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Sarà un’avventura il futuro del romanzo
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1. Sarà un’avventura il futuro del romanzo
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da Il Corriere della Sera
1 febbraio 2003

INTERVISTA
Sarà un’avventura il futuro del romanzo

di PAOLO DI STEFANO

Più che una grande opera, come si direbbe con termine tecnico proprio dell'editoria, è un' «Opera mondo ». Parente, in chiave critica, di quei classici della letteratura che Franco Moretti ha analizzato in un memorabile saggio uscito nel ྚ. Stiamo parlando di un'impresa monumentale, intitolata Il romanzo (Einaudi) e giunta al terzo volume, Storia e geografia , dopo La cultura del romanzo e Le forme . Il comitato scientifico, con Ernesto Franco, Frederic Jameson, Abdelfattah Milito, Pier Vincenzo Mengaldo e Mario Vargas Llosa, coordinato dallo stesso Moretti, professore all'Università di Stanford, riflette la pluralità dell'opera, a sua volta speculare rispetto al genere proteiforme di cui si occupa. «Si tratta anche di una storia mondiale del romanzo - dice Moretti -. La dimensione globale di questo genere letterario ormai è chiara e noi abbiamo utilizzato questa nuova coscienza per guardare anche al passato. Nel terzo volume si va dal romanzo ellenistico al romanzo francese medievale, al romanzo cinese».
La storia del romanzo è molto resistente, eppure più volte ne è stata proclamata la morte. Oggi c'è un pericolo reale?
«In passato il romanzo è stato minacciato dall'ostilità delle istituzioni o del potere e oggi questo, a parte poche eccezioni come la fatwa, accade molto meno. L'altro grande nemico del romanzo è stata la scarsa alfabetizzazione, un pericolo che ormai si è ridotto. Oggi gli avversari del romanzo sono alcuni concorrenti pieni di fantasia, di talento e di mezzi economici e tecnici come il cinema, la televisione e l'elettronica. Molti miei studenti americani non hanno l'ambizione di scrivere romanzi, però aspirano a diventare autori di cinema o di televisione».
Ma quali sono le qualità che rimangono specifiche del romanzo?
«Direi che il carattere del romanzo è avere una forma scritta lunga, e pongo l'accento sia sullo scritto sia sul lungo. In un mondo di comunicazioni visive e brevi, non è facile ormai capire che cosa significhi questo carattere. Ma non è un caso che nel Novecento molti scrittori sperimentali siano autori di libri molto scritti e molto lunghi, da Joyce a Dos Passos, da Musil a Guimaraes Rosa».
Vargas Llosa sostiene che un mondo senza romanzi sarebbe un mondo totalitario. Che ne pensa?
«Un po' ovunque, fuori d'Europa o degli Stati Uniti, dalla Turchia all'Africa al Sud America, il romanzo moderno è diventato uno strumento politico in nome della libertà. In Europa ha funzionato più sul piano dell'etica individuale, per esempio della libera scelta affettiva di un'eroina che vuole emanciparsi dai vincoli di casta. A Vargas Llosa preme soprattutto il primo aspetto».
Per quanto riguarda l'Italia, invece, Asor Rosa sottolinea l'aspetto della commedia e soprattutto l'opposizione riso-pianto. E' d'accordo?
«A giudicare dai successi cinematografici delle commedie, si direbbe che è così. Del resto, il melodramma ottocentesco è il nostro massimo risultato. La categoria del serio che nell'Ottocento si impone in Germania, in Francia e un po' anche in Inghilterra rappresenta il superamento della oscillazione tra pianto e riso che è invece tipica dell'Italia. Auerbach definisce il realismo come l'imitazione seria del quotidiano, il che si realizza quando c'è una stabilità sociale con solide istituzioni. L'Italia è un Paese che entra nella modernità a strattoni e a spintoni con avventurismi che la rendono instabile anche sul piano emotivo e la fanno oscillare di continuo tra euforia e tragedia».
La distinzione tra romance e novel , tipica della critica di lingua inglese, è ancora utile?
