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1. E la scuola? Avanti, piano
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da Il Corriere della Sera
16 luglio 2003

E la scuola? Avanti, piano

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

Fra le priorità politiche il Documento di programmazione economica e finanziaria indica scuola e ricerca. L'avvio della riforma viene ritenuto indispensabile alla crescita dell'Italia. Sono state recepite le tabelle di spesa presentate dal ministro Moratti, 523 milioni di euro in più per mettere in moto il progetto della nuova istruzione e 1200 milioni per ricerca e università. All'interno di queste cifre, 212 milioni andranno all'informatizzazione del sistema scolastico e 75 alla formazione dei docenti. Non è davvero molto, ma siamo in siccità di fondi e in congiuntura calante. In più ci sono i vincoli europei di bilancio. Proprio per ciò al cuore di tutte queste carte, fra generiche affermazioni di impegno e talune reticenze, resta la domanda: gli investimenti immateriali nella crescita sia delle competenze sia delle ricerche sono una spesa o invece sono un accumulo di ricchezza? Si deve mettere nella partita del deficit oppure in quella della produzione (differita) il denaro che esce, ma tornerà e potenzierà le capacità tecniche e scientifiche del Paese? Le risorse umane quando vengono consolidate diventano capitale. I nostri ricercatori creano prodotto con risultati consistenti. Altrettanto i nostri figli, quando escono preparati dalla scuola, sono capitale umano spendibile. Questa convinzione, con qualche timidezza, parrebbero condividere il programmatore nazionale (Tremonti) e quello europeo (Monti). In estrema semplificazione il patto di stabilità è visto come modello didascalico di crescita, e non si cresce senza ricerca e senza competenza. Le logiche di Maastricht non sono un meccanismo di blocco e non possono rallentare studio e ricerca.
La fotografia contenuta nel Dpef non è esaltante. Siamo poco sopra Spagna, Portogallo e Grecia negli investimenti per la ricerca. L'uno per cento del Prodotto interno lordo significa che nel serbatoio del Paese si versa un litro di intelligenza additiva ogni cento di tradizionale carburante. Altrove ci sono più dinamismo e più flessibilità. In Spagna, per fare un esempio, i ricercatori possono andare e venire fra università e aziende private mantenendo per quattro anni la garanzia del reinserimento e fornendo alle imprese la linfa delle nuove scoperte.
Sarebbe però distorsivo ridurre tutto a tabelle comparative, cui sfugge la sostanza del contendere. Secondo la definizione del cosiddetto Frascati Manual dell'Ocse, recepito dall'Unione Europea, se mandi un figlio a studiare in Inghilterra o in America per prendere il Phd ( Philosophical degree ), che è il massimo della preparazione per un ricercatore, la tua spesa non va ad aggiungere nella statistica quel taccagno uno virgola zero qualcosa per cento del Prodotto Interno Lordo, di cui pur fanno parte la tua fatica e quindi il tuo stipendio, con il quale finanzi il figlio ricercatore all'estero.
La tecnocrazia finanziaria europea trova difficoltà a collegare le cifre dei bilanci al senso dello sviluppo immateriale, che è garantito dalle conoscenze e dalle competenze. C'è una discontinuità cronologica fra il momento della spesa e quello dei ritorni all'interno del prodotto complessivo. I governi europei cercano di accorciare i tempi fra i calcoli del finanziamento all'istruzione e alla ricerca e quelli della restituzione di ricchezza ai bilanci e alla società. L'Inghilterra ha inventato apposta il cash voucher con la formula dei soldi restituiti subito alle piccole e medie imprese che investono nella ricerca ma trarranno soltanto vantaggi assai differiti nell'aumento della produttività. Non hanno quindi interesse a partecipare al tradizionale sistema degli sgravi fiscali sul reddito immediato (che spesso non c'è).
Anche la scuola ha bisogno di un'apertura di credito sia finanziaria sia politica. Si ha l'impressione che la scarsezza di fondi non basti a spiegare l'attrito ideologico e corporativo che rallenta la fase iniziale della riforma. Perno del nuovo sistema è la figura del tutor , indispensabile per piani di studio individualizzati e per la restituzione della centralità alle famiglie. Tutta questa parte resta in attesa, al di là delle apprezzabili sperimentazioni.
Il dibattito in Parlamento consentirà di capire quanta forza abbia la pretesa di ridimensionamento che qua e là si coglie in settori della maggioranza e dell'opposizione. Il Dpef in sé e per sé ha una sua leale neutralità, di più non si può spendere ma si riconosce che appena i soldi ci saranno andranno spesi. Intanto si può risparmiare nelle polemiche eliminando lacci e lacciuoli ideologici e corporativi alle idee riformatrici. L'obiettivo conservatore di ridurre il volo della Minerva all'arrancare di un uccello dalle ali corte non giova né alla cultura né all'economia.

Gaspare Barbiellini Amidei


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Date: 16 Jul, 2003 on 08:25
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