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Un giovane su due non farà il lavoro per cui studia
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1. Un giovane su due non farà il lavoro per cui studia
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da Il Corriere della Sera
26 febbraio 2003

Indagine Eurostat: Italia all’ultimo posto, dopo la Grecia. Coinvolto il 37% dei laureati

Un giovane su due non farà il lavoro per cui studia

BRUXELLES - Un giovane italiano su due non troverà il lavoro per cui ha studiato, mentre soltanto un olandese su quattro avrà la stessa frustrazione. Lo rivela un’indagine condotta nei Paesi dell’Unione Europea dall’organismo di statistiche Eurostat. Nella graduatoria dei Paesi che offrono opportunità in linea con gli studi effettuati, l’Italia è all’ultimo posto, preceduta dalla Grecia. In particolare sono i laureati (37%) a non trovare il posto corrispondente alla laurea. In difficoltà chi ha studiato agraria o materie umanistico-artistiche.

Un italiano su due fa un lavoro che non corrisponde agli studi

DAL NOSTRO INVIATO

BRUXELLES - In Italia chi cerca un lavoro in linea con i propri studi incontra molte più difficoltà rispetto ai giovani di altri Paesi dell’Unione europea. Lo evidenzia l’organismo di statistiche comunitario Eurostat, che ha realizzato una ricerca sui giovani che lasciano la scuola e sugli effetti nel mercato del lavoro dell’impossibilità di trovare un’occupazione adeguata alla propria formazione. Addirittura quasi un italiano ogni due sarebbe costretto ad accettare un lavoro diverso da quello per cui aveva studiato, mentre solo un olandese ogni quattro subirebbe questa frustrazione.
La ricerca di Eurostat considera 10 Paesi membri dell’Ue (Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Grecia, Svezia, Olanda) e altri due candidati a entrarci nell’ambito del processo di allargamento (Ungheria e Slovenia). «In Italia si registra la più alta percentuale di giovani che lavorano in un settore diverso dal loro campo di studi (47%)», sentenziano i ricercatori dell’Ue. In seconda posizione spunta la Grecia (con il 40%), seguita dalla Svezia e dalla Danimarca con percentuali inferiori di qualche punto. L’Olanda viene considerato il Paese dove è meno difficile trovare il lavoro per cui si è studiato (29%). Ma buone opportunità le offrono anche Finlandia, Austria, Belgio e perfino la «candidata» Slovenia.
In quasi tutti gli Stati considerati si trovano nella situazione peggiore le donne, che corrono maggiori rischi degli uomini nel trovare un’occupazione in linea con i loro studi. L’Italia si vede comunque attribuita il primo posto anche in questa classifica negativa. La solita Olanda e il Belgio costituiscono le eccezioni positive per le donne lavoratrici, che risultano avere più possibilità di trovare un posto adeguato (rispetto agli uomini) anche in Francia e Spagna.
Eurostat conferma che più elevato è il livello di studio e minori sono i rischi di finire in un’attività inferiore alle proprie aspettative. Nei 12 Paesi considerati chi ha conseguito solo un diploma non ottiene un lavoro in linea con i suoi studi nel 40% dei casi. In Italia la percentuale negativa schizza al 50% ed è anche stavolta definita nella ricerca come «la più alta» (con la laurea si scende al 37%). Una scelta perdente sembrano essere gli studi di agraria, che nell’81% dei casi non consentono ai giovani di occuparsi nell’agricoltura nazionale (non sono però considerati dalla ricerca i possibili sviluppi delle coltivazioni biologiche). Grandi difficoltà incontra anche chi in Italia sviluppa una formazione umanistico-artistica (78%) oppure orientata verso l’insegnamento (69%) e le scienze (68%). Le migliori opportunità spettano ai medici, al personale sanitario, ad avvocati e ingegneri. Il raffronto con gli altri Paesi dell’Ue stride soprattutto per l’insegnamento, perché altrove le prospettive appaiono molto migliori (fanno eccezione solo Grecia e Spagna con livelli del 56% e 46%).
Inoltre chi non trova un lavoro in linea con i suoi studi finisce più facilmente nelle attività temporanee e part-time. In compenso i giovani italiani insoddisfatti del loro lavoro dimostrano intraprendenza nel continuare a cercare un’occupazione più congeniale ai loro studi. Anche perché l’altro principale «correttivo» suggerito dalla ricerca di Eurostat - puntare su una formazione aggiuntiva per andare incontro alle richieste del mercato del lavoro - vede l’Italia conquistare l’ennesimo record negativo: a causa di un impegno in questo tipo di strategia contro la disoccupazione stimato con una percentuale vicina allo zero.

Ivo Caizzi

LA REPLICA

«Ma il 90% dei laureati è soddisfatto dell’attività svolta»
Andrea Cammelli, responsabile della banca dati di 30 atenei

ROMA - Le indagini sull’occupazione dei laureati condotte da Almalaurea, la banca dati del consorzio di oltre 30 università, confermano i dati di Eurostat? Lo chiediamo al responsabile, professor Andrea Cammelli. «I laureati italiani purtroppo si presentano più tardi sul mercato del lavoro rispetto ai colleghi europei e quindi hanno meno opportunità di utilizzare al meglio le competenze acquisite. Gli universitari europei, essendosi laureati 4 anni prima, nel periodo osservato nell’indagine hanno avuto più opportunità per valorizzare le loro competenze. Dalle indagini di Almalaurea, però, l’efficacia del titolo di studio a tre anni dalla laurea dà risultati assai migliori: meno del 10 per cento dichiara di essere insoddisfatto dell’utilizzazione dei propri studi nell’attività svolta. Naturalmente la situazione è molto diversificata da facoltà a facoltà. In generale la soddisfazione per la laurea acquisita migliora con l’avanzare del tempo».
Come spiega questo contrasto?
«I criteri usati dall’indagine Eurostat mi sembrano molto sofisticati, tanto da dubitare che riescano a cogliere la complessa situazione italiana. I sistemi universitari sono talmente complessi che la comparabilità statistica a livello internazionale risulta insoddisfacente. Come si fa a giudicare la coerenza tra un indirizzo di studi e alcuni settori economici. Il nostro Presidente della Repubblica, per fare un esempio, è laureato in Lettere e Filosofia ed ha fatto il governatore della Banca d’Italia».
I nostri studenti rischiano di più di fare un lavoro diverso da quello per il quale si sono preparati. Non è un segno della duttilità della nostra formazione?
«La formazione impartita finora è in gran parte generalista e quindi consente la diversificazione. Prendiamo Scienze politiche o Lettere: per censire il 70 per cento di questi laureati dobbiamo andarli a cercare in dieci diversi settori economici di occupazione. Sono tutti impieghi inadeguati? ».

G. Ben.


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Date: 26 Feb, 2003 on 08:17
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