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Tecnologici e con sponsor, i nuovi master italiani
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1. Tecnologici e con sponsor, i nuovi master italiani
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da Il Corriere della Sera
5 maggio 2003

Tecnologici e con sponsor, i nuovi master italiani

Crescono i percorsi dopo la laurea. Corsi intensivi, dottorati «all’inglese» e finanziamenti privati

Breve, superspecializzato, sponsorizzato: il futuro dei laureati italiani sarà così. Con un occhio rivolto oltre oceano e l’altro ben ancorato al nostro Paese e alle prospettive per il futuro. L’università italiana si scrolla di dosso ritardi ormai cronici per aprirsi alle nuove tecnologie. Al tradizionale dottorato di ricerca si affiancano PhD e Mba, ma anche corsi di alta formazione brevi e flessibili, per rispondere meglio agli stimoli degli studenti e del mercato. Che, grazie alla partnership delle aziende, diventa a buon diritto il nuovo soggetto pensante della ricerca italiana.

LA NOVITA’ - Il segnale di cambiamento più sorprendente viene da uno dei pilastri della tradizione: la Scuola Normale Superiore di Pisa. Che già da qualche anno, in verità, ha inaugurato un suo percorso nella formazione post laurea. Nel più antico degli istituti universitari a statuto speciale il binomio progresso-tradizione ha ispirato corsi sulle nuove tecnologie applicate ai beni culturali, con cui ogni anno ad Assisi e Volterra si «aggiornano» laureati e ricercatori, ma anche personale delle soprintendenze e dei musei. E quest’anno il confine si è spostato ancora più in là, con il corso in «mobile computing» (la comunicazione online in assenza di rete telefonica) realizzato in collaborazione con una nota società di software e riservato a 20 laureati provenienti da tutto il mondo. Che in settembre saranno ospiti dello storico palazzo dei Cavalieri, per quasi un mese di lezioni intensive.

TEMPI BREVI - Prima caratteristica: la durata. Che diventa inaspettatamente breve. «Ma il motivo - spiega il direttore della Normale, Salvatore Settis - è il carattere sperimentale dei corsi. La dimensione intensiva è ideale sia per il tipo di docenze (con professori che vengono apposta dalle migliori università internazionali) che per gli allievi». In realtà anche l’offerta postlaurea delle altre università punta molto sulla flessibilità dei tempi: se fino a pochi anni fa erano d’obbligo i 3 anni del dottorato, ora ci sono master che vanno dai 6 mesi ai 2 anni, PhD triennali, corsi intensivi. La Bocconi, ad esempio, propone ogni anno un migliaio di corsi brevi, da pochi giorni a qualche settimana, con aggiornamenti ultraspecialistici su settori d’avanguardia.

TECNOLOGIE - E’ l’hi-tech il vero cavallo di battaglia. Con un’impostazione del tutto particolare: «In questo settore - spiega Roberto Cingolani, direttore del settore nanoscienze dell’Isufi, l’Istituto superiore universitario di formazione interdisciplinare dell’università di Lecce - è importante far collaborare laureati in materie anche molto diverse fra loro. Sul modello del dottorato in stile Caltech (California institute of technology)». Le offerte vanno dal master in microelettronica e sistemistica della Scuola Superiore di Catania al bocconiano master in management dei sistemi informativi. «L’industria tecnologica è in ascesa - sottolinea Cingolani -. Dobbiamo garantire non solo ricerca accademica, ma soprattutto un bacino di menti giovani e preparate».

SPONSOR DAL PRIVATO - Come trovare, però, strutture adeguate in un Paese dove la ricerca è perennemente in bolletta? La soluzione è semplice: collaborazione con i privati. Per raccogliere fondi, ma anche per garantirsi i migliori esperti del settore, che in molti casi vengono proprio dal mondo delle aziende. «Come filosofia - dice Emanuele Rimini, direttore della Scuola Superiore di Catania - abbiamo sempre cercato di muoverci a stretto contatto con l’industria. E’ la richiesta che viene dal mondo del lavoro, spesso, che permette di individuare i settori chiave del futuro». E così l’industria entra nell’università quasi in veste di consigliere, e perché no, di sponsor: i corsi sono spesso cofinanziati dalle imprese (con attrezzature e borse di studio), e gli studenti (è il caso dell’Mba organizzato dalla Luiss, a Roma) hanno un filo diretto con il mondo del lavoro. «Ma l’incontro - ammonisce Settis - deve avvenire sulla base della qualità. Per fare sperimentazione d’avanguardia il confronto con il privato permette incroci di competenze altrimenti impensabili. E il mercato del lavoro verrà di conseguenza».

Gabriela Jacomella

IL BIOLOGO
«A Trieste come negli Stati Uniti

Dal liceo scientifico di Latina all’Icgeb di Trieste ( International centre for genetic engineering and biotechnology ), passando per la Normale di Pisa: quello di Ennio Tasciotti, 25 anni, una laurea in biologia con il massimo dei voti e un dottorato («Faccio ricerca sui tumori») in corso, è un curriculum di tutto rispetto. Anche se lui preferisce non parlare di eccellenza, ma di fortuna: «Sì, mi sento fortunato. Soprattutto rispetto a chi fa il dottorato senza avere fondi, ed è la situazione peggiore: hai mille idee e non puoi realizzarle». Ben diversa la situazione dell’Icgeb, un centro di formazione che accoglie dottorandi e ricercatori italiani e stranieri, ciascuno con uno stipendio o una borsa di studio, grazie a sovvenzioni pubbliche e private. «Le strutture sono di altissimo livello e i corsi sono tenuti dai migliori docenti del campo. Niente da invidiare agli Stati Uniti». Ma se il presente è roseo, il futuro dà qualche preoccupazione: «Sto iniziando a valutare l’idea di buttarmi sul privato. Perché in Italia, per la ricerca biotecnologica, di prospettive proprio non ce ne sono».

Ga. Ja.

L’INGEGNERE
«Prima il Politecnico, poi Harvard

Se si fosse laureato oggi, probabilmente Vittorio Ragazzini, classe 1970, sarebbe uno dei potenziali studenti dei nuovi master. La sua carriera scolastica lascia spazio a pochi dubbi: maturità scientifica al Leone XIII di Milano, esito finale 60/60. Poi, il corso di ingegneria gestionale al Politecnico, con una tesi dal titolo «La pianificazione strategica nelle piccole e medie imprese» che lo porta ad avere contatti con molte aziende italiane. Il valore della ricerca è confermato dal voto: 100/100 e lode. Ma le prospettive di formazione, in Italia, non sono all’altezza. Il futuro è oltreoceano, con il master in business administration della Harvard Business School: «Un’esperienza - dice Vittorio - che può risultare molto utile anche da noi». E che fino a pochi anni fa non aveva concorrenti fra i corsi offerti in Italia. Vittorio frequenta per due anni, dal settembre 1999 al giugno 2001, le aule dell’ateneo statunitense. Alla fine dei corsi c’è tempo solo per un mese di vacanza: in autunno è già di ritorno a Milano, come dirigente italiano di un’importante società americana di consulting.

Ga. Ja.


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Date: 05 May, 2003 on 08:43
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