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Quei ragazzi già adulti
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1. Quei ragazzi già adulti
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da Il Corriere della Sera
21 gennaio 2003

BAMBINI E SOCIETA’
Quei ragazzi già adulti
Nella vita e in tribunale

di GASPARE BARBIELLINI AMIDEI

Conquistato dai ragazzi il telecomando di casa, la tradizionale domanda si rovescia. Fino a che ora i genitori hanno diritto di rimanere alzati, davanti a un video dominato dall’adolescenza?
C’è un’involontaria componente di ipocrisia nelle scandalizzate reazioni alla proposta del procuratore generale di Roma, Carmelo Calderone, di prendere consapevolezza della precoce indipendenza delle ultime generazioni e di abbassare quindi dai 14 ai 12 anni la soglia di punibilità dei cittadini italiani che commettono reati e in generale dai 18 ai 16 la minore età.
Non possiamo continuare a non vedere che nelle zone grigie delle abitudini peggiori degli adulti si aggirano moltitudini di individui anagraficamente ragazzi, ma completamente liberi di gestire la vita.

Ci sono poi le zone nere della devianza, dal teppismo allo spaccio di droga e alle baby-gang, dove consistenti minoranze creano problemi alla società. E la loro legale immunità è un problema nel problema. Di esso approfitta la criminalità organizzata, che assume manovalanza non processabile. C’è anche una microcriminalità endemica, una prepotenza diffusa che provoca in non poche scuole disagio fra i docenti, richieste di prepensionamento o di trasferimento. Ma la questione non è riducibile ai suoi aspetti giuridici. Fermarsi alla patologia di una crescita spesso distorta e sempre accelerata vuol dire presentare in modo scorretto il complesso fenomeno della precocità, che non è tutto negativo. Anche i ragazzi perbene restano ragazzi per meno tempo, sono adulti in alcune cose e quasi bambini in altre (in media escono di casa a 28 anni). I riti collettivi di iniziazione sociale sono anticipati. Il cellulare a 8-10 anni per il 70 per cento degli italiani è soltanto l’aspetto più clamoroso della rivoluzione elettronica gestita da giovanissimi. Spettatori televisivi a 3-4 anni, con soldi in tasca a 9-10, gli italiani stanno vivendo un’infanzia e un’adolescenza molto accorciate. Se n’è accorta perfino la scuola, lenta ai cambiamenti. Ora propone con la riforma l’iscrizione alle materne a 2 anni e mezzo e alle elementari a 5 e mezzo. La struttura formale dei rapporti fra i giovanissimi e la società è un’enorme finzione. Prepotenti che commettono reati, il giorno dopo chiedono perdono in nome della loro acerba età. Quattordicenni che hanno un rapporto disinvolto con le ex gerarchie familiari ed educative godono di una non perseguibilità dentro spazi di movimento sempre più larghi. Politica e legislazione procedono a zig-zag. Ora si distraggono sul tema essenziale della protezione dell’infanzia, ora trattano da infanti persone che si gestiscono come adulti. Mostra un’interessante propensione al realismo e premura per i bambini il progetto di una riformulazione del divieto ai minori nei film. Si vogliono due sbarramenti di età, il primo fino a 8 anni e il secondo fino ai 14 o ai 16. Dopo questa età viene abolito ogni visto di censura, sbarbati o canuti che siano gli spettatori. Resta un problema costituzionale, perché la Carta della Repubblica all’articolo 21, ultimo comma, vieta «gli spettacoli contrari al buon costume». Ma il «buon costume» è già stato abolito per «decreto elettronico» via tv o via Internet. Restano scuola e famiglia. Rispetto ad altre epoche, la scienza medica avverte che lo sviluppo è più precoce nel fisico ma la maturazione psicologica è talvolta ritardata dai confusi stili di vita fra depressione, iperattività e altre turbe. Gli esperti chiedono che paternità e maternità recuperino tempo e ruoli. L’istruzione moderna dovrebbe essere attenta al comportamento e al giudizio su di esso. Sbrigativo è dire che servono voti in condotta e relative bocciature. Ma c’è anche questo. Bisogna restituire agli anni un senso. Un sedicenne di oggi non è un ragazzino da spedire dietro la lavagna o da mandare a letto alle 10 di sera. Ma non si possono allevare questi cittadini in eterno come studenti e come figli, a dispetto di una scuola disamata e di una famiglia maltrattata. C’è un tempo anagrafico e c’è un tempo legale. Scaduti questi due tempi, ognuno può essere invitato a rispondere di se stesso e a vivere la propria vita.

Gaspare Barbiellini Amidei


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Date: 21 Jan, 2003 on 08:40
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