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Università, lo Stato paga tutto (o quasi)
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da Il Corriere della Sera
Lunedì, 16 Dicembre 2002

Università, lo Stato paga tutto (o quasi)

In media uno studente versa 851 euro all’anno. Al Nord le tasse coprono i costi fino al 30%, al Sud solo il 7%

MILANO - Ottocento e cinquantuno euro all’anno: è la retta media di uno studente universitario italiano, che sia di famiglia ricca o povera poco cambia. Otto anni fa, nel 1994, quando si mise in moto la macchina dell’autonomia, era la metà: 800 mila lire scarse. Eppure il gioco al rialzo non è bastato a mettere l’università al riparo dalla crisi economica, esplosa con la minaccia di dimissioni in massa dei rettori se la Finanziaria non incrementerà il capitolo dei fondi per gli atenei. Per uscire dalla crisi, le soluzioni sembrano due: battere cassa allo Stato, oppure rincarare le rette in base al reddito delle famiglie degli studenti, recuperando almeno una parte dei soldi mancanti. Ma quanto è concreta questa seconda strada? L’idea è stata lanciata ieri da Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera. Il principio è semplice: ottenere il più possibile dagli studenti per fare funzionare meglio le università.

CONTRIBUTO DEGLI STUDENTI - Un decreto del ’97 fissa un «tetto» massimo al contributo degli studenti alla copertura dei costi e dei servizi: non oltre il 20% dell’importo versato dallo Stato all’ateneo. Ma in pochi hanno sfruttato questa possibilità. Stanno al Nord: Milano Bicocca, Politecnico di Milano, Università di Bergamo, Iuav di Venezia, Università di Bologna. Secondo una elaborazione del Comitato per la valutazione del sistema universitario su dati del ministero, rilanciata da un’inchiesta del mensile Campus , in questi atenei si sarebbe addirittura ecceduto nel prelievo: alla Bicocca si arriverebbe a sfiorare il 30%. In coda una manciata di atenei del Sud che invece vivono quasi esclusivamente di fondi statali: le Università della Basilicata e di Catanzaro, di Cagliari, di Palermo, della Calabria. Se la legge consente di arrivare fino al 20%, al Sud ci si ferma al 7,4%.

LE RETTE - Calmierare le rette serve a «catturare» più studenti, ma anche a farli studiare meglio? «Falsità», risponde Giavazzi. Gli ultimi dati del ministero, riferiti al 2001, indicano che la «fetta» più consistente del milione e 700 mila universitari è concentrata in una fascia d’iscrizione fra i 206 euro e gli 826 euro all’anno. Il «gruppone» è tutto in questa forbice. Oltre, i numeri si rarefanno: sopra i 2.500 euro si trovano studenti solo alla Statale di Bologna, all’Università «Jean Monnet» di Casamassima, provincia di Bari (che però non è statale), alla Bicocca, alla Cattolica, alla Statale e alla Bocconi, tutte di Milano; alla Luiss e alla Lumsa (non statale) di Roma e infine alla Statale di Torino. Oltre i 5.000 euro alla Bocconi, alla Luiss, alla «Vita e salute», la nuova università del San Raffaele, all’Università per stranieri di Perugia.

I SERVIZI - «La retta è in proporzione ai servizi che si ricevono», si dice. Dove tutti pagano poco, il servizio è più scadente. L’ultimo rapporto «Euro student» stigmatizza la lentezza con cui cresce il numero degli alloggi per studenti: 26 mila nel ’96, 29 mila oggi (contro i 150 mila della Francia e i 223 mila della Germania); meno di uno studente fuori sede su dieci riesce a usufruirne. Raddoppiate, invece, le borse di studio in Italia: 63 mila nel ’96/97, 118 mila nel ’99/2000. A concederne il numero maggiore sono le università dove le rette sono «alte». Alte? Confrontate al «mercato» americano, dove però i servizi per gli studenti sono di qualità mediamente migliore, restano un’inezia: per un’università di provincia, negli Usa si spendono 4 mila euro l’anno, se l’ateneo si chiama Yale o Harvard la retta s’impenna fino a 33 mila euro.

dmonti@corriere.it
Daniela Monti

TOR VERGATA
Quattrocento docenti rinunciano all’aumento «Quante zavorre, così si strangolano gli atenei»

Franco Peracchi: «Il 10% dei miei colleghi è in aspettativa»

ROMA - E’ uno dei 400 docenti dell’Università di Tor Vergata ad aver scelto di rinunciare all’aumento di stipendio per far fronte ai tagli della Finanziaria. Franco Peracchi, docente di Econometria: nel documento che ha sottoscritto, il futuro, in assenza di stanziamenti aggiuntivi, è descritto in termini di «strangolamento di molte attività vitali per l’università, dalle risorse per i dottorati di ricerca alle iniziative per gli studenti». D’accordo, ma perché? Quali sono le responsabilità, e di chi? «Mancanza di coerenza - dice il docente di Tor Vergata, una delle tre università romane -. E quanto scritto da Francesco Giavazzi in merito a fondi e concorsi, ieri sul Corriere , mi trova d’accordo. Detto ciò, non si può dimenticare che nell’università italiana ci sono persone di valore, dalle quali bisognerà ripartire quando si deciderà di invertire la rotta». Certo, ma al di là della vostra scelta di rinunciare all’aumento di stipendio, cosa si può fare?
«Innanzitutto aumentare le tasse e le borse di studio. E’ innegabile che in Italia l’università costi poco, e credo anche che i beneficiari dell’attuale sistema non siano le fasce più deboli degli studenti. Per premiare meriti e bisogni sarebbe necessario puntare sulle borse di studio. I dottorati, ad esempio: noi paghiamo solo borse di mantenimento, e non ci sono fondi per il finanziamento di dottorato, che è ciò che determina l’attività di ricerca ad alto livello».
E’ d’accordo con ciò che sostiene il presidente Ciampi a proposito dei poli d’eccellenza?
«Completamente. La realtà però è diversa: governi di destra e di sinistra hanno continuato a proporre i finanziamenti a pioggia. Invece ci vorrebbero dei criteri per premiare il merito degli atenei: dalla produzione scientifica alla visibilità internazionale, all’impatto della ricerca. Come accade all’estero. Ma un sistema così non si inventa dall’oggi al domani, e proprio non vedo la volontà politica».
Altri cambiamenti necessari?
«I due vincitori per ciascuna cattedra: sapete cosa significa? Che hanno trasformato l’università italiana in una palude. Voglio dire che questo meccanismo dei due vincitori ha fatto passare molti che non avevano le qualità necessarie».
Magari però si tratta di docenti che almeno sono presenti all’università...
«Certo, perché poi c’è un’altra piaga, un’altra zavorra: alcuni docenti esistono ma all’università non si vedono per quattro o cinque anni. E non solo mantengono la posizione pur avendo altri incarichi, ma, di fatto, congelano posizioni importanti».
Nella sua facoltà, ad esempio, quanti sono i docenti che mantengono la posizione, mentre fanno i parlamentari o i presidenti di società statali?
«Il dieci per cento. Almeno».
Lei per il bene dell’università ha deciso di rinunciare all’aumento. Possiamo quantificare?
«Duecento euro, ne guadagno 4 mila al mese».

Alessandro Capponi

Protesta
Cortei di studenti

«Salvare l’Università pubblica» è lo slogan degli studenti, che protestano contro i tagli nella Finanziaria per atenei e ricerca. Da Nord a Sud, oggi ci potrebbe essere il blocco totale dell’attività didattica: nelle università sono in programma manifestazioni e assemblee.


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Date: 16 Dec, 2002 on 06:43
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