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A.R.MANI BATTE ARMANI
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1. A.R.MANI BATTE ARMANI
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da La Stampa
Sabato 11 Agosto 2001


A.R.MANI BATTE ARMANI
SU INTERNET CHI TARDI ARRIVA, MALE ALLOGGIA

Anna Masera

SU Internet, chi tardi arriva male alloggia. Certo, a uno come Armani, lo stilista che è riuscito a piazzare il suo nome dappertutto, brucia non essere riuscito a griffare anche il sito sul Web. Ma questa volta, la battaglia contro i proprietari di domini Internet che hanno «fissato» il loro nome (Armani) nel Web, Giorgio Armani l’ha persa e dovrà farsene una ragione.
Qualche giorno fa una commissione legale dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (Wipo), che fa capo alle Nazioni Unite, ha stabilito che la compagnia svizzera GA Modefine, proprietaria del marchio Armani, ha meno diritti a mantenere il dominio «armani.com» di un canadese, Anand Ramnath Mani, un grafico di Vancouver che l’ha registrato prima dello stilista, agli albori di Internet, nel 1995. Mani dichiara di aver ricevuto un’offerta misera per togliersi di torno, solo 750 dollari, una somma che non avrebbe ricoperto nemmeno i costi dei suoi biglietti da visita e della carta da lettere intestata. I legali di Armani hanno affermato che ogni giorno, in tutto il mondo, persone che cercano il sito dello stilista trovano, con sorpresa, il sito di Mr. A.R. Mani a Vancouver, ma non hanno potuto dimostrare che Mani ha registrato il dominio in cattiva fede.
La difesa legale del marchio «Armani» nel mondo Internet (oggi lo stilista è sul sito «www.giorgioarmani.com») ha avuto altri precedenti: come quello sul dominio «armani-sunglasses.com», aperto dalla ditta americana Aes Optics, causa che nel giugno 2000 si concluse a favore dello stilista, al quale la Wipo decise di trasferire il dominio conteso. E in Italia il timbrificio di Treviglio, in provincia di Bergamo, titolare Luca Armani, che aveva aperto il sito «www.armani.it» prima dell’ingresso della casa di moda nel web. Oggi, il sito dell’imprenditore bergamasco, che racconta in Rete tutta la storia legale fino al 2000, risponde a «www.timbrificio.armani.it», ma vi si accede ancora digitando soltanto «armani.it». Sfortunata la ricerca dello stilista anche per il dominio «armani.org», già registrato da un’associazione religiosa di una omonima signora francese dal nome Mireille.
La soluzione al dibattito resta un problema di interpretazione. Giuristi esperti interpellati da Le Monde parlano di «cybersquatting», cioè l’occupazione abusiva di un territorio virtuale. Di fatto, il «nome» di dominio è solo un codice d’accesso, rappresenta la parte intellegibile di un protocollo numerico e non indentifica il contenuto del sito, né quindi l’eventuale attività commerciale, pertanto è di chi prima lo registra. Nel caso del timbrificio lombardo, la difesa di Armani si avvalse della legge sui marchi (numero 480 del 4 dicembre ‘92) che vieta l’uso di marchi altrui che abbiano una certa rilevanza. La vicenda ovviamente non finisce qui. Probabilmente le parti raggiungeranno un accordo fuori dalle aule dei tribunali: Armani (nel senso di Giorgio) può permettersi di pagare qualcosa in più delle poche centinaia di mila lire che ha offerto per riconquistare il proprio nome sul Web. Il giusto prezzo che si paga per essere ritardatari. Una cosa è certa: prendersela significa non aver capito cos’è Internet.

anna.masera@lastampa.it


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Date: 11 Aug, 2001 on 07:58
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