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E i prof invecchiano aspettando la cattedra
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1. E i prof invecchiano aspettando la cattedra
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da Il Corriere della Sera
3 settembre 2003

VIAGGIO TRA GLI INSEGNANTI
E i prof invecchiano aspettando la cattedra

Chi sono, quanti sono e quanto guadagnano gli insegnanti italiani. Viaggio nel mondo della scuola attraverso le testimonianze e le aspettative di un corpo docente ancora a netta predominanza femminile. Si entra nella scuola più tardi: 48 anni è l’età media dei professori di ruolo.

LA STORIA
I prof invecchiano, ormai l’età media è 48 anni

Si diventa di ruolo sempre più tardi. «La paga massima arriva dopo 35 anni di carriera». E continua la fuga dal Sud

Tra precari e di ruolo, l’anno scorso erano più di ottocentomila, distribuiti lungo tutta la penisola. Un universo composito per una professione che non è un mestiere come gli altri («semmai è una vocazione», dicono): per il senso di responsabilità, ma anche per le difficoltà, il continuo confronto con una società che cambia pelle. E insieme sono cambiati anche loro, gli insegnanti. Sono più vecchi, 48 anni in media di cui troppi passati da precari e lontano da casa, in una fuga verso il Nord che è un’ondata migratoria sommersa ma non meno sofferta. Un mondo a netta predominanza femminile, con poche gratificazioni economiche e un’immagine sociale sempre più in crisi.

IN RUOLO PIU’ TARDI - All’ultimo concorso ordinario, quello del 1999, le domande erano quasi un milione. Ed è notizia di questi giorni l’ultima «guerra tra poveri», come impietosamente è stata definita, precari «storici» contro «sissini» (i precari che hanno acquisito punteggi con le scuole di specializzazione). Il problema però è più ampio: gli insegnanti che sbarcano il lunario con supplenze di un mese o un anno sono oltre centomila. L’età media dei docenti di ruolo si è ormai attestata sui 48 anni: si entra nella scuola più tardi, con i figli da crescere, i mutui da pagare. Lorenza Martocchi, 29 anni, quest’anno sarà supplente alle elementari del comune più alto d’Europa, Trepalle, in provincia di Sondrio. Una classe di 11 bambini e la prospettiva di un anno fuori casa («Con affitto, benzina, bollette...»), a cui ne seguiranno con tutta probabilità molti altri e sempre in scuole diverse. «Quando ho fatto il "concorsone" pensavo di entrare di ruolo nel giro di 2-3 anni. Poi però negli elenchi trovi gente nata nel ’48 che ancora deve sperare nelle maternità, nelle malattie... Forse dovrei ritenermi fortunata».

UN MESTIERE AL FEMMINILE - I numeri parlano chiaro: quello dell’insegnante è un mestiere quasi tutto al femminile. Con picchi impressionanti: oltre il 99% di donne nelle scuole dell’infanzia, 95% nelle primarie. E dire che vent’anni fa, con la sentenza 173 dell’8 giugno 1983, la Corte costituzionale aveva finalmente aperto anche agli uomini l’insegnamento nelle materne. Una parità «al contrario», per rivitalizzare una tradizione illustre. Perché nella letteratura come nel cinema (dal deamicisiano Giulio Perboni al severissimo insegnante dei «Quattrocento colpi» di Truffaut), il maestro è sempre stato una figura centrale e rispettata. In Francia il mito resiste, come si è visto recentemente in «Essere e avere», documentario su una pluriclasse di montagna, con un maestro che sa usare il computer, ma anche riempire la lavagna di «o» dalla pancia rotonda. Il film ha avuto un discreto successo anche in Italia, dove la realtà, però, è ben diversa. «La causa più significativa - commenta il pedagogista Cesare Scurati - sono i compensi, bassissimi. Poi c’è la tradizione culturale: per noi italiani, educare è cosa da mamme». Mentre gli uomini hanno obiettivi diversi: «Dal punto di vista maschile, il successo sociale ed economico è più importante di quello morale. E la percezione sociale dell’insegnante continua a scendere». Una tendenza controproducente: «L’assenza di figure maschili - ammonisce Scurati - può creare problemi seri nel percorso educativo».

FUGA DAL SUD - Un’altra tendenza incontestabile è la mobilità diffusa, soprattutto da Sud (dove il privato offre meno opportunità) verso Nord. Per accumulare punti, e sperare in un prossimo ritorno. Ma l’iter, anche qui, è lungo e spossante. «Per questo ho scelto di non spostarmi, in controtendenza rispetto a molte colleghe - racconta Maria D’Avanzo, 39 anni, maestra alla primaria di San Vitaliano, un piccolo centro vicino a Napoli -. Sono stata fortunata, nel ’90 c’è stato l’inserimento dei moduli e i posti sono aumentati, sono entrata allora. Ma chi era salito al Nord all’epoca lavorava già da due o tre anni, e qui oggi arrivano ancora supplenti di 45 anni, ti vergogni quasi a dire che sei di ruolo». Perciò la fuga continua, tra mille difficoltà: «Noi abitiamo in un paesino, abbiamo il nostro olio, la verdura, i nonni che ci tengono i bambini... Ma per chi vive al Nord, nelle grandi città, non è facile con i nostri stipendi».

