Tutti diplomati, tutti somari

Quando andare a scuola era «un obbligo» e molte famiglie non avevano i mezzi per adempiervi, la politica creò strumenti definiti di «assistenza scolastica». Poi, mutate le condizioni economiche del Paese, l'obbligo divenne «il diritto allo studio».
Oggi, dopo aver letto i risultati dell'esame di Stato, si può parlare anche di un loro «diritto al diploma». Al di là delle terminologie e della loro rappresentazione, occorre domandarsi se l'esame di Stato sia una verifica affidabile sull'effettiva preparazione dei giovani, oppure un rito inutile e costoso che sanziona ed attesta, con una specie di condono generalizzato, la frequenza scolastica per 13 anni.
Il governo di centrosinistra ha inteso «promuovere il successo formativo» di tutti i giovani. L'interpretazione di tale linea politica è stata però gestita al ribasso e male assimilata dagli operatori scolastici tanto da identificare il successo formativo solo col «promuovere». Cosa significa, infatti, dire che il nuovo esame di Stato è più serio di quello di Sullo che nel 1970 decretò la bocciatura di 30 candidati su cento? Tutti i metodi e gli strumenti di valutazione esprimono risultati diversi a seconda di come vengono soggettivamente utilizzati. Ebbene dal ྂ ad oggi, costantemente ed in maniera inesorabile, ha fatto breccia fra i docenti la convinzione che «bocciare» significa «selezionare» e che la selezione è classista.
Ritengo che la dispersione scolastica non si combatta col lassismo nella valutazione sempre favorevole. Insomma ci si accontenta del vino che ogni botte dà, anche se assomiglia all'aceto. Non a caso, quando all'esame finale gran parte della classe non riesce a compilare la prova, il professore supplisce l'impreparazione degli alunni con la dettatura del compito. Così mentre l'intera società politica sembra rivalorizzare il merito, il sistema formativo offende ed affoga i molti bravi giovani che studiano e i bravi docenti che insegnano nel «lassismo ugualitario». Eppoi dicono che le ideologie sono cadute...