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«INVESTIAMO NEL DOMANI»
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1. «INVESTIAMO NEL DOMANI»
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da Famiglia Cristiana

SCUOLA
INTERVISTA AL MINISTRO DELL’ISTRUZIONE LETIZIA MORATTI

«INVESTIAMO NEL DOMANI»

«Per essere in linea con l’Europa dobbiamo moltiplicare per tre le spese per i giovani, la famiglia e l’infanzia. Per raggiungere l’obiettivo occorrerà una Finanziaria particolarmente adatta a questo tipo di programma».

Altro che zainetto e libri di testo: la famiglia italiana ha problemi ben più gravi: è quella che paga di più la scelta di mettere al mondo dei figli. Una famiglia con un reddito di 30.000 euro, in Italia, spende di tasse solo 500 euro in meno rispetto a una coppia che non ne ha, contro una differenza di oltre 6.000 euro in Germania e 3.000 in Francia. Il costo dei figli subisce un’impennata con l’ingresso nella vita scolastica, senza che lo Stato se ne accorga.

E c’è di più: l’Italia detiene il primato della disoccupazione giovanile, in un mercato che emargina sempre di più chi non riesce a riqualificarsi. Nonostante questo investe un terzo della media europea sul futuro dei giovani: solo il 3,8 per cento della nostra spesa sociale è destinata alle famiglie, all’infanzia e ai giovani, contro l’8,5 dell’Europa.

«Si tratta di prendere atto di una realtà che si è modificata e che richiede precisi interventi: per essere in linea con l’Europa dobbiamo triplicare gli investimenti per l’infanzia, la famiglia e i giovani: è un pacchetto complessivo».

Il ministro dell’Istruzione Letizia Moratti, oggi presidente del Consiglio europeo dei ministri dell’educazione e della ricerca, alza il tiro. Servono soldi non solo per far decollare la riforma della scuola, ma soprattutto per dare ossigeno alle famiglie e un futuro ai cittadini di domani. I 90 milioni di euro "sbloccati" dal ministro Tremonti sulla Finanziaria 2003 a favore delle famiglie che scelgono la scuola paritaria sono solo un primo passo. Serve, per la Moratti, una Finanziaria per i giovani.

Oggi però il dibattito è concentrato soprattutto sugli anziani.
«Non si tratta evidentemente di penalizzare gli anziani: c’è bisogno di una maggiore assistenza, che è cosa diversa rispetto agli interventi di previdenza. Si tratta di ricomporre la spesa sociale complessiva. Il modello sociodemografico attuale non regge più. Abbiamo un anziano ogni sei persone, ne avremo uno ogni tre fra trent’anni. Non possiamo fare cadere questo peso sui giovani, creando in questo modo conflitti generazionali».

Dove bisognerebbe investire, nel concreto?
«Intanto in tutti i settori che vanno a beneficio della formazione delle nuove famiglie: penso per esempio al sostegno per l’acquisto della casa, o agli asili nido. Ma gli interventi sulla scuola, quindi sull’istruzione e sull’università, sono fondamentali per il futuro dei giovani e del Paese. La qualità della vita dei cittadini, le loro scelte, la loro sicurezza sono strettamente legate alla qualità dell’istruzione. Anche la ricchezza del nostro Paese è strettamente correlata all’istruzione: il tasso di occupazione di chi ha un titolo inferiore al diploma è del 44 per cento, mentre è dell’81 per cento per chi è laureato, e anche l’indice di reddito è molto più elevato. Vuol dire che studiare produce benessere per sé e per gli altri».

Nella maggioranza di Governo oggi è comune questa sensibilità?
«Io sono assolutamente certa di questo perché nell’ambito delle priorità del Dpef sono indicati la riforma della scuola e il rafforzamento del sistema universitario e della ricerca. Si tratta di operare nell’ambito di vincoli di bilancio che ci sono dati dall’Unione europea e che naturalmente vanno rispettati, magari con un’interpretazione più adeguata alle diverse esigenze rispetto al momento in cui questi vincoli sono stati posti».

Lei concretamente ha dei progetti precisi per i prossimi anni?
«Certamente, bisogna impegnare risorse, anche se gli investimenti non sono l’unico strumento di questa politica. Si tratta di rivedere le politiche educative e formative con una maggiore personalizzazione dell’offerta. Va capovolto il paradigma: è la scuola che deve farsi carico delle esigenze dei giovani, e non sono i giovani che devono adattarsi alle rigidità della scuola. Noi abbiamo una dispersione scolastica molto alta, in certi punti raggiunge anche il 30 per cento, la media europea è del 19: abbiamo preso l’impegno, di qui a dieci anni, di arrivare al 10. Dobbiamo investire di più, per esempio nella formazione professionale, nell’istruzione e formazione tecnica superiore, ma tutta la scuola va progettata per un’offerta più personalizzata. E poi pensiamo a un’università che sia più rigorosa nel darsi degli obiettivi, disponibile a verificare i risultati».

