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BOWLING AT FIUMICINO
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1. BOWLING AT FIUMICINO
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da Valore Scuola

BOWLING AT FIUMICINO
di Pino Patroncini

“Bowling at Columbine” è il titolo di un film americano che è circolato di recente nelle nostre sale con un successo discreto ed anche inaspettato, tenuto conto che non è il solito film. Si tratta infatti di un documentario: Columbine è la località del Colorado dove due anni fa alcuni ragazzi si misero a sparare all’impazzata sui propri compagni di scuola uccidendone sedici. La clamorosa e terribile vicenda serve al regista per analizzare il frequente ricorso alle armi a fuoco in questi casi di follia omicida americana e per chiedersi e chiedere a diversi intervistati come mai nel più potente paese del mondo sia così frequente il ricorso alle armi da fuoco.

Perché tanta violenza armata negli U.S.A.?
L’indagine si sviluppa accostando altri casi analoghi, intervistando omicidi dalle più disparate motivazioni, dalla follia inspiegabile come Columbine, appunto, a un terrorismo politico antistatalista dove sembrano confondersi anarchismo e neoliberismo, mostrando quanto sia facile procurarsi un’arma negli Stati Uniti, dove un fucile può costituire persino un gadget per l’apertura di un conto in banca.
Una buona parte del film è dedicata a mettere in rilievo il ruolo della National Riflemen Association, presieduta dall’attore Charlton Heston, un’associazione a metà tra un promoter di vendita delle armi da fuoco, stile circolo della caccia, ed un partito fascistoide che propugna il diritto di sparare su chiunque violi qualcosa. E infatti la ritroviamo immediatamente e incredibilmente a fare iniziative laddove fatti come quello di Columbine possano istillare nella comunità l’idea che forse ci sono in giro troppe armi da fuoco.

Dinamiche della paura.
Ma perché proprio in America ci sono più omicidi che in qualsiasi parte del mondo? E perché per arma da fuoco? Perché la storia americana è una storia di violenze: il Far West, gli indiani, la guerra civile, rispondono alcuni. Questa potrebbe essere una spiegazione, ma non basta: altri popoli hanno storie più terribili ( si cita spesso a questo proposito la Germania). Perché negli Stati Uniti circolano troppe armi, dicono altri . Ma anche questa è una mezza verità: si calcola che nel vicino Canada, dove la caccia è lo sport più diffuso ci sia mediamente un fucile per famiglia eppure gli omicidi si contano sulle dita di una mano.
La conclusione a cui il film arriva è la paura. Una paura innaturale, che per esempio non è conosciuta nel vicino Canada, dove la gente va a dormire lasciando la porta aperta e ha come valore la sicurezza sociale più che quella personale. Una paura artefatta, per la quale grande responsabilità hanno lo stile di vita individualista dell’americano medio e soprattutto le televisioni pronte a valorizzare i fatti criminali più che gli stessi eventi bellici mondiali. La paura genera ansia di difesa e questa a sua volta genera la violenza armata come strumento della vita quotidiana, talmente quotidiana da poter diventare un folle gioco di ragazzi.

Il far-west sul litorale romano.
Fino a qui il film. Se non che alcune settimane fa trovandomi a viaggiare sul trenino che da Roma porta a Ostia, mi è capitato tra le mani una rivista lasciata a mo’ di propaganda sui sedili. Il nome: “Fatti & Misfatti” , mensile di attualità, numero 5, distribuito a Fregene, Fiumicino, Ostia, Acilia, Casalpalocco, Infernetto, Eur, Marconi, Torvaianica, Pomezia e Ardea” . Penso al solito notiziario locale. E invece no: è un notiziario locale, ma non il solito.
Basta scorrere i titoli: “Ardea: sangue e vecchi merletti in ospizio”, “Roma. Tagli ai fondi per la lotta alla prostituzione”, “Ostia. I pompieri minacciano il trasloco” , “L’inchiesta. Guardie giurate in prima linea”, “Ladispoli. Lei lo lascia lui la uccide”, “Via Appia. Per i commercianti torna l’incubo dei sequestri lampo.” Una bella ubriacatura di insicurezza.
E non va meglio con la rubrica “Cronache Varie” : “Soda caustica nel bicchiere in tre rischiano l’avvelenamento”, “Litoranea killer: tre morti a Santo Stefano”, “Postino eroe scongiura l’attentato”, “Giallo di Natale: tedesche morte in spiaggia”, “Evadono i domiciliari per giocare a calcio”. Il litorale romano sembra il Bronx.

Fare credere che la realtà superi la fiction
All’interno c’è anche uno speciale, naturalmente sugli… anni di piombo. L’argomento è la strage di Bologna. Ma non preoccupatevi: l’articolo non indugia al grand guignol, è piuttosto volto a mettere in dubbio che il neofascista Luca Ciavarini all’epoca diciottenne possa essere l’autore di un delitto tanto efferato. In compenso al riquadro dove si parla dei Nar è accostata una risoluzione delle Brigate Rosse che c’entra come i cavoli a merenda, con tanto di stella a cinque punte sovraimpressa su tutta la pagina, così tanto per far capire da che parte viene il terrore. Si chiamano messaggi subliminali, no?! Uno legge Nar, ma gli resta in mente la stella a cinque punte.
Un ultimo articolo apparentemente normale attira la mia attenzione: “Mario Proto: trent’anni sulla notizia”. Ma anche qui: “ accorsi per primo in via Fani al sequestro di Moro…..”. Proprio non c’è salvezza! Nemmeno con i festeggiamenti per la nascita del giornale fatti insieme a…Detective&Crime! Resta solo Vendo-Compro-Offro, Numeri e informazioni utili (Ospedali, Carabinieri, Vigili e Polizia, naturalmente!), un racconto e, dopo tanta necrofilia, la notizia certamente più leggera su uno che, abbandonato dall’amante, ha inscenato il suo funerale.
E chi sono gli artefici di cotanta opera? Due cronisti di nera de Il Giornale ( di Montanelli si aggiungeva una volta, ora è solo di Berlusconi). Non c’è che dire: un bell’incoraggiamento alle paure collettive e individuali, su cui costruire poi le campagne politiche sulla sicurezza come primo problema dei cittadini. Per avere uno stato di polizia non è sempre necessario esercitare il terrore di Stato: basta far credere che ce ne sia già fin troppo in giro!

Diseducazione dell’insicurezza e sicurezza dell’educazione.
Ma perché parlare di queste cose in un giornale che parla di scuola e di educazione? Perché l’educazione è anche educazione a superare le paure. Pensiamo solo al lavoro che in tal senso fanno le nostre insegnanti di scuola materna o dei primi anni di scuola elementare. Pensiamo al ruolo di sdrammatizzazione e di esorcizzazione della paura che ha il ricorso alla fiaba. E superare le paure, compresa quella del professore che ti interroga, è uno dei portati consci e inconsci di tutto il percorso scolastico. Ricordo un cortometraggio girato a questo scopo tanti anni fa dai ragazzi di una scuola media sperimentale di Monza, dove elementi secondari filmati in primo piano davano il senso oppressivo di un’azione criminosa: un coltello sporco di sangue, gocce di sangue per terra, passi concitati. E poi quando il campo si allargava si trattava di una massaia che preparava un pollo da cuocere. C’è una tela di sicurezze e metodi per raggiungere la sicurezza che la scuola intesse giorno per giorno attraverso la cultura e la comprensione, ma c’è sempre nella società chi cerca di disfare questa tela, a Columbine come a Fiumicino.


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Date: 24 Mar, 2003 on 20:31
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