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FAGGIN Il rivoluzionario armato di microchip
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1. FAGGIN Il rivoluzionario armato di microchip
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da Il Corriere della Sera
Lunedì, 13 Agosto 2001

ITALIANI AI CONFINI DEL SAPERE Sessant’anni, da più di trenta in America. Le sue scoperte hanno aperto l’era del personal computer. Ora avverte: «Il nostro Paese è troppo indietro»

FAGGIN Il rivoluzionario armato di microchip

dal nostro inviato GIAN ANTONIO STELLA


SANT’AUGUSTIN (Florida) - Se volete sapere come sarà il futuro potete fare due cose. Una è affidarvi agli astri di Branko, il «Signore dei Gemelli» che spiega amabile nei salotti come, dopo aver bevuto il caffè la mattina, cerchi di «dare anima ai corpi celesti». L’altra è prendere un volo per Miami e risalire la Florida, tra boschi e acquitrini e interminabili rettifili fino alle spiagge di Sant’Augustin dove in qualche trattoria sul mare, davanti a un calice di Chardonnay californiano e un gigantesco granchio religiosamente celebrato chela dopo chela, potete trovare lo scienziato italiano più celebre d’America, Federico Faggin.
Vi dirà che, tempo dieci anni anni, il vostro frigo avrà sensori che, preso atto delle vostre abitudini, vi avvertiranno che è finito il latte. E la vostra auto potrebbe portarvi a destinazione senza il fastidio che vi mettiate alla guida. E il vostro cellulare avrà il Gps satellitare di serie e sarà una scatoletta piatta dove potrete avere oltre il telefono la macchina fotografica e il registratore e la radio e la tivù. E la vostra biblioteca potrà essere ricca quanto quella di Abdul Kassem Ismael, il Gran Visir di Persia che mille anni fa viaggiava sempre seguito da 400 cammelli che portavano la sua collezione di 117 mila volumi in rigoroso ordine alfabetico. Ma consisterà tutta, a meno che non possiate proprio rinunciare ai vecchi volumi «che odorano di carta e continueranno a esserci per un mercato di nicchia, in tre o quattro libri di formato diverso».
Meglio: e-libri. Tavolette più o meno grandi a seconda dei gusti o del tema, leggerissime, dotate di otto o più ore di batteria e via via riempite di tutto ciò che volete. «Con una differenza fondamentale, a parte la sparizione della carta: che il libro sarà interattivo, collegato automaticamente a Internet e se leggi la Divina Commedia e vuoi saperne di più sul conte Ugolino ci clicchi sopra e apri un’enciclopedia o la monografia di un seminario universitario. E se invece stai studiando un testo di fisica puoi vederti il filmato di un esperimento».
Se la gode, Federico Faggin, nel seminare lo stupore. E ti racconta che un giorno «potremo tutti andare in Cina senza saper una parola di cinese e avremo un auricolare nell’orecchio e un piccolo microfono nel quale diremo a bassa voce: "Buon giorno, signore" e da un piccolo altoparlante collocato da qualche parte, magari "spalmato" su una camicia-altoparlante, uscirà la traduzione in cinese». Tempi? «Questo del traduttore simultaneo, che sarà la svolta epocale, lo vedo più lontano. Forse ci vorranno venti anni. Forse trenta... Non è facile».
Pensate alla persona più stupida che vi viene in mente: cubista, ministro, centravanti, giornalista o bagnino che sia. Bene, il problema di Faggin è tutto lì: un ottimo portatile dell’ultima generazione, a vent’anni esatti dalla creazione del primo pc, ha 40 «giga» di memoria e il «mona più mona» al quale avete pensato voi, per dirla alla veneta, «ha un cervello che di giga ne ha almeno centomila». Insomma: è vero che ha avuto più tempo, ma per ora al buon Dio siamo venuti meglio noi. Ogni tanto, pensando alla montagna insormontabile di difficoltà che hanno impedito finora di mettere a punto un computer che facesse cose banali come leggere una fotografia («a sinistra c’è un uomo, a destra un asino, al centro una palma»), un altro si sentirebbe cadere le braccia. Lui no.
