da Il Corriere della Sera
11 febbario 2003Ciampi agli studenti: no a guerra e terrorismo
Confronto all’università di Palermo. Il capo dello Stato: «Tutti dobbiamo adoperarci e sperare»
DAL NOSTRO INVIATO
PALERMO - «Presidente», si sgola dietro la siepe di poliziotti Roberto Gallo, studente di filosofia, che sventola la bandiera dei non-violenti all’ingresso dell’Università. «Presidente», insiste, dopo che lo scortatissimo corteo si blocca davanti a lui e al gruppetto di suoi amici che espongono striscioni pacifisti (uno dei quali lo provoca con un obliquo "Viva Scalfaro"). «Presidente, mi raccomando: dica no alla guerra». «Sì, ci sto», replica Ciampi. Si avvicina, tocca un lembo del vessillo arcobaleno che il giovane pretenderebbe di regalargli, gli stringe la mano e aggiunge con un aggrondato sorriso: «Ci sto. No alla guerra e no al terrorismo».
E’ a Palermo per un tour di quattro giorni nell’isola, il capo dello Stato. Vorrebbe concentrarsi sugli eterni problemi siciliani. C’è però un’altra, ben più pressante attualità a pedinarlo, oggi, e dilaga oltre i filtri protettivi escogitati dallo staff del Quirinale. Così, quando entra nell’aula magna per assistere all’inaugurazione dell’anno accademico, si ritrova incalzato da un altro ragazzo, Marcello Capetta: è il rappresentante degli studenti, e pure lui gli si rivolge sullo stesso tema. Chiede «scusa per il fatto di uscire dai canoni del cerimoniale», ma gli ricorda pubblicamente che «esiste l’articolo 11 della Costituzione», quello in cui si dice che l’Italia ripudia la guerra, per cui lo prega di «farne dare applicazione». L’aula risponde con due minuti di applausi. Una «standing ovation» tanto calorosa che Enrico La Loggia, ministro degli Affari Regionali, presente alla cerimonia, si sente costretto a precisare, a nome del governo: «Stiamo lavorando per la pace, nessuno di noi vuole la guerra».
Ecco: a Ciampi basta uscire dal Quirinale per trovarsi a fronteggiare umori e affanni della gente in questa vigilia di guerra. Sentimenti contraddittori, ma quasi sempre dominati dalla paura, dopo che le mosse della diplomazia producono una babele di linguaggi e mettono a dura prova vecchie alleanze. La Nato è divisa. L’Europa è dilaniata come non succedeva da tempo. E l’Italia sta in bilico tra le spinte atlantiche del premier Berlusconi e un’antica vocazione alla realpolitik. Così in bilico che Palazzo Chigi non si è ancora espresso sul progetto franco-tedesco-russo, il cosiddetto «Piano Mirage», che tanto ha fatto infuriare gli americani.
«E se non parla in via definitiva l’esecutivo, come si può pretendere che si sbilanci il Quirinale?», obiettano gli uomini del Colle.
Il quadro è talmente fosco e incerto per cui, secondo qualcuno, non resta che aggrapparsi alle parole di un’autorità morale e sopra le parti come il Papa. Il cardinale Etchegaray è già a Bagdad, con una lettera personale di Wojtyla per Saddam Hussein. Ci sono nuovi margini, con quest’iniziativa del Vaticano? Ciampi vorrebbe crederci: «Ce lo auguriamo tutti. Tutti dobbiamo adoperarci e sperare di riuscire a superare questa vicenda veramente preoccupante e drammatica».
Insomma: il presidente oscilla tra prudenza e fiducia. Proprio come aveva anticipato pochi giorni fa ad Algeri, dopo l’incontro con il presidente Bouteflika, quando aveva chiesto di fermare gli orologi e di dare «fiducia e tempo agli ispettori dell’Onu per completare la loro missione». Aveva ricordato il ruolo del Palazzo di Vetro, come «foro di compensazione» dei conflitti, ma soprattutto aveva elogiato l’Europa che «comincia a parlare con una voce sola». Fu un’illusione che durò pochissimo: 24 ore dopo quell’appello, i Paesi dell’Unione si dividevano.
Marzio Breda
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