questi saranno gli assi della riforma. Ma per il sistema inglese il cambiamento degli esami, soprattutto di quelli corrispondenti alle nostre maturità, comporta di fatto un cambiamento radicale nel sistema scolastico che è tutto impostato nella prospettiva della scadenza valutativa.
Infatti gli esperti che dovranno formulare il nuovo esame definiscono un “minestrone alfabetico” la situazione esistente nel paese, una delle peggiori del mondo industrializzato: 3700 moduli con altrettanti programmi e circa 800 differenti qualifiche dentro cui devono oggi districarsi gli alunni britannici. Nel 2000 solo il 58% degli alunni diciassettenni studiava nella formazione a tempo pieno, collocando l’Inghilterra al 25° posto tra i 29 paesi dell’Ocse per regolarità degli studi e mantenendo assai basso il numero dei passaggi all’università e all’istruzione superiore, che il governo laburista vorrebbe portare almeno al 50% della popolazione in età. Ora il sistema dovrebbe muoversi in direzione di un compattamento, di una ristrutturazione più organica. Insomma mentre da noi in Italia, ma anche altrove in Europa, come abbiamo visto, si decantano i vantaggi della disarticolazione del sistema, proponendone una specie di scissione ameboide che ( tra licei statali e professionali regionali, corsi omogenei e corsi non omogenei, a tempo pieno e in alternanza) si sa dove comincia ma non dove finisce, chi, come gli inglesi, ha già sperimentato i limiti di questo sistema, si propone di riaggregare, stabilire percorsi certi e codificati, titoli meno parcellizzati e più comprensivi.

Conclusioni.
Ecco, forse più che il GATS sono queste misure che meritano la nostra attenzione, perché esse sono la premessa perché il GATS possa passare: rompere, modificare l’incrostazione statalista, dividere, scacciare, sradicare gli insegnanti sotto diverse amministrazioni. C’è anche un fine diretto e strumentale in tutto ciò,quando un governo come questo, diversamente da tutti quelli che lo hanno preceduto, sa che per lui presso gli insegnanti non gode di molto consenso. Ecco allora che, per esempio anche la regionalizzazione, che di per sé non significherebbe la fine del carattere pubblico di un servizio, diventa uno strumento per questo scopo. Perché si pensa che prima o poi da qualche parte, per scelta consapevole o per caso, la soluzione di un problema farà scivolare il tutto verso rapporti di lavoro più casuali e precari, verso soluzioni privatistiche. Altrimenti perché queste cose vengono associate alle politiche di risparmio? Tutti sanno che un sistema articolato costa più di un sistema centralizzato, magari quello centralizzato è più inefficiente, ma sicuramente è più risparmioso, a meno che in quello articolato ognuno si arrangi come può.


http://www.edscuola.it
http://www.edscuola.com
Mail: redazione@edscuola.com
Date: 16 Sep, 2003 on 07:09
Saperi di Scuola: TENDENZE, DINAMICHE E DIBATTITI NELLA SCUOLA EUROPEA
Post a new topic Reply to this Topic Printable Version of this Topic
All times are GMT +2. < Prev. Page | P.1 | Next Page >
Go to:
 

Powered by UltraBoard 2000 Personal Edition,
Copyright © UltraScripts.com, Inc. 1999-2000.

Archivio
Archivio Forum
Archivio Rassegne