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1. LA RIVISTA «IL PRESENTE E LA STORIA» ...
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da La Stampa
29 marzo 2003

LA RIVISTA «IL PRESENTE E LA STORIA» DEDICA UN NUMERO MONOGRAFICO AL DECENNIO DELLA GRIFFE E DEL LOGO, DEI PANINARI E DEL POSTMODERNO

UNA notte di giugno del 1981 - molti di noi erano appena rincasati dalla discoteca - qualcuno ci avvertì di accendere il televisore, che stavano cercando di tirar fuori dal pozzo Alfredino Rampi. Gli anni Ottanta erano appena cominciati, e due tra le cose più significative del Decennio Trash erano già accadute: la diffusione della disco-music, colonna sonora dello yuppismo nascente, e l'avvento del reality-show televisivo, anticamera della tv spazzatura. Poi, come canta l'autorevole Raf, che in fondo fu il primo a interrogarsi, furono «anni interi di pubblicità... anni vuoti come lattine abbandonate là... anni bucati e distratti noi vittime di noi... anni ballando ballando Reagan-Gorbaciov...», e così via. Lì per lì, tutto quel nuovo che avanzava dispensando bagliori, paillettes, buona musica e inquietudini profonde, non ci sembrò un gran male. Rimuovemmo presto la voce di bambino che chiedeva aiuto dalle viscere della terra, con tutto il suo potenziale simbolico e metaforico, e ci appassionammo alla tv del dolore. Archiviammo volentieri gli eventi drammatici dell´anno 1980 (la tragedia di Ustica, la strage alla stazione di Bologna, l'assassinio di Piersanti Mattarella) come colpi di coda del decennio appena terminato, e ci avviammo abbastanza spensieratamente verso una stagione nuova, non più segnata dal cupo stragismo ma dai grandi scandali: Loggia P2 e Banco Ambrosiano, il suicidio di Sindona, le «carceri d'oro», la Bnl di Atlanta... roba forte, sì, ma che s'intonava assai meglio alle giacche zebrate di Simon Le Bon, al pop allegrotto dei Pet Shop Boys, alle discussioni su quale mutanda fosse meglio indossare, alla Beautiful-mania che avrebbe lasciato un segno pesante nelle pettinature delle donne e qualche traccia indelebile nei registri anagrafici. E fu il decennio del bottone e della fibbia, della Griffe e del Logo, del disimpegno giovanile benissimo registrato da Vasco Rossi («Siamo solo noi / quelli che non abbiamo più niente da dire / che non vi stiamo neanche più ad ascoltare / quelli che ormai non credono più a niente»), del No future dei Sex Pistols cui si ispirò gran parte del movimento punk, del nichilismo giovanile, delle prime comunità terapeutiche nate per fronteggiare l'emergenza della tossicomania. Fu, in Italia, il decennio dei paninari che cuccano e dei socialisti che ballano; della diffusione della parola «look» con conseguente nascita di nuovi mestieri; dei fratelli Righeira che scalano le classifiche con Vamos a la playa, dei bambini inchiodati davanti ai cartoni degli Uforobot. Noi si ballava, coscienti però del mondo che stava cambiando. Parole nuove e fascinose entravano nel vocabolario di tutti, e per la prima volta erano parole che arrivavano da est: Solidarnosc, Glasnost, Perestrojka... come da est arrivavano le nuove figure carismatiche, Lech Walesa, Karol Woityla, Michail Gorbaciov e... sì, Raissa, soprattutto Raissa (certo, ci fu anche lady Diana andata sposa al principe Carlo, ma quella sarà un'icona degli anni Novanta). Noi si era tutti sostanzialmente ottimisti. Negli anni Ottanta il disarmo bilaterale sembrava cosa fatta, o perlomeno molto ben avviata, e la mafia, in Italia, Cosa sconfitta, con 474 imputati al grande processo di Palermo. Ad appassionarci erano soprattutto le grandi cause benefiche, i «Live Aid», i divi del rock che cantavano insieme «We Are The World, We Are The Children». Eravamo fatti d´uno strano impasto di cinismo e sentimentalismo, e abbiamo versato molte lacrime di commozione, nel Decennio Trash: soprattutto al cinema, con il centrale Kramer contro Kramer, che affrontava il tema della separazione e della paternità, e con ET l´extraterrestre, col suo «ohi ohi telefono-casa»; per non parlare di opere più asfittiche come Voglia di tenerezza o Il grande freddo, o di capovalori angosciantissimi come Paris Texas. Passavamo anche molto tempo a goderci lo spettacolo delle coppie che si sfasciavano spensieratamente nei talk-show televisivi, anche se i più sensibili cominciavano ad intuire che dal cosiddetto privato sarebbero presto venuti gran dispiaceri