I CONTI IN TASCA - Con il contratto firmato nel maggio di quest’anno, chi insegna nella scuola dell’infanzia o alle primarie guadagna, appena entrato di ruolo, poco meno di 17 mila euro lordi l’anno. Un neoprofessore di scuola media o liceo parte con 18.128 euro. Peccato che, andando avanti, gli aumenti siano modesti. Una maestra con 35 anni di insegnamento alle spalle, ad esempio, percepisce meno di 24.500 euro lordi l’anno. «La forbice tra noi e gli altri Paesi si allarga di pari passo con l’anzianità di servizio - spiega Enrico Panini, segretario generale di Cgil Scuola -. Senza contare che la carriera è più lunga: se all’estero la paga massima arriva dopo 20-25 anni, in Italia dobbiamo aspettare fino a 35». Il motivo? Non è incoraggiante: «La retribuzione fotografa il valore che un Paese attribuisce a quel mestiere. E in Italia l’importanza che si dà all’insegnamento è oggi drammaticamente scarsa».

IL TEMPO LIBERO - Non è che con queste cifre (e un orario che più che flessibile si potrebbe definire elastico) ci si possano permettere grandi distrazioni. Ma le passioni, quelle no, non si toccano. «Cinema, innanzitutto. Poi tantissimi libri, compatibilmente con i prezzi - racconta Leonardo Giuffrida, 40 anni, insegnante di francese in una scuola media -. E le mostre: anche se io, precario da 15 anni, non ho neppure lo sconto previsto per i docenti di ruolo. Come a dire, oltre al danno...». Nonostante i problemi con il conto in banca, gli insegnanti rappresentano una buona fetta del mercato editoriale italiano. «La maggioranza dei lettori "forti" - conferma Ethel Serravalle, dell’Associazione italiana editori - è nel mondo della scuola. La media è di almeno un libro al mese, soprattutto per i docenti di italiano, storia, filosofia». E la passione per l’insegnamento si trasferisce anche nel tempo libero: «In molti - spiega Giuseppe Chiodo di Sinferie, agenzia viaggi della Cisl - fanno un solo viaggio all’anno, ma sono tour culturali di alto livello. Negli ultimi tempi però sono aumentati i single: tra tanti trasferimenti, costruirsi una famiglia diventa complicato». «Di spazio per la vita privata non ce n’è molto - conferma Giuffrida -; il rischio è di rimanere "precari" anche lì. Ma è una questione di passione: io non cambierei mai lavoro. Nonostante tutto».

Gabriela Jacomella


LA DOPPIA VITA
«La mattina precario, il pomeriggio commesso del reparto Intimo»

Si è laureato in Lettere su Céline e l’evoluzione del comico, «il Viaggio al termine della notte ha tutti gli stilemi del genere ma non fa ridere». Però Gianni Crippa, 27 anni, ha mantenuto il senso dell’umorismo ed è il primo a sghignazzare della sua doppia vita: la mattina insegnante precario di lettere all’istituto «Maddalena di Canossa» di Monza, il pomeriggio o la sera commesso alla Rinascente di Milano, «primo piano, reparto "intimo uomo", insomma vendo mutande». Vive ad Arcore con i genitori, e del resto c’è poco da fare: «Con otto ore di lezione la settimana guadagno 200 euro al mese, alla Rinascente ho iniziato prima della laurea e mi trovo bene, lo stipendio è sicuro, dai 700 ai 900 euro». Ma non è finita, «tra un turno e l’altro studio per il dottorato». Vita da giovane precario, che il professore certo non nasconde: «E perché? Ai ragazzi l’ho detto, mi passano pure a trovare...».

«Su un’agenda le spese del giorno per non rimanere col conto in rosso»

