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Nel mezzo del cammin venne Benigni
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1. Nel mezzo del cammin venne Benigni
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da Il Corriere della Sera
Mercoledì, 8 Gennaio 2003

L’interpretazione dell’attore toscano unisce gli studiosi di Dante: mai così riuscita la fusione tra grande letteratura e gusto popolare

Nel mezzo del cammin venne Benigni
di PAOLO DI STEFANO

Il fronte unito dei dantisti. Benigni forever. Forse mai come in occasione della lettura dantesca realizzata per la Rai il 23 dicembre, durante «L’ultimo del Paradiso», si è verificata una perfetta coincidenza tra cultura accademica e manifestazione di massa. Tant'è vero che mentre i librai esultano per quelle che chiamano le «ricadute» benefiche della lectura , gli studiosi sono ancora a bocca aperta. Mai visto tanto entusiasmo dell'università di fronte a uno show televisivo, in attesa della vita di Dante che Benigni ha annunciato per il 2004. Francesco Mazzoni, presidente della Società Dantesca Italiana, parla di commozione: «Benigni si è rivelato un grande artista e un interprete capace di commuovere. E anzi, si vedeva che lui stesso era commosso nel dire Dante. A un certo punto, come filologo dantesco mi è venuta la curiosità di sapere che cosa ci fosse dietro quello "splanamento", come si direbbe con termine medievale. Quando poi ha ringraziato Sermonti, ho capito... Ma quello che mi ha avvinto e convinto è stata la lettura».
Lo stesso Vittorio Sermonti, che ha «prestato» il suo commento a Benigni, è rimasto ammirato dalla sua «dizione intera e precisa, e dalla sua straordinaria capacità di emozionarsi davvero di fronte al testo».
Avvinto e convinto. Ma perché tanto entusiasmo per la lettura di Benigni? Risponde Domenico De Robertis, uno dei nostri maggiori filologi e curatore dell’edizione critica delle Rime dantesche: «Direi che è la lettura migliore che abbia mai sentito, grande sobrietà, scioltezza e accordo perfetto tra ritmo, voce e mimica, con quel viso leggermente stupefatto ma non ispirato o scemo». De Robertis sottolinea poi l'utilità di aver fatto seguire la lettura alla prima parte comico-politica «di imbonimento», quasi si volesse riesumare dalla nostra tradizione la varietà giullaresca, con l'esordio satirico e burlesco che trascina il pubblico verso un secondo atto più serio. Ma la questione, adesso, è capire se l’esperimento, così insolito e felice, possa avere un seguito. De Robertis: «La poesia e l'arte a questo aspirano: non a rimanere tra pochi ma a dilatarsi e a divenire oggetto d'ascolto per tutti. Certo, è una combinazione che non si verifica facilmente. Il Dante della Commedia si presta, ha una sua popolarità intrinseca». Con risultati miracolosi, fondati essenzialmente su formidabili strumenti linguistici: «Dante ha compiuto una ricerca straordinaria, ha inventato un linguaggio universale e il latino gli ha offerto quel di più che il volgare non poteva avere da solo. Il suo è un miracolo che non si ripeterà in Italia. Di solito si accosta il suo nome a quello di Shakespeare, che ha saputo coinvolgere il pubblico nella sua visione tragica del mondo. Ma in Dante c'era anche un'ansia profetica, la preoccupazione di parlare agli uomini perché ascoltassero non in vista del Paradiso ma per costruire un aldiqua migliore. Tutto questo ha avuto una forza notevole». Una forza che altri scrittori, che non sono certo da buttar via, non hanno: «Petrarca, che è un grande come Dante sul piano della cultura e della capacità del disegno poetico, - continua De Robertis - scommette quasi tutto sul latino, cioè su una lingua perdente sul piano della diffusione, mentre Dante punta sul nuovo, sul volgare quotidiano. Anche per questo, non è ripetibile». Dunque, non ci sono altri poeti che possiamo illuderci di veder recitati in televisione con tanto successo? «Sono esistiti cantastorie che recitavano poemi cavallereschi tipo la Gerusalemme liberata nelle piazze. In Tasso c’è un’ideologia forte, la difesa della cristianità, che manca per esempio in Ariosto».