per tutti. Avevamo qualche bel libro da leggere: Il nome della rosa di Umberto Eco, uscito nel 1980 e destinato a un successo strepitoso; La lingua perduta delle gru di David Leavitt, che è dell´86; il Seminario sulla gioventù di Aldo Busi pubblicato nell´84; i romanzi di Tondelli; c´era da scoprire Castaneda, volendo Pirsig con Lo zen e l´arte della manutenzione della motocicletta e, alla fine del decennio, Bruce Chatwin con le sue Vie dei canti, una promessa per gli anni a venire. Dall´arte contemporanea venivano belle soddisfazioni per tutti, dal Pont Neuf impacchettato da Christo alle nozze tra Jeff Koons e Cicciolina; e suggestioni cupe per nuove inquietudini metropolitane, come i graffiti di Jean Michel Basquiat, meteora nel cielo di New York, o il pilastro di arenaria di Anish Kapoor. Da noi s´impose la Transavanguardia, recentemente celebrata in una mostra al Castello di Rivoli: e purtroppo ci lasciò in eredità, oltre al celebre cactus, una definizione, «post-moderno», della quale si fece, più che abuso, scempio. Mentre ci apprestavamo a diventare tutti post-moderni, abbiamo avuto anche in Italia i nostri begli strappi: la morte di Berlinguer e l'avvento della Cosa, un segretario ex comunista, Occhetto, che si fece ritrarre sui rotocalchi mentre baciava la moglie in contesto radical-chic.... E tuttavia eravamo già abbastanza post-moderni da non farci impressionarre più di tanto dalla Milano da bere, dalle feste con le modelle perdute, dai primi scricchiolii (a Torino) che annunciavano la Tangentopoli a venire. A farci discutere erano Quelli della notte di Renzo Arbore, dove D´Agostino lanciava L´insostenibile leggerezza di Kundera, il Fantastico di Celentano, l´ascesa delle reti private... Quanto ai quotidiani, si riempivano di rubriche televisive e di consigli di bon ton («per un errore del proto», scrisse una volta Michele Serra, i suggerimenti su come apparecchiare tavola finirono in apertura di pagina e per un bel po´ ci rimasero); e pure in seno alle redazioni più serie e tradizionaliste già covava la «svolta rosa» che avrebbe dato il meglio di sé nei primi anni Novanta. Alla fine non ne potevamo più, e ci si congedò volentieri da quegli anni Ottanta così vacui da non riuscire a definirli con un aggettivo pertinente (dopo i favolosi Sessanta e gli sgraziati, conflittuali Settanta...). Eppure, come Rutger Hauer in Blade Runner, il film di gran lunga più significativo del decennio, ne avevamo viste di cose... Tutto il vecchio ordine pareva spazzato via: quello internazionale, del secondo dopoguerra, sfaldato in pochi mesi; quello nazionale, fondato sulla teoria degli opposti estremismi e sul ruolo della Dc come ago della bilancia, già profondamente minato; tutto era cambiato, tutto è poi ritornato, ma diverso: le guerre, le armi, i talebani - prima buoni, poi cattivissimi - Saddam, la mafia, post-moderna anche quella, e senza coppola. Cosa è restato di questi anni Ottanta, decennio del nulla? A sorpresa: molto. Non solo il fatto che abbiamo ripreso a ballare, e se andiamo ad una festa ci piacciono sempre di più i Village People e Donna Summer. Penso al raduno di Assisi dellྒ, con i capi di tutte le grandi religioni insieme a pregare per la pace, come all´evento che ha reso possibili le grandi marce di questi giorni; penso alla pubblicità, al sodalizio tra Oliviero Toscani e Benetton e alle campagne che dall´82 in avanti ha prodotto, e a quanto queste abbiano segnato le coscienze; penso alla diffusione dei prodotti di «Body Shop» non testati sugli animali... E mi chiedo quanto peso abbia avuto, sulle nostre vite di donne sessualmente liberate (qualcuna oggi ha vent´anni e purtroppo si chiama Sue Ellen, ma questi sono dettagli...) una Marcella Bella che canta davanti a sterminate platee domestiche «La mia voglia è grande»... Strano decennio, simbolicamente chiuso tra due muri, quello innalzato dai Pink Floyd nellྌ (The Wall) e quello caduto a Berlino nel 1989: e proprio a Berlino Est quel folle, geniale visionario di Roger Waters volle mettere in scena la sua grandiosa opera musicale, forse Lo Spettacolo che più ci ha rappresentati nel passaggio al decennio successivo. Per noi che c'eravamo, sembran già, canterebbe Raf, «quasi ottanta anni fa...».

Stefania Miretti


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Date: 29 Mar, 2003 on 09:02
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