Forse perché il padre Giuseppe insegnava filosofia al liceo di Vicenza e deve avergli insegnato a guardare il mondo con distacco. Forse perché erano anni che non faceva tre settimane di vacanza come queste nella casa sull’Atlantico a un bel po’ di chilometri dal suo ufficio a Palo Alto, nella Silicon Valley a sud di San Francisco. Forse perché ha imparato la virtù della pazienza assistendo impotente agli interminabili restauri della Basilica Palladiana: «Ci siamo comprati un appartamento che ha cinque finestre che danno sulla Basilica. Per quindici anni non l’abbiamo mai vista tutta intera. Ora aggiustavano di qua, ora aggiustavano di là... In America non succederebbe mai».
Additato come un genio, accostato da Forbes e da più riviste scientifiche a Enrico Fermi e Guglielmo Marconi, premiato con il «Kyoto» che nell’elettronica equivale a quel Nobel al quale molti lo candidano da anni, benedetto da un’aneddotica centrata sul giorno in cui chiese al babbo «cosa posso inventare?» e si sentì rispondere «prova a mettere il mare in un bicchiere», Faggin non è il tipo che se la tira. La pensa come Oscar Wilde: la seriosità è la senilità della serietà. Se gli chiedi com’è che inventò il «microchip» che restò in commercio dal ’75 al ’95 (venti anni che in un settore come quello sono un’era geologica) è capace di risponderti: «Dovevo mettere un po’ di ordine in casa». Per poi aggiungere: «Se non l’avessi costruito io l’avrebbe fatto qualcun altro».
Piccolino, capelli dalle sfumature rossicce, occhiali, aria anonima e dimessa, «Fed» è in realtà un mostro.
L’equivalente in maglietta a righe dell’ircocervo, del pesce-scimmia o del tonno-bove. L’incrocio impossibile tra uno scienziato (autore di altre due brevetti famosi: il «touch pad», lo specchietto sul quale il dito fa da mouse nel 75% dei portatili, e un programma che ha codificato 21 mila ideogrammi aprendo l’uso del computer ai cinesi che non sanno l’inglese) e insieme un imprenditore.
Ha varie società in America, ha declinato la vicepresidenza di un colosso come la Exxon, siede nel consiglio d’amministrazione di multinazionali varie: «Possiamo deliberare riunendoci al telefono. Legalmente. L’Italia non sa quante opportunità perde negando la legalità alle riunioni via cavo o Internet. Quelli che conoscono i mercati mondiali sono pochissimi. Dei buoni membri americani sarebbero preziosi. Ma chi può perdere tre giorni, a un certo livello, per andare due ore in Italia?».
Ogni tanto glielo chiedono, di tornare. «Ma come, Federico, tu, che parli solo italiano in casa con tua moglie e i tuoi figli...». Niente. Il ricordo dei «bigoi co’a sardea» lo fa sospirare e la «poenta e osei» gli mette malinconia, ma se qualcuno spera che torni per i profumi della cucina vicentina, ciao. Era socio in un’azienda, l’ha venduta: «Io sono italiano e amo l’Italia, ma nelle tecnologie d’avanguardia c’è un buco inaccettabile. Siamo i quinti al mondo? Bene: dovremmo essere i quinti anche nell’informatica. E invece siamo molto, molto, molto più indietro. L’Italia va bene per far camicie, non i prodotti d’avanguardia».
Colpa dell’Università: «Troppo distacco tra la ricerca e le imprese. Troppa burocrazia. Troppi docenti chiusi nelle torri d’avorio. Quando cominciai a lavorare all’Olivetti eravamo tre o quattro anni indietro rispetto all’America. Oggi la distanza è abissale. Io mi tolgo il cappello davanti ai padroncini del Nordest. Sono bravissimi, costruiscono macchine straordinarie. La parte elettronica però è fatta da altre parti. Nulla è italiano: nulla di nulla». Colpa della politica: «Non aiuta chi fa ricerca». Ma anche degli imprenditori: «Non hanno coraggio, non credono nella cultura, vogliono tutto subito, non mettono i soldi per scommettere sul dopodomani come gli americani o i cinesi di Taiwan. Per carità: scelte. Ci sarà sempre bisogno di pasta, maglioni e sellini. Ma io resto qua».

Una vita piena di sfide

Federico Faggin è nato a Vicenza nel 1941. Si è laureato in fisica a Padova. Trasferitosi
negli Stati Uniti, nel 70 entrò alla Intel dove diresse lo sviluppo del primo microprocessore
Ha fondato: nel 74 la Zilog (dove creò lo Z80), nell’ 82 la Cygnet, nell’ 86 la Synaptics, di cui è attualmente presidente

Ha dato il cuore al pc

Il gruppo di Faggin, Hoff, Mazor sviluppa nel 1971 il primo microchip: l’Intel 4004. È l’inizio della rivoluzione informatica Dieci anni dopo, nell’agosto ’81, l’Ibm lancia a New York il primo personal computer. In tutto il mondo oggi i Pc sono oltre 500 milioni


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Date: 13 Aug, 2001 on 07:03
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