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Microchip della memoria Un «cervello artificiale» per tornare a ricordare
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1. Microchip della memoria Un «cervello artificiale» per tornare a ricordare
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da Il Corriere della Sera
14 marzo 2003

Il sistema dei neuroni riprodotto in un circuito

Microchip della memoria Un «cervello artificiale» per tornare a ricordare
Los Angeles, via alla sperimentazione sui topi

ROMA - È come un dialogo continuo, un colloquio incessante tra miliardi di neuroni che parlano tra loro e tra loro sono legati attraverso una serie di connessioni. Se qualcuna di esse, per trauma o malattia, si deteriora ecco che si interrompe anche la funzione corrispondente. Uno degli obiettivi più ambiziosi della scienza è quella di riparare i sistemi lesionati. La soluzione potrebbe essere rappresentata da protesi artificiali, microchips capaci di ripristinare i contatti perduti anche in marchingegni cerebrali di primaria importanza, come quello della memoria. Traguardo accessibile secondo i neurologi dell’università di Los Angeles. Stanno infatti per avviare la sperimentazione in laboratorio di un dispositivo che riproduce le funzioni dell’ippocampo, piccolo organo sottocorticale dove si sviluppa il ricordo, simile in molti mammiferi. Il congegno è in silicone. In una fase iniziale verrà provato su porzioni di tessuto cerebrale di topi, mantenute vitali. In caso di risultati confortanti, dopo sei mesi si passerà su topi vivi, quindi su scimmie addestrate a svolgere compiti che richiedono l’intervento della memoria. Infine l’uomo. Pazienti che hanno subito danni a causa di ictus, Alzheimer, epilessia. I neuroingegneri americani terranno una conferenza la prossima settimana a Capri: «Per la prima volta possiamo annunciare di aver messo assieme tutti i pezzi del nostro mosaico», annunciano.
«Ipotesi interessantissima, ma non c’è da scommetterci - avanza dubbi Paolo Maria Rossini, direttore dell’Istituto di ricerca Ircss del Fatebenefratelli a Brescia e Roma -. Vedo molto più vicine le cure con cellule staminali, anche se dal punto di vista della fattibilità la teoria del microchip regge».
Si pone altri interrogativi Carlo Caltagirone, direttore scientifico dell’Istituto per la riabilitazione Santa Lucia di Roma, sede dell’Ebri, l’Europen Brain Research Institute: «Un progetto azzardato. Non è facile riprodurre la macchina dei ricordi. Forse in futuro riusciremo a copiare strutture di base, come quelle motorie o sensoriali. Ma non le strutture superiori, quindi memoria o linguaggio».
Theodore Berger, direttore della squadra californiana, oppone però ai detrattori una considerazione di fondo: «L’ippocampo è l’unica struttura che possiamo utilizzare per la nostra ricerca. Se i pazienti su cui verrà testata riacquisteranno la capacità di immagazzinare nuove esperienze ed elaborarle, avremo la prova che ha funzionato. L’opinione pubblica accetterà le nostre ricerche. All’inizio anche i trapianti di cuore erano considerati un azzardo abominevole». Il lavoro sulle protesi ha tenuto impegnati i ricercatori per dieci anni. I californiani hanno studiato un modello matematico che riproduce il meccanismo dell’ippocampo. Il modello è stato copiato e trasferito in un piccolo chip di silicone.
In una ipotetica sperimentazione sull’uomo, informa la rivista New Scientist , la protesi non verrebbe inserita nel cervello ma appoggiata sul cranio e collegata con i centri nervosi attraverso elettrodi collocati in corrispondenza delle aree danneggiate. Ben diversa la funzione dei pacemaker per il Parkinson. «Non sono protesi, ma stimolatori che riproducono i segnali elettrici raccolti dal sistema nervoso e sono in grado di regolare l’attività di certi nuclei cerebrali, migliorando le prestazioni dei pazienti», spiega Caltagirone.
Tra le malattie dove l’impiego dei chip potrebbe risultare efficace Rossini elenca sclerosi multipla e lesioni del midollo, ma non l’Alzheimer: «In questo caso il danno è più diffuso, viene coinvolto gran parte del cervello. Sono progetti di ricerca interessanti. Un conto è verificarli in condizioni di laboratorio, un altro è avere a che fare con cervelli di animali anche se meno complicati, come quello del topo. I tempi indicati dai colleghi mi sembrano ottimistici e il passaggio sull’uomo avveniristico».
Negli Usa i filosofi obiettano: «Dimenticare è un beneficio per l’uomo. Perché non lasciare questa opportunità?».

mdebac@corriere.it
Margherita De Bac


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Date: 14 Mar, 2003 on 08:46
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