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INVESTIRE SUI FIGLI (SENZA IDEOLOGIE)
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1. INVESTIRE SUI FIGLI (SENZA IDEOLOGIE)
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da Il Corriere della Sera
13 maggio 2003

L’ultimo rapporto sulla qualità della scuola
INVESTIRE SUI FIGLI (SENZA IDEOLOGIE)

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

Gli italiani non fanno politica con il destino dei loro figli. A differenza di gran parte degli attori della scena pubblica, non considerano la riforma della scuola un campo di divisioni ideologiche ma una mappa per la valorizzazione delle competenze. Per due anni abbiamo assistito a un fuoco di sbarramento nei confronti della nuova legge. Poi scopriamo che l’opinione pubblica condivide le innovazioni. Nell’occasione del convegno della Fondazione Liberal , che si apre giovedì a Milano, esce il Primo Rapporto Eurispes sulla scuola. Se è vero che le nuove norme pongono le famiglie al centro del sistema educativo, si può dire che il sondaggio in scala nazionale raccoglie da esse un «grazie» convinto. Anzi, su alcuni punti il consenso tocca percentuali esagerate: per fare un esempio, l’85% di applausi che va al computer introdotto in aula al primo anno delle elementari mostra una certa ingenuità. Gli esperti, dal matematico Seymour Papert (autore di saggi sulla scuola nell’era di Internet) in poi, sanno che talvolta sei anni sono troppo pochi, spesso invece sono troppi, per colpa del consumismo dei genitori, pronti a donare cellulari già a bimbetti di quattro anni. In questo tema la vera questione è l’analfabetismo elettronico degli adulti, che scava un fossato, a volte incolmabile, fra le generazioni.
Ma è solo un particolare. Più problematico è il corposo dissenso nei confronti dell’anticipata iscrizione di bambini di due anni e mezzo alle materne e di cinque anni e mezzo alle elementari. Quattro genitori su dieci non credono al fenomeno dell’infanzia precoce. È vero che ci sono bambini che crescono più presto, stimolati dal disordine televisivo. Ma ce ne sono altri che avrebbero invece bisogno di un più morbido ingresso nel mondo educativo. Altro fatto (tutt’altro che esemplare) è poi la diffusa richiesta di pubblico babysitting , che motiva la voglia di aule per i più piccoli. Per custodirli più che per educarli.
Al di sopra delle singole questioni è evidente la consapevolezza delle famiglie del valore strategico della scuola statale nel futuro comune. Private sì, ma senza indebolire gli istituti pubblici. Dalle competenze dei figli discende la competitività dell’intero Paese. La gente si aspetta che dalle parole si passi ora alle realizzazioni. E fa sapere di condividere i due punti essenziali della riforma: 1) l’alternanza scuola/lavoro; 2) la formula «valutazione degli apprendimenti/valutazione dei comportamenti», con il voto in condotta portato a far media per promozioni e bocciature. Si può dissentire da queste novità, ma non si può continuare a sostenere che esse sono impopolari.
Il fastidio degli ideologi delusi non aiuta nel suggerire indispensabili correzioni. È poi strano il silenzio degli oppositori rispetto alla dissonanza più preoccupante, che è quella fra la mole delle trasformazioni messe in cantiere e la povertà finanziaria. Ogni elemento della partita rinvia ai mezzi necessari ai docenti per tradurre la strategia in pedagogia. Oggi solo 47 giovani laureati italiani su 100, ultimi in Europa, trovano il lavoro per il quale hanno studiato. Prima c’è stato un errore di massa, o fra chi ha orientato questi studi per la metà non utili o fra chi li ha riempiti di contenuto. La riforma è una serie di codificate istruzioni a una macchina che porta attualmente al traguardo meno di un passeggero su due. Resta da formare il conducente e dotarlo degli strumenti necessari, dignità sociale e stipendio adeguato. Siamo alla fase uno. Ad essa il Paese dà segnali di qualche gradimento, senza risparmiare critiche. Il resto è da fare, senza risse. Soprattutto ideologiche.


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Date: 13 May, 2003 on 16:15
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