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SPAGNA: IL PASSO LENTO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE
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SPAGNA: IL PASSO LENTO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE
Pino Patroncini

Merita attenzione l’articolo apparso su El Paìs del 26 maggio scorso col titolo “Il passo lento della formazione professionale”. L’articolo denuncia come del 75% degli alunni che escono dalla scuola media spagnola, la Educacion Secundaria Obbligatoria che termina a 16 anni, solo il 41% si iscriva alla formazione professionale, mentre nel resto d’Europa gli studi professionali coprono mediamente il 59%. L’articolo è interessante perché il sistema spagnolo in qualche modo potrebbe prefigurare la situazione italiana così come è delineata nelle Legge Delega di Riforma voluta dal Ministro Moratti.

Un sistema duale.
Si tratta infatti di un sistema rigidamente diviso in due canali: il bachillerato, corrispondente al nostro liceo e, appunto, la formazione professionale. Quest’ultima si divide in tre rami: reglada, ocupacional e continua. Le ultime due si rivolgono rispettivamente ai disoccupati e ai lavoratori occupati svolgendo un ruolo tra la riconversione professionale e la formazione permanente. La reglada copre invece la fascia d’età dell’adolescenza suddividendosi in due livelli: medio e superiore. La differenza tra grado medio e superiore sta nel fatto che nel grado medio la formazione è più manuale, mentre nel superiore questa si rivolge alla pianificazione e all’organizzazione del lavoro. Una parte di questo lavoro si fa in alternanza frequentando stages presso un’impresa, la qual cosa ha due vantaggi: consente una formazione in situazione e mette i ragazzi in contatto con macchinari talvolta più avanzati, visto che una scuola non potrebbe cambiare macchinari tutti gli anni. Nondimeno non manca chi sostiene che oggi le scuole hanno mediamente macchinari migliori di quelli che si trovano nelle aziende. Questo vale almeno per le zone più ricche, come le Province Basche.

Gli sbocchi lavorativi non bastano.
La Formazione Professionale spagnola dà luogo a ben 139 titoli di studio, più o meno quanti ne prevedeva la vecchia istruzione professionale italiana pre-1992, riuniti in una ventina di famiglie professionali, ciascuna con tre o quattro titoli di grado medio e altrettanti di grado superiore. Ogni cinque anni i programmi per tutti questi indirizzi dovrebbero, ma il condizionale è d’obbligo, essere rivisti. E qui sta uno dei primi problemi: i mestieri più richiesti dal mercato sono quelli di cameriere, cuoco, elettricista, imbianchino, idraulico, operatori amministrativi o commerciali. Gli indirizzi più frequentati sono nel quelli amministrativi (30% nel grado medio, 40% nel superiore), elettricità e sanità (15% nel grado medio, 10% nel superiore).
Nondimeno il 67% dei diplomati riesce a trovare un lavoro entro sei mesi dal conseguimento del titolo, mentre per i laureati la media è di almeno un anno. Ma neanche questo paradosso sembra costituire una motivazione tale da incrementare le iscrizioni. Secondo un’inchiesta delle Camere di Commercio solo il 7,6% degli alunni ha scelto la Formazione Professionale per questo. E nemmeno la maggior facilità di questo tipo di studi rispetto a quelli liceali sembra costituire l’aspetto più attraente, dal momento che solo il 10,9% adduce questo motivo. Per la maggioranza, ben il 74%, la motivazione è di natura vocazionale, soprattutto quando si tratta di attività agricole, arti applicate o disegno d’interni.

Serie A e serie B
Quali sono quindi i motivi di tale scarto? Taluni attribuiscono la causa alla caratteristica di scuola per coloro che non riuscivano a conseguire un titolo scolastico, altri alla scarsa conoscenza della Formazione Professionale. Certo è che, se si pensa che nel 1990 gli studenti della Formazione Professionale erano solo 7.300 e adesso sono circa 220.000 nel grado medio e 227.000 in quello superiore, dei passi in avanti sono stati fatti. E chi ha dato una forte spinta al settore è stata la Logse, la riforma varata dai governi socialisti. La Logse infatti ha previsto che la Formazione Professionale venga impartita negli stessi istituti dove si svolge il resto dell’educazione secondaria. E questo ha contribuito a limitarne l’immagine di settore ghetto per gli scarti scolastici. Ma dalla Logse in poi il settore,in gran parte affidato agli interventi privati convenzionati è stato praticamente dimenticato dagli interventi ministeriali.
Un altro problema è costituito dalla scarsa prospettiva di avanzamento negli studi. Per entrare nel grado superiore occorre il bachillerato: chi proviene dal grado medio deve superare un esame, cosa che fa appena l’1%. Alcune regioni, come la Catalogna, hanno tentato di ovviare a ciò con un corso “ponte” corrispondente all’ultimo anno del bachillerato. Di questo avrebbero beneficiato 1.500 alunni catalani. La misura dovrebbe essere assunta anche nel quadro di una legge sulle qualifiche e sulla formazione professionale varata nel 2002, la quale però è significativamente soprannominata “la legge fantasma”.

Coppa dei Campioni e Coppa Uefa.
Sempre su questo terreno alcune regioni come la Catalogna e le Province Basche hanno deciso di convalidare il grado superiore come credito formativo per alcuni corsi universitari, cercando così di dare una più ampia prospettiva di percorso e di superare anche nel settore superiore la riproduzione dello stesso scarto esistente in quello secondario. Ma per ora l’esperienza è limitata a queste regioni.
Nel resto del paese a una secondaria divisa in serie A e serie B fa seguito una divisione, potremmo dire, tra una Coppa dei Campioni e una Coppa Uefa.
Sarà lo stesso destino quello che attende gli studenti italiani?


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Date: 08 Jun, 2003 on 19:42
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