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Sì della Camera alla devolution, l’Ulivo lascia l’aula
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1. Sì della Camera alla devolution, l’Ulivo lascia l’aula
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da La Stampa
15 aprile 2003

SECONDO VOTO SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE, MALUMORI ANCHE NELLA MAGGIORANZA PER LE DICHIARAZIONI DEL «SENATUR»

Sì della Camera alla devolution, l’Ulivo lascia l’aula
Bufera su Bossi che rilancia il vecchio slogan leghista contro «Roma ladrona»

ROMA - Umberto Bossi ha incassato la devolution, ma adesso lo scontro dentro la maggioranza si sposterà tutto sulla riforma del Titolo Quinto della Costituzione su cui c’era un accordo e che ieri il capo delle Lega ha derubricato a semplice «bozza». Non solo. E’ tornato a mettere in discussione Roma Capitale definendola alla vecchia maniera: «Roma-ladrona». Un atteggiamento che ha molto irritato Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Intanto, in una sola giornata dopo 140 votazioni, la Camera ha dato il via libera in seconda lettura alla devoluzione che porta il forte timbro di Umberto Bossi. L’opposizione ha tentato, inutilmente, di bloccare i lavori chiedendo l’inversione dell’ordine del giorno. Poi, alla fine di un tour de force di dieci ore, è uscita dall’Aula al momento del voto finale, accusando la Casa delle libertà di essere sotto il ricatto del «moderno Ghino di Tacco», per dirla con Francesco Rutelli, di varare un «secessione mascherata» e lacerare il Paese, come ha detto Clemente Mastella. Si tratta di un provvedimento «sconcertante, sgangherato, un insieme di fregnacce», è stato il giudizio di Massimo D’Alema che ha accusato Silvio Berlusconi di non avere «spina dorsale», di sottostare a Bossi che lo spinge a fare «le cose più indegne». Un «atto d’amore» del centrodestra, ha ironizzato il capogruppo Ds Luciano Violante, nei confronti del ministro per le Riforme. E in effetti lo stato d’animo dei deputati della maggioranza tutto sembrava tranne che un atto d’amore: piuttosto un atto dovuto, un ordine di scuderia dei vertici di partito per tenere fede a un patto di coalizione. A Montecitorio, nonostante Ignazio La Russa assicurasse il «voto convinto» di An, non c’era molta convinzione proprio tra le fila del suo partito e dell’Udc. Ma il voto palese ha evitato le imboscate e ha neutralizzato i franchi tiratori. Il capogruppo dei centristi Luca Volontè ha depotenziato il voto sulla devolution ritenendolo un semplice «atto di indirizzo» che l’Udc approva senza grande convinzione. Rocco Buttiglione ha rincarato la dose, affermando che in ogni caso il disegno di legge Bossi finisce su un «binario morto», visto che verrà assorbito dalla riforma del titolo V della Costituzione. «Finirà lui in un binario morto», è stata la replica di Bossi, il quale è convinto che il suo provvedimento andrà avanti con la terza lettura al Senato. «Ma quale terza lettura, finisce tutto qui», ha chiuso il discorso Bruno Tabacci. Comunque l’Udc, così come An, ha votato sì. Tuttavia c’è stato chi ha espresso apertamente il proprio dissenso, astenendosi o non partecipando al voto finale, come hanno fatto Giorgio La Malfa, Egidio Sterpa, Bobo Craxi, Teodoro Buontempo, Publio Fiori. «Chi insulta Roma - ha detto Fiori di An - insulta l'intera Italia». Sono stati soprattutto i parlamentari romani della maggioranza, impegnati nella difficile campagna elettorale per le provinciali, a dover inghiottire il rospo della devolution. Mentre votavano gli articoli del provvedimento, Bossi in Transatlantico diceva che «non si può tornare a Roma ladrona...»: «Si dice Roma capitale, ma questi vogliono i soldi! Così non credo proprio che in aula passerà», ha avvertito il capo dei leghisti che è ritornato sulla proposta delle vice capitali. Ecco, il problema adesso si sposta sulla riforma complessiva del Titolo Quinto della Costituzione per la quale il leader della Lega prevede «una strada lunga», perché esso deve passare il vaglio dei presidenti di Regione, dei sindaci e poi deve tornare in Consiglio dei ministri. Insomma, per il ministro delle Riforme è soltanto una «bozza», dentro la quale la devolution «non scomparirà nelle pastoie democristiane e romane». Anzi, secondo lui bisognerà mettere mano a quel concetto di «interesse nazionale» che rappresenta una camicia di forza per il federalismo. Dunque, altro che approvare in via definitiva la riforma del Titolo Quinto entro un anno, come ha previsto dal ministro degli Affari Regionali, Enrico La Loggia. Insomma, Bossi incassa ma rilancia, provoca con «Roma-ladrona», mette in dubbio l’accordo raggiunto faticosamente al Consiglio dei ministri pochi giorni fa. Il che ha fatto arrabbiare Berlusconi e Fini, il quale ieri alla Camera, pur essendo seduto a fianco del ministro leghista, non gli ha mai rivolto la parola. A questo punto, hanno detto a Palazzo Chigi ambienti vicini al vice premier, bisogna capire cosa ha in mente il Senatùr. E’ il solito gioco della propaganda da campagna elettorale o, come dice il forzista Paolo Romani, bisogna capire le «motivazioni profonde della Lega»?

Amedeo La Mattina


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Date: 15 Apr, 2003 on 07:31
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