MILANO - Ha un’agenda che pare la vita d’un insegnante « more geometrico demonstrata », direbbe il suo amato Spinoza, ma lui sorride timido e scorre le sue giornate disposte in ordine euclideo, nient’altro che un libretto nero sul quale annotare le spese quotidiane, «euro 1,80, giornali», «euro 7,50, porchetta», «euro 25, libro di Storia della filosofia analitica», alla fine di ogni giorno c’è il totale delle spese, alla fine di ogni settimana l’aggiornamento del conto in banca, «vabbè, magari esagero, però mi è capitato di scoprire dei rossi pazzeschi e allora è meglio stare attenti...». Il professor Gianguido Piazza ha quarantanove anni e insegna storia e filosofia al liceo classico Manzoni di Milano, diciotto anni di anzianità, stipendio mensile da millequattrocento euro, la moglie docente di latino e italiano nella stessa scuola, il figlio di ventidue anni che studia Scienze motorie e una vita tutto sommato serena anche se sorvegliata, «cinema ogni due settimane, cena fuori ogni tanto, nelle occasioni speciali, diciamo una volta al mese, e poi i libri...».
Alza lo sguardo, nello studio gli scaffali allineano volumi in doppia fila, «magari capita di girare in libreria e non prendere niente, dai un’occhiata, leggi qualcosa, fai una lista di opere da comprare in futuro». Alza le spalle, «basta stare attenti, ecco». La casa non è un problema, una palazzina d’una via semiperiferica e tranquilla, «siamo fortunati, niente affitto, l’appartamento era dei genitori di mia moglie». Per il resto si va avanti, «talvolta l’attesa dello stipendio è un po’ trepida, questo sì, ma più che altro da quando c’è l’euro non si riesce a risparmiare, anzi i risparmi si assottigliano e speri che non ci siano emergenze, che i denti restino sani, meno male che hanno almeno sbloccato il nuovo contratto...». Però «le cose che ci piacciono riusciamo a farle», dice, «anche perché i nostri hobby non sono costosi...».
Lui e la moglie hanno la passione delle ricerche storiche, fu il professor Piazza a scovare nell’archivio del Manzoni il verbale del 15 settembre 1938 che «in difesa della razza» annunciava: «Dovranno essere eliminati circa 50 alunni di razza ebraica». Eliminati . Lo lesse ai suoi ragazzi e loro hanno lavorato due anni per rintracciare quei vecchi compagni. L’opera è dedicata a Regina Gani, cacciata a undici anni, deportata ad Auschwitz e uccisa «in luogo ignoto». Ma tutto questo non c’entra niente con le «attività pomeridiane per integrare l’offerta formativa» che ai docenti vengono pagate «13-14 euro all’ora». Piuttosto riguarda l’essenziale, il motivo per cui uno sceglie questo lavoro, «amavo la filosofia, fare l’insegnante era naturale e mi sembrava potesse essere una vita dotata di senso, trasmettere certi valori alle nuove generazioni».
Il padre insegnava latino e greco in provincia, la mamma era casalinga «e il tenore di vita non era certo elevato, papà non ha mai avuto un’auto, viaggiava in treno, la tv è arrivata in casa alla fine degli anni Sessanta perché mia nonna aveva cambiato la sua». Austerità, sobrietà, «la capacità di rinunciare al superfluo». Alla Statale si è laureato nel ’77 con il grande Ludovico Geymonat, «un esempio di chiarezza, onestà, sapeva dire cose importanti senza toni oracolari», il papà «mi ha trasmesso l’abito del mestiere», e il resto è venuto da sé. Anche se allora era diverso, «un professore aveva prestigio in quanto tale, oggi te lo devi conquistare». Ha iniziato in una privata, mezzo milione al mese, poi i concorsi per le medie e le superiori in provincia, «sono diventato di ruolo dopo otto anni, nel ’96 ho raggiunto mia moglie al Manzoni». Nel frattempo il lavoro è cambiato, 18 ore di lezione la settimana e collegi, consigli, scrutini ma anche le attività del pomeriggio, «da ultimo ho tenuto un corso di storia del cinema». A casa c’è lo studio, il computer è acceso, «certo che preparo ancora le lezioni, anzi sono diventato più severo con me stesso». Riviste specializzate, qualche collaborazione editoriale per arrotondare, ci sarebbero pure le ripetizioni «ma senza esami a settembre sono diminuite, restano le materie "dure" come greco o matematica...».
Intanto spieghi Platone, passano le generazioni e fra i banchi sfilano immutabili volti da adolescenti, «t’accorgi che stai invecchiando nei colloqui con i genitori, all’inizio potevano quasi essere i miei, poi eravamo coetanei, adesso si fanno più giovani». Ma va bene così, «non sono deluso, piuttosto mi angosciano i nuovi colleghi, tanti anni di attesa, tante energie sprecate... Mi piacerebbe insegnare agli insegnanti, ho già avuto esperienza, anche perché temo che verso fine carriera il rapporto con i ragazzi sia più difficile, non voglio diventare il nonno degli studenti».
Ma è ancora presto, sulla porta il professor Piazza saluta e sorride ancora, jeans, polo blu, ha l’aria di un ragazzo con qualche capello grigio, gli occhi lampeggiano felici: «A proposito, la ricerca sugli studenti ebrei va avanti, sa che i ragazzi hanno chiesto di intitolare a Regina la nuova biblioteca della scuola?».

Gian Guido Vecchi


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Date: 03 Sep, 2003 on 07:42
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