Quindi l’obiettivo deve essere quello della competitività?
«No, più che di competitività io parlo di accountability, un termine che è difficile tradurre in italiano: un sistema universitario che deve porsi il problema di quanti giovani riesce a laureare, in che tempi, quanti sono gli abbandoni, quali le prospettive e gli sbocchi professionali. Quest’anno per la prima volta abbiamo introdotto, nell’ambito dei requisiti che vengono richiesti al sistema universitario, criteri che tengono conto anche di questi parametri. Per quanto riguarda la ricerca noi stiamo investendo moltissimo, persino nel Mezzogiorno. Nel 2003 le spese di ricerca sono aumentate di 400 milioni di euro. Abbiamo dedicato 78 milioni di euro a progetti di internazionalizzazione per i giovani, quindi abbiamo aumentato le borse di studio Erasmus, di Socrates e abbiamo creato 5.000 nuovi posti di dottorato di ricerca, portandoli a 8.000, nella media europea. Stiamo dando segnali concreti: tutti i progetti di ricerca finanziati dal ministero prevedono una quota destinata alla formazione di giovani ricercatori».

Eppure la riforma sembra in difficoltà anche per motivi finanziari. Si parte con l’inglese e l’informatica in prima e in seconda, ma poi mancherebbero gli insegnanti.
«Assolutamente no. Noi abbiamo formato sia gli insegnanti di inglese sia di informatica. Per quanto riguarda i docenti di informatica, l’anno scorso ne abbiamo preparato un totale di 198.000, e di questi 50.000 per le scuole elementari. Altri 50.000 sono in corso di formazione, sempre per le elementari. Stessa cosa per l’inglese: gli insegnanti ci sono e siamo in grado di partire tranquillamente con le tre ore di inglese che sono previste in prima e in seconda già da quest’anno. Non solo, ma coi due canali Rai "Divertinglese" e "Divertipc", grazie alla convenzione che ho firmato il 6 agosto e che impegna la Rai a installare le parabole in tutte le scuole, siamo in grado di dare un supporto splendido a tutti gli insegnanti».

Quanto ci vorrà per veder realizzata la riforma della scuola?
«Molti anni. Anche perché i cambiamenti devono essere metabolizzati, c’è bisogno di sperimentazione. Prima deve partire il primo ciclo, poi, a seguire, partirà il liceo. I tempi non sono ancora definiti. Può darsi che ci siano delle forme di sperimentazione per il liceo, prima che si arrivi alla fine del primo ciclo, o può darsi che si decida di partire anche sul secondo».

Intanto l’anno scolastico inizia con il vecchio problema dei precari, una questione tutta italiana.
«È un problema che abbiamo ereditato dai Governi precedenti. Erano stati attivati tre canali: i concorsi, i corsi abilitanti riservati e le scuole di specializzazione post laurea, sottostimando i numeri e creando così precariato. Il Governo precedente poi si era impegnato ad assumere 90.000 insegnanti, senza peraltro rispettare quest’impegno. Nell’agosto del 2001 noi abbiamo assunto 60.000 insegnanti, poi abbiamo rivisto la situazione complessiva e abbiamo trovato 18.000 docenti, pagati a diverso titolo, che non insegnavano: pagati dal sistema e fuori dal sistema. Siamo intervenuti per risolvere questa situazione: solamente a questo punto abbiamo chiesto al ministero dell’Economia di Giulio Tremonti 21.000 nuove assunzioni».

Quindi non si prevedono concorsi.
« No, perché la nostra riforma prevede che i futuri insegnanti dovranno avere la formazione della laurea triennale, più quella specialistica di per sé abilitante. Coi decreti delegati stabiliremo in che percentuale continueremo ad assumere attraverso le modalità attuali e in che misura attraverso le lauree specialistiche».

Si parla di un inizio di anno scolastico con costi pesanti da pagare, tutti sulle spalle delle famiglie.
«Stiamo esercitando una vigilanza molto attiva: per la prima volta abbiamo bloccato il costo dei libri di testo obbligatori. E chiediamo ai presidi di controllare che i professori non facciano comprare libri di testo oltre la cifra prefissata».

Simonetta Pagnotti


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Date: 08 Sep, 2003 on 09:33
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