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Manifesto anti-guerra, gli insegnanti si dividono
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1. Manifesto anti-guerra, gli insegnanti si dividono
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da Il Corriere della Sera
12 maggio 2003

Manifesto anti-guerra, gli insegnanti si dividono

Le reazioni all’appello contro il conflitto in Iraq di alcuni docenti del Berchet: «Sbagliato fare politica». «E’ una scelta morale»

Fuori e dentro le aule. Tra i corridoi e nelle sale professori. All’intervallo e all’uscita da scuola. Si discute in questi giorni negli istituti superiori milanesi. Di guerra e di politica, di professori che si schierano e che prendono una posizione, di lettere aperte e di coscienza individuale.
E sono proprio i professori, attori e autori del dibattito, a dividersi, a commentare, a domandarsi: è giusto che un insegnante esponga le sue scelte politiche all’interno della scuola?
La polemica è nata dalla lettera degli insegnanti del liceo classico Berchet contro la guerra in Iraq, pubblicata sulla Stampa . Una condanna alla politica degli Stati Uniti, ai bombardamenti, all’«ipocrisia di una guerra "preventiva e umanitaria" scatenata in dispregio del diritto internazionale». Una lettera manifesto che ha riunito docenti ed ex docenti del liceo classico milanese. E che, inevitabilmente, ha scatenato reazioni e dibattiti.
«Se svolgo una funzione pubblica - commenta Daniele Straniero, preside del Parini - devo essere l’insegnante di tutti, senza prendere posizione su un tema puramente politico. Comportamenti del genere squalificano la nostra scuola. Il nostro compito, invece, è formare i ragazzi, dare loro gli strumenti per fare, un domani, delle scelte, anche politiche». Dubito ergo sum , spiega Michele D’Elia, che dirige il liceo scientifico Severi. «Come scuola dobbiamo trasmettere la capacità di giudicare, altrimenti facciamo gli imbonitori».
Della stessa opinione anche Antonio Marro, preside del classico Beccaria. «È facile essere contro la guerra, ma chi è per la guerra? Tra i nostri obiettivi non ci deve essere mai la cattura delle coscienze. Per favore, lasciamo liberi i nostri ragazzi di scegliere». Ma i berchettiani si difendono. E replicano alle accuse: «Rivendichiamo il diritto, proprio in quanto insegnanti, a un giudizio morale nello spazio politico, il che non significa pensare in termini di bene o di male assoluti, umanamente neppure immaginabili, ma quanto meno di minor male possibile». Puntualizza Fabrizia Mancini, docente di latino e greco: «L’insegnante ha anche il dovere morale di dare un’indicazione. Del resto, in terza liceo si traduce Tacito». Tra i firmatari anche Guido Panseri, docente di storia e filosofia: «La lettera poteva essere letta a più livelli ed essere fraintesa. Ma voleva contrastare facili elegie sulla guerra. Ho firmato per dire che quanto è accaduto non può essere banalizzato. Anche se sono d’accordo sulla necessità di educare al dubbio piuttosto che farsi prendere da posizione politiche. Purché l’esito del dubbio non sia lo scetticismo».
Sostenitore dei colleghi del Berchet è Ferdinando Giordano, preside del Volta: «Prima che insegnanti si è cittadini e uomini che hanno fatto scelte di vita. E quindi è giusto battersi per queste scelte. Qui si parla di politica nel senso platonico del termine, con un’assunzione di responsabilità come uomo e cittadino. Io voglio che i miei studenti sappiano come la penso. Lo diceva anche Salvemini: "L’obiettività è un mito, l’onestà intellettuale è un dovere"».
Mirella De Carolis, preside del Carducci, non condanna il documento. Ma precisa: «L’educazione passa attraverso la competenza del docente che è libero di esprimere le proprie idee. Ma se l’insegnante è libero, la scuola no. La scuola deve essere il luogo dove si dà voce a tutti. È questo l’insegnamento della democrazia».

passa parola
Umanesimo e scienza I saperi da riunificare

Testa, è la parola chiave. La scuola deve riempire una testa (quella dello studente) o formare una testa? E per essere ancora più precisi: è meglio una testa ben fatta e pensante, o ben piena e frammentata, di saperi solo accumulati? Il cantiere della nuova scuola è aperto, ma c'è quella domanda rimasta sospesa e che è fondamentale. Qualcuno - è il coro dei professori smarriti, oppressi o afflitti - dovrà pur indicare, in un passaggio della legge, cosa vuol dire scuola, fare scuola, essere scuola. Trasmettere saperi, sempre più pronti all'utilizzo pratico. La cultura umanista da una parte, quella scientifica dall'altra, proprio in un mondo dove i problemi sono globali, complessi. E dove ci vuole sempre più un pensiero forte a risolverli. «Il sapere non ci rende migliori né più felici», diceva Heinrich von Kleist, poeta tedesco. Però l'educazione aiuta a vivere meglio. «Insegna a vivere anche la parte poetica della vita». Niente, ci vuole un filosofo a dare una mano alla scuola: Edgar Morin, parigino e fine investigatore della complessità della vita, con il suo libro «La testa ben fatta» (Raffaello Cortina editore). Così, si legge che è molto meglio riunificare cultura scientifica e cultura umanistica; che è molto meglio selezionare e organizzare i saperi, per collegarli quando occorre. «Lo studente deve diventare protagonista della propria educazione, con la curiosità prima di tutto». Che è meglio una testa ben fatta che piena. Forse, il professore fa prima a riempirla, la testa. Ma poi viene la noia.


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Date: 12 May, 2003 on 09:32
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