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Città e provincia, severità sabauda e spirito emiliano
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1. Città e provincia, severità sabauda e spirito emiliano
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da Il Corriere della Sera
6 Settembre 2003

Città e provincia, severità sabauda e spirito emiliano

Città e provincia, severità sabauda e spirito emiliano, tradizione e innovazione. Eppure sarebbe sbagliato considerare il liceo «Massimo d’Azeglio» di Torino e il «Ludovico Ariosto» di Ferrara come gli estremi del mondo scolastico. A loro modo rappresentano piuttosto due scuole modello e mostrano quanto sia cambiato, in questi anni, il lavoro degli insegnanti. Di là dal tipo di istituto, in realtà, l’attività dei professori è uscita rivoluzionata dallo sforzo di comporre i valori del passato e le sfide del futuro. In ogni caso, le ore di lezione in classe, la mattina, rappresentano certo la parte più importante, ma tutto sommato marginale, quanto a tempo, nel corso della giornata. Pomeriggi impegnati, vacanze che si riducono e un lavoro che diventa sempre più collegiale: l’insegnante non se ne va, finita la lezione, la programmazione dei corsi richiede tante riunioni e spirito di squadra

TORINO
«I custodi della tradizione Il sogno? Fare solo lezioni»

DAL NOSTRO INVIATO

TORINO - Oggi la I B sta al primo piano, ambiente austero, soffitti a volta, intonaci bianchi, cornici delle porte e sedie in legno, banchi rivestiti di fòrmica, lavagna e gesso, tutto regolare. Poco oltre, nel suo ufficio, il preside Franco Massaia, gli occhiali cerchiati d’osso, s’avvicina all’armadio di noce e ne estrae un registro che pare un incunabolo, I B, anno 1923/1924, «vediamo un po’, ecco qua, "Pavese Cesare"...», e c’è da dire che il ragazzo se la cavava, italiano otto, (nove nello scritto: una volta tanto, avevano capito), latino e matematica sette, otto in storia e filosofia e scienze, «l’abbiamo promosso», precisa.
Sarà che qui li hanno sempre fatti studiare duro, giovanotti che si chiamavano Norberto Bobbio, Massimo Mila, Leone Ginzburg, Primo Levi, Vittorio Foa, Giorgio Colli o Giulio Carlo Argan, ne sapeva qualcosa pure l’Avvocato Giovanni Agnelli.
Chiaro che la tradizione, nel liceo dove è nata l’Einaudi e pure la Juventus («eh sì, purtroppo», sospira il professor Massaia, tifoso granata), sia quasi una presenza fisica con la quale fare i conti, «la faccenda è delicata perché non puoi cambiare così, come niente fosse. Le famiglie per prime si aspettano "il D’Azeglio", ma d’altra parte non è che ti mandino i figli solo per il nome, lo dico sempre ai docenti: vi fareste operare con gli strumenti di quarant’anni fa?». È quasi un problema alchemico, «tradizione e innovazione non sono in contrasto ma si tratta di trovare la giusta misura, mantenere un alto profilo culturale e introdurre i nuovi saperi». Il liceo è severo e funziona, all’ultima maturità su 123 studenti hanno contato ventidue "100" e una media intorno all’85, in omaggio alla «trasparenza» il «piano di offerta formativa» comprende la spiegazione dei voti, «latino e greco, dall’1 al 3: mancata comprensione del testo con presenza di gravissimi e ripetuti errori...». E intanto ha introdotto la sperimentazione delle lingue al classico, una sala con 12 computer dove si fanno i corsi d’informatica per la patente europea, collabora con il Politecnico, ha creato un sito (www.massimodazeglio.it), quest’anno le iscrizioni sono tornate crescere e si è aggiunta una sesta classe di IV ginnasio.
Del resto è cambiata la scuola, proprio in un liceo come il D’Azeglio si misura la rivoluzione nel lavoro degli insegnanti, «a volte sogno un anno sabbatico, nel senso di passare un anno in classe e basta», ride la professoressa Cristina Forchino, matematica e fisica, «anche il discorso dei tre mesi di ferie è una storia: io ho finito la maturità l’8 luglio e il 30 agosto stavo qui, ci sono i corsi di recupero, eppure a volte incroci vicini di casa che ti chiedono stupiti: ma come, già arrivata?».
Perché «oggi la scuola ti chiede di lavorare per progetti, oltre agli impegni istituzionali ci sono i lavori con gli altri docenti che certo non puoi fare la mattina». Certo, sospira, «il nostro è un mestiere ambiguo, se vuoi puoi fare poco: il problema è che lo stipendio medio resta basso e continua a non esserci una grande differenza tra chi lavora e chi no». Meno male che ci sono gli studenti, la parte bella del lavoro, anche il preside tradisce un orgoglio da papà: «Ragazzi educati, colti, capaci di discutere, questi sono in gamba».

