Il ministero fissa le nuove regole con una lettera ai rettori. Addio ai corsi con migliaia di posti

Moratti: soldi solo agli atenei migliori

Maggiori finanziamenti alle università dove gli studenti si laureano in tempo e trovano subito lavoro

ROMA - Più finanziamenti alle università «virtuose»: quelle che vantano un maggior numero di studenti in pari con i tempi stabiliti per il conseguimento dei titoli e che appena laureati trovano un posto di lavoro. Meno soldi a quelle che non raggiungono il risultato racchiuso in uno slogan: laureati presto e bravi. Il ministro dell’Istruzione, Letizia Moratti, fissa le regole per i rettori. E in una lettera, inviata ieri a tutti gli atenei d’Italia e al Comitato Nazionale di valutazione del sistema universitario, stabilisce i criteri di efficienza a cui bisognerà attenersi. Pena il taglio dei finanziamenti. Scrive la Moratti: «L’obiettivo primario di una maggiore qualità ed efficacia della didattica - e quindi del livello e dei tempi di apprendimento degli studenti del sistema universitario italiano - resta ancora una priorità assoluta». «Pur in presenza - sottolinea - nel corso degli ultimi anni, di un miglioramento di alcuni risultati quali l’incremento del numero dei laureati e la riduzione degli abbandoni degli studenti iscritti». Il fine dichiarato è quello di ridurre i tassi di abbandono, aumentare il numero degli studenti attivi, ma anche aumentare la mobilità degli studenti che potranno accumulare crediti, come ora accade all’estero per l’Erasmus, in atenei diversi d’Italia.
Per far questo la Moratti chiede ai rettori di rispettare alcuni criteri essenziali. Ad esempio, un equilibrato rapporto tra il numero degli studenti e ciascun professore: per le facoltà scientifiche c’è un tetto massimo di 75, per altre, come Giurisprudenza, 300. Corsi seguiti da 1.000 studenti non potranno più esserci. Stesso discorso per i tutor: ce ne potrà essere uno ogni 20 o ogni 40 studenti, a seconda delle facoltà. Ci sarà anche un tempo massimo per evitare che passino troppo tempo a insegnare e ne dedichino troppo poco alla ricerca. Ma anche la disponibilità di strutture appropriate dovrà essere effettiva. Inoltre viene fissato il tempo che i docenti debbono dedicare alla didattica cosiddetta frontale, ovvero davanti agli studenti, in 120 ore l’anno.
«Ormai abbiamo fenomeni di pubblicità ingannevole pur di catturare studenti - spiega il professor Guido Fiegna del Politecnico di Torino, membro del comitato di valutazione - lo studente deve poter scegliere sapendo come sono andati gli studenti che lo hanno preceduto. E le università devono garantire che dietro un certo titolo c’è una certa competenza». Secondo il componente del comitato presieduto da Giuseppe De Rita, queste caratteristiche essenziali ci vengono richieste dall’Europa. Ma anche dal buon senso. Perché ora uno studente di Milano può utilizzare crediti che ha ottenuto a Barcellona e non quelli che ha ottenuto a Pavia? Il grande impulso a far sveltire gli studenti, invece, risponde anche ad un’altra esigenza. «Chi si laurea a 23 anni - sottolinea Fiegna - è più pronto a viaggiare e ad imparare di chi si diploma a 27. E sarà dunque più facile per lui trovare un posto di lavoro».

Virginia Piccolillo