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Anno europeo del disabile Scuola: bilancio di 30 anni di integrazione
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1. Anno europeo del disabile Scuola: bilancio di 30 anni di integrazione
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da lasicilia.it
Lunedì, 28 Luglio 2003

Anno europeo del disabile Scuola: bilancio di 30 anni di integrazione
Docente di sostegno e allievo
il rischio della ghettizzazione


Pinella Leocata
Il 2003 è l'anno europeo del disabile. Sono trascorsi trentadue anni da quando, in Italia, per legge - la 118 del 1971 - furono eliminate le classi differenziali e le scuole speciali e fu sancito il diritto per gli allievi disabili di frequentare le scuole normali. Un diritto limitato alle sole scuole dell'obbligo perché per l'accesso alle superiori, ad impianto meritocratico e selettivo, bisognerà attendere la sentenza 215 del 1987. Quale bilancio, per la scuola catanese, di questi tre decenni di integrazione? E quali i nodi irrisolti e le sfide dell'oggi?
Per la prof. Agata Di Luca, responsabile dell'ufficio integrazione del Csa, ex provveditorato, bisogna partire dal legge 517 del 1977 che riconosce la diversità soggettiva nell'apprendimento e, dunque, il diritto all'individualizzazione dell'insegnamento. «Nasce in questo contesto - spiega - la figura del docente specializzato a leggere i bisogni di apprendimento dello studente in situazione di handicap, bisogni che richiedono progetti, strumenti, attrezzature, tempi e metodi differenziati. E, invece, finora, la scuola italiana ha offerto e seguito il modello unico della lezione frontale, mentre si può insegnare per gruppi, in laboratori, tra pari, la "peer education" che poi è il vecchio metodo di San Giovanni Bosco. E usare metodi adeguati alle esigenze e alle caratteristiche del singolo allievo è importante per tutti, perché ognuno ha attitudini, potenzialità e interessi differenti. Ed è tanto più importante per i ragazzi disabili molti dei quali hanno subito delle lesioni cerebrali. Per loro la possibilità di apprendere passa dal sapere fare, cioè dal sapere procedurale, e solo dopo approdano alla capacità di descrivere cosa hanno fatto, cioè al sapere dichiarativo. Per loro la comunicazione passa attraverso il corpo e l'esperienza diretta. Ed è per questo che l'integrazione dell'allievo disabile a scuola è un arricchimento per tutti, perché impone ai docenti di valorizzare le diverse potenzialità e attitudini di ognuno degli allievi, un tipo di insegnamento che l'autonomia scolastica e la flessibilità rendono possibile».
Questo è il modello cui la scuola dovrebbe tendere, ma la realtà, storicamente, si è configurata in modo diverso. Di fatto il docente di sostegno ha svolto un ruolo atipico. Ha fatto da psicologo, da assistente sociale, da assistente personale ed è stato l'unico cui è stata delegata la risoluzione dei fenomeni di integrazione. In qualche modo, dunque, non è stato valorizzato il suo ruolo principale, il ruolo di docente che insegna e dà stimoli ai propri allievi. «Se questo percorso è stato storicamente necessario - sottolinea la prof. Di Luca - va detto che le nuove acquisizioni, così come le circolari ministeriali (2 ottobre 2002), dicono chiaramente che dell'integrazione degli studenti disabili si deve fare carico collegialmente la comunità educante nel suo complesso. Ed è un compito e un percorso complesso che richiede l'intervento sinergico di tutte le istituzioni interessate alla vita di un ragazzo, a partire da quella familiare. Sono i genitori, infatti, che conoscono meglio di ogni altro i gusti, le attitudini, le preferenze del proprio figlio e sono loro che bisogna ascoltare per impostare un progetto educativo efficace, che non faccia perde tempo e risorse alla ricerca dell'approccio più efficace alla singola persona. In questo contesto, anche alla luce della legge 328/2000 che riordina i servizi socioassistenziali, vanno considerati risorse anche i compagni di classe, la Asl e tutti gli altri enti istituzionali». E una parola chiara la prof. Di Luca vuole dire sul ruolo della Asl: le compete la diagnosi funzionale - cioè la diagnosi del deficit e delle funzioni attive - e pertanto può dare indicazioni sulle ore di riabilitazioni, ma non su quelle di insegnamento che, come ogni attività pedagogica, attiene alle facoltà della scuola (circolare 8-8-2002).
A questo proposito la prof. Agata Di Luca vuole sfatare l'errato convincimento dei genitori degli studenti disabili che chiedono un docente per ognuno e, spesso, se non lo ottengono, contro la decisione del provveditorato, si rivolgono ad un avvocato e al tribunale del malato. «Sono in buona fede - dice - ma non si rendono conto che il rapporto uno ad uno, un docente di sostegno per un allievo disabile, è esso stesso escludente e negativo per il processo di integrazione che, come dice anche la legge, per essere tale deve esser condiviso da tutta la comunità scolastica, a partire dai compagni di classe e dai docenti». Nella finanziaria del 1997 si decise che per individuare il numero di insegnanti di sostegno, in campo provinciale, bisognava considerare il rapporto 1 insegnante di sostegno ogni 138 allievi normodotati e non. Erano previste deroghe per casi eccezionali. Ma la deroga è diventata la norma. A Catania per l'anno 2003/4 per 4.087 alunni disabili ci sono 2.502 insegnanti di sostegno: un rapporto di 1,62, lo stesso dell'anno scorso quando gli allievi disabili erano 3.841 e gli insegnati 1.192. Questo significa che, tendenzialmente, le famiglie e le scuole chiedono un insegnante di sostegno per ogni allievo disabile. Ed anche questo è un pregiudizio da superare perché si traduce in una nuova forma di ghettizzazione.


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Date: 28 Jul, 2003 on 13:50
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