Lavoro sempre online e diritto di sconnessione
di FRANCO CARLINI

Una generalizzata e persino eccessiva «teledisponibilità» sembra la regola del lavoro nelle aziende dove manager e quadri siano dotati d'ufficio di cellulari, palmari e computer portatili. Tecnologie che hanno definitivamente potenziato l'autonomia del lavoratore, ma contemporaneamente ne hanno accresciuto la subordinazione nel tempo e nello spazio. Non essendo più importante il luogo fisico dell'attività di lavoro, il vero carattere della dipendenza si esprime allo stato più puro nell'essere «always on», raggiungibile e «attivabile» 24x7 (24 ore per 7 giorni). Tale vincolo non è quasi mai espressamente previsto dai contratti di lavoro, individuali o collettivi, ma viene dato per scontato, quasi facesse parte dell'etica del lavoro «turbo», e la sua accelerazione è in larga misura dovuta alla diffusione del telefono cellulare che è andata ben oltre la banale suddivisione tra casa e ufficio. In definitiva gli apparati mobili eliminano la possibilità di trovare scuse, non c'è più il «fuori stanza», né il «sono in viaggio». Apparentemente si tratta di una nuova conquista di efficienza, dato che si eliminano i tempi morti e si può far fronte alle urgenze da ogni luogo e in ogni istante. Il che è largamente vero, ma non in assoluto perché si avvertono ormai pesanti conseguenze psicologiche il cui risultato può rovesciarsi in stress e riduzione di efficienza. Ma anche in perdita di efficacia, il che è persino peggio: succede infatti che non potendo e non sapendo stare fermi, anche alcuni grandi manager smarriscano la capacità di pensare in libertà e di stare bene con se stessi e il proprio lavoro. Per reazione, allora, c'è chi come il giurista francese Jean-Emmanuel Ray, della Sorbona, va suggerendo un nuovo e fondamentale diritto, quello alla «sconnessione».

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