G. G. V.

FERRARA
«Il liceo delle innovazioni Aule aperte fino a sera»

DAL NOSTRO INVIATO

FERRARA - Il liceo Ariosto sarebbe il «Guarini» dei romanzi di Giorgio Bassani ma la sede non è più quella che frequentarono lo scrittore e Michelangelo Antonioni, ora sta in una trasversale di quel Corso Ercole I d’Este che ospitava il giardino dei Finzi-Contini ed è una costruzione bassa distribuita su un piano come una fabbrica, le aule ai lati danno sul cortile alberato e in mezzo c’è la «piazza».
Così la prima impressione è di aver sbagliato ed essere entrati in un campus universitario, la scuola non è ancora iniziata e già è pieno di gente, crocicchi di insegnanti dall’aria indaffarata e studenti che vagano qua e là o si siedono intorno ai tavoli comuni dell’«agorà», lo spazio è ingombro di libri e zainetti, d’accordo che ci sono i corsi di recupero ma questi restano anche dopo, perché? «È sempre così», ride il preside Gian Carlo Mori, «tra corsi e attività sperimentali il liceo resta aperto tutta la settimana fino alle 19,30, una volta arrivò un ispettore e chiese: ma non hanno una famiglia? Pensi un po’ cosa aveva capito...».
Pochino, in effetti. Del resto qui facevano le prove d’autonomia trent’anni fa, nel ’74 partì il classico sperimentale con cinque anni di lingue straniere e gli indirizzi «letterario-moderno», «linguistico», «scienze umane e sociali». C’erano 685 studenti e oggi sono 1.416, un aumento costante con buona pace del calo demografico. Gli indirizzi sono diventati sei: classico tradizionale, classico sperimentale, linguistico, scienze sociali, scientifico e scientifico tecnologico. Il motto è «accompagnare i ragazzi», se uno teme d’aver sbagliato c’è il «riorientamento» e al pomeriggio c’è di tutto, dai laboratori musicali, scientifici o multimediali alle lezioni integrative di lingua (inglese, francese, tedesco, spagnolo), dall’attività di «tutoring» e i corsi di recupero per chi è rimasto indietro a quelli d’«eccellenza» riservati ai più bravi. Si fanno approfondimenti su beni culturali, archeologia, letteratura, storia, cinema, teatro e così via, il liceo pubblica pure dei «quaderni» che sono il frutto dei lavori di docenti e ragazzi.
Per forza che i prof stanno sempre lì, «e questo rende più visibile il nostro lavoro oltre le lezioni canoniche, le famiglie lo vedono», sorride Isabella Stevani, matematica e fisica in due corsi. Qui lo stipendio è sempre lo stesso ma l’impegno è moltiplicato, «anche perché una volta valeva il principio d’autorità ma ora te li devi conquistare, i ragazzi».
Eppure gli insegnanti mostrano uno spirito di squadra invidiabile: «Sto qui da dodici anni e l’ho scelto io, lavorare in una scuola sperimentale è più faticoso ma più interessante, divertente», dice Maria Calabrese, maglietta di Emergency e lettere in tre indirizzi. Gli altri professori fanno segno di sì. E Fabrizio Fiocchi, che insegna tecnologia, disegno, linguaggi non verbali e multimediali e intanto sistema la biblioteca: «Dipende dal clima, ogni cosa si progetta insieme, sei coinvolto». Domanda: ma come fa la scuola a finanziare tutto questo? Il preside allarga le braccia: «A ogni famiglia chiediamo un contributo volontario di 93 euro, stipendi a parte sono i soldi che finanziano per due terzi le nostre attività: i genitori vedono i risultati e pagano tutti».

Gian Guido Vecchi


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Date: 06 Sep, 2003 on 08:39
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