«E' una differenza tipica dei Paesi anglofoni. Noi abbiamo un unico termine, romanzo appunto, che definisce sia la narrazione fantastica-avventurosa delle origini sia quella realistica, moderna e borghese. In genere, si pensa che il romance sia un'esperienza conclusa, sostituita dal novel . A me stupisce invece la capacità di resistenza e di rinnovamento di forme antiche, più avventurose e idealizzate (proprie del romance ), vitali prima nel feuilleton e nel melodramma, poi nella televisione. Mi pare che per esempio tutto il filone del realismo magico, molto importante nel secondo Novecento, appartenga più alla tradizione del romance che non al novel . Dunque, rovescerei l'opinione comune. Secondo me, il novel è un'eccezione nella storia del romanzo e non, come molti sostengono, il suo culmine, il suo punto di approdo».
Il romanzo borghese e realistico europeo è in fase di esaurimento?
«La rinuncia all'avventura, il realismo e la concatenazione casuale più stretta, che si impone con l'Ottocento europeo, mi sembra un grande episodio che sta per concludersi. Già all'inizio del Novecento nacquero delle avanguardie in polemica con il realismo del secolo precedente e poi, dagli anni ཮-ླྀ, la ventata del realismo magico ha creato un nuovo sistema di aspettative».
In Italia il realismo magico sudamericano ha avuto molto successo di pubblico, ma sul piano della produzione narrativa non pare che abbia avuto molto seguito, non le pare?
«Non parlo dell'Italia. La forza del romanzo sta proprio nel saper riutilizzare le forme basse anziché respingerle. Si pensi al rapporto fra letterature africane e oralità, tra letteratura cinese e tradizione erotica o al rapporto di Dostoevskij con il feuilleton, senza dimenticare che molto del realismo magico ha radici nel romanzo cavalleresco di quattro secoli prima. Lo stesso Ulisse di Joyce fu portato in tribunale con l'accusa di pornografia. In Italia questo riuso di materiali bassi è riuscito più faticoso».
A proposito dell'Italia, è faticoso anche il rapporto con la letteratura come piacere, specialmente a scuola.
«In un saggio, Antonio Faeti ripercorre i motivi dell'odio antico tra romanzo e scuola, un rapporto tenebroso, in cui lo studio e quindi il dovere ha soffocato il piacere. Ma un aspetto ricorrente nella storia del romanzo è proprio il piacere che deriva dalla sua lettura: appunto perché dava piacere, il romanzo è stato spesso condannato dalla censura. Dunque, è chiaro che c'è un paradosso nel fatto che la scuola, dove il piacere non ha diritto di cittadinanza, debba insegnare a leggere un romanzo. Comunque, negli anni le cose sono cambiate: già per la mia generazione il piacere non era più il romanzo ma il cinema, e per gli studenti d'oggi il piacere è la televisione o il computer. Diventa quindi meno paradossale parlare di romanzo a scuola, ma è comunque un brutto segno che il romanzo sia diventato solo oggetto di dispiacere e di studio».
Lei ha scritto un saggio sulle parti noiose del romanzo, i cosiddetti riempitivi, che nascono nell'Ottocento. Che cosa sono i riempitivi?
«Sono quegli episodi ordinari, non memorabili, episodi che non imprimono una svolta alla vicenda e che per secoli sono stati ridotti ai minimi termini. L'Ottocento si è specializzato in riempitivi».
Come mai?
«Perché nel secolo della borghesia, nel secolo serio c'è un nuovo senso della vita quotidiana che si stabilizza. Si inaugura una nuova narrazione, sobria, disincantata, melanconica, in cui gli episodi minori della vita di tutti i giorni non sono più in antitesi con il romanzo».
Quali sono le sue passioni di lettore?
«Io sono un lettore banale. Mi piacciono i romanzi dell'Ottocento: Goethe, Balzac e Tolstoj».
La cultura digitale produrrà , forme nuove di romanzo?
«Nell'ultimo saggio del terzo volume, un esperto, Aspen Aarseth, si interroga proprio su questo. Secondo lui, la scrittura digitale non ha prodotto forme nuove rispetto ai modelli proposti dalle avanguardie del Novecento. E' una tesi convincente. L'incontro tra fiction e cultura digitale produrrà dei giochi che coinvolgeranno molte persone, ma non mi pare che il computer abbia un futuro narrativo. Il polimorfismo del romanzo troverà altri canali più adatti alla sua diffusione».


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Date: 01 Feb, 2003 on 09:28
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