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Scuola, il peso della faziosità
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1. Scuola, il peso della faziosità
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da Il Corriere della Sera
5 maggio 2003

La parità, i buoni: ma ai saperi chi pensa?
Scuola, il peso della faziosità

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

Si avverte un sincero sentimento di invidia a leggere su Le Monde quattro ex ministri francesi dell’Educazione che affrontano senza schemi di parte la domanda rilanciata dal loro attuale successore, Luc Ferry, con una riforma di legge appena messa in cantiere: «Che cosa mettere al cuore della scuola: la conoscenza, il docente o l’alunno?». Il dibattito pubblicato da Le Monde di ieri in prima pagina, vola alto sulle beghe che assillano ovunque il sistema dell’istruzione. L’altro giorno in Italia, per la seconda volta, è andato deserto (e quindi non ha raggiunto il quorum) un referendum che voleva abolire sovvenzioni regionali a favore delle famiglie che incontrano costi aggiuntivi per mandare i ragazzi in scuole non statali.
Più o meno otto italiani su dieci, nel 2002 nel Veneto e ora in Liguria, hanno disertato le urne, mostrando il loro disinteresse a una vertenza che un po’ non capiscono e un po’ sentono stravagante rispetto agli altri Paesi d’Europa dove la libertà di scelta non è insidiata da penalizzazioni economiche volute a favore di una visione monopolistica dell’istruzione statale. Già frastornata dalle polemiche di schieramento, che hanno accompagnato il percorso parlamentare della riforma, l’opinione pubblica fa fatica a cogliere il senso di tanta animosità intorno al tema della parità scolastica. La gente osserva con una certa perplessità il severo oltranzismo nell’interpretazione dell’articolo 33 della Carta costituzionale, che si limita a escludere «oneri per lo Stato» nell’istituzione di scuole private. Ci si rende conto che i buoni scuola appartengono, come i buoni mensa, alla cucina dei saperi.
La contesa rischia di inchiodare al piccolo cabotaggio una nave dell’educazione sovente già affidata ai cuochi di bordo. C’è un sapore di anacronismo nella rappresentazione polemica delle scuole cristiane come un lusso per ricchi. Questa realtà è assillata dalla crisi delle vocazioni, e si affida ormai ad almeno otto docenti laici ogni dieci per portare avanti il proprio carisma.
Se si lasciassero alle spalle queste mediocri passioni si potrebbe cogliere meglio, come stanno facendo i francesi, sia sinistra sia destra, il rischio di fondo che corre oggi la scuola di massa. Essa deve far quadrare il cerchio di qualità e quantità dopo anni di deriva demagogica, che hanno spostato il baricentro a scapito dei saperi. Venerdì prossimo a Roma, al Casino dell’Aurora, per iniziativa dell’associazione culturale Athenaeum di Maria Camilla Pallavicini, l’ultimo presidente del Consiglio del centro-sinistra, attuale vice-presidente della Convenzione europea, Giuliano Amato, e il ministro della Pubblica istruzione, Letizia Moratti, cercheranno dialetticamente di rispondere su uno scenario continentale alla stessa domanda avanzata dal titolo di Le Monde . Senza una scuola capace di trasmettere saperi non c’è un futuro europeo. Si tratta di inserire questa certezza nella carta costituzionale dell’Unione. Non sembri tema astratto. I più pressanti problemi attuali si collegano ad esso. Basta un esempio: oggi nelle scuole italiane studiano 230 mila ragazzi stranieri, soprattutto di famiglie islamiche. Fra qualche anno saranno 600 mila. La trasmissione di saperi europei non è velleità egemonica, è strategia di convivenza, consapevole di integrazione e di rispetto delle identità. Tutto si complica, si fa più affascinante. Ma è affrontabile, se si ricorda che dentro le aule non si organizzano imprese, né supermarket, né opere di assistenza sociale, né babysitteraggi. E neppure campagne elettorali permanenti.

Gaspare Barbiellini Amidei


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Date: 05 May, 2003 on 08:44
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