Il versante su cui insiste lo storico della lingua Gian Luigi Beccaria, il giudice di Parola mia , la rubrica linguistica di RaiTre, è anche un altro: «Benigni è la prova per nove che stiamo sprecando il mezzo televisivo. Detto questo, è chiaro che se Benigni avesse proposto Petrarca avrebbe ottenuto meno successo, perché Petrarca non ha la forza popolare di Dante, la cui potenza sta anche nella terzina incatenata, con rime alternate, che aiutano la memorabilità. Poi bisogna aggiungere l’entusiasmo, che come diceva Contini, è la molla essenziale dell’insegnamento, più della precisione». Se è vero che abbiamo un solo Dante, non bisogna neanche dimenticare che i Benigni non sono molti. «Non Albertazzi, non Gassman che non rispettava quasi mai il testo, non Fo che è un ottimo interprete solo di se stesso. Foà l’ho sentito leggere l’ Infinito in università e aveva un suo magnetismo. Forse, se un personaggio come Fiorello un giorno volesse provarci...».
«Benigni ci ha indicato come si possono utilizzare i nostri classici», dice Pier Vincenzo Mengaldo, cui si deve, tra l’altro, l’edizione critica del De vulgari eloquentia . «Si è trattato di una trasmissione di intrattenimento che ha dato agli italiani il senso del patrimonio di cui dispongono. Con semplicità non incolta e con un pathos contenuto, ma senza effettacci, senza prevaricare Dante, Benigni è riuscito a prendere alla gola milioni di italiani. Tanto l’ho disamato nella Vita è bella , tanto mi è piaciuto nella sua lettura dantesca».
«Attraverso un’esecuzione naturale e antica, l’ha recitato come lo recitava un mercante della sua epoca e insieme ce lo ha reso contemporaneo, come se avesse ereditato quella capacità dal latte materno». E’ l’opinione di Emilio Pasquini, commentatore autorevole della Commedia e autore di un recente saggio su Dante e le figure dal vero . Dunque, Benigni ha avuto il merito di ricordare agli italiani che patrimonio si nasconde nella nostra storia della letteratura? «Contini si augurava che Dante, essendo nato come artista popolare, tornasse a diventare popolare... E’ vero che Dante è una ricchezza nazionale che ci invidiano in molti e del resto, è stato molto letto e recitato fino al Quattrocento, poi ha avuto un’eclissi. Ma dal Romanticismo in poi la sua fortuna è andata crescendo e fino a oggi non si è fermata. E’ noto che i contadini dell’Appenino ancora lo conoscono a memoria. Ricordo che durante un convegno, anni fa, un tale del pubblico si alzò sostenendo di aver scoperto in un luogo fisico le tracce del passaggio di Dante all’Inferno. C’è una zona di follia anche popolare attorno a Dante, una dantomania sorprendente».
E dalla vita di Dante che verrà, che cosa ci si deve aspettare? Risponde Marco Santagata, che coordina l’edizione delle Opere minori di Dante nei Meridiani Mondadori: «A mio parere il rischio è grosso: non essendoci una vita di Dante ricostruibile, voglio proprio vedere come se la cava. Forse dovrebbe fermarsi». Ed esorta a «dare a Dante quel che è di Dante e a Benigni quel che è di Benigni». Cioè? «Voglio dire che Benigni è bravo, ma soprattutto è bravo Dante, che ha nel suo Dna la capacità espressiva di farsi intendere non solo dai circoli colti. Forse con altri testi Benigni non sarebbe riuscito a ottenere tutto quel successo. In fondo Benigni è la reincarnazione del giullare medievale, tant’è vero che non ha neanche avuto bisogno di recitare, gli è bastato leggere semplicemente, come facevano gli antichi giullari, che mettevano insieme nello stesso spettacolo giochi di prestigio, canzoni, motti di spirito, balli e letture delle canzoni di gesta». E come spiega, Santagata, l’entusiasmo accademico? «Ai professori, Benigni ha dato la sensazione che quel che stai facendo come mestiere forse potrebbe avere un suo pubblico. Può darsi che si tratti di un fenomeno di suggestione...».
Suggestione fino a un certo punto, se Rosanna Bettarini, docente di Filologia italiana a Firenze non si limita agli elogi: «Benigni ha saputo inquadrare molto bene un canto difficile, avvicinando il pubblico ad argomenti teologici poco digeribili e rendendo bene il tema complesso della visione di Dio». Ma si spinge oltre: «Se gli insegnanti fossero come lui, avremmo molti studiosi del Medioevo in più. Lo inviterei volentieri in università, gli chiederei di tenere un seminario».


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Date: 08 Jan, 2003 on 07:54
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