Il disegno di legge è stato approvato con 151 voti a favore e 89 contrari. Ora il testo passa alla Camera

Senato, via libera alla devolution

ROMA - Giornata ad alta tensione al Senato che approva in serata il disegno di legge costituzionale sulla devolution: 151 i sì e 89 i no. A favore i gruppi della maggioranza (con le eccezioni di Domenico Fisichella, An, che ha votato contro e del repubblicano Antonio Del Pennino che non ha partecipato al voto), ai quali si è aggiunto il gruppo per le Autonomie. Hanno votato contro tutti i gruppi dell'opposizione. Ora il disegno di legge passa alla Camera. E dato che cambia la Costituzione, la legge, per entrare in vigore, avrà ancora bisogno di due voti della Camera e di un altro del Senato. Se tra l'altro non verrà adottata con maggioranza di due terzi, potrà essere oggetto di referendum, peraltro già annunciato dal centrosinistra.

Non è un plebiscito: 151 voti a favore sono meno della maggioranza assoluta dell'assemblea chiesta dalla Costituzione quando il ddl verrà esaminato per la seconda volta. E 151 voti sono sempre meno rispetto ai due terzi dei componenti l'assemblea per rendere impossibile un referendum. Mancano inoltre all'appello una ventina di voti rispetto a quelli teoricamente a disposizione della maggioranza.

Una giornata che si chiude con i senatori della Casa delle libertà in fila per stringere la mano a Bossi e congratularsi con lui ma che era iniziata presto e subito tra le polemiche. Polemico il senatore a vita Francesco Cossiga, che dichiarando il suo voto contrario, difende però il diritto del ministro delle Riforme istituzionali a criticare il presidente Ciampi. Tanto che viene richiamato dal presidente del Senato Marcello Pera. Tensione alta anche per l'assenza del ministro Bossi, padre e principale sponsor della legge. Pera è costretto più volte, dietro le proteste dei senatori del centrosinistra a chiedere la presenza in aula di Bossi, che però arriva solo nel pomeriggio. Non interviene in aula, per la dichiarazione di voto. Si limita solo a dire due battute ai giornalisti: "non c'è nessun pericolo di scontro istituzionale" col presidente della Repubblica. Con il sì del Senato "per la prima volta passa il progetto del federalismo".

Non di federalismo ma di "secessione" parla invece Nicola Mancino, che intervenendo a nome di tutto l'Ulivo per annunciare il voto contrario, bolla il provvedimento come "un testo velleitario, che aprirà uno scontro istituzionale permanente fino a realizzare di fatto la seccessione promessa al popolo padano. Che Stato sarebbe - avverte Mancino - quello che ogni giorno dovesse convivere con il conflitto di competenze? Non si scardinerebbe l'ordinamento?".

La devolution passa. Ma in mattinata la casa delle Libertà presenta un ordine del giorno, ribattezzato "salvapatria", che tenta di ricucire lo strappo con il Quirinale e i rapporti nella maggioranza. "La devoluzione - è scritto - non tocca la solidarietà e neppure i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, che devono essere garantiti sull'intero territorio nazionale (il diritto all'istruzione, l'ordine pubblico e la sicurezza) sui quali lo Stato ha legislazione esclusiva". Sono parole di Umberto Bossi pronunciate nell'aula di Palazzo Madama il 27 novembre scorso. L'ordine del giorno è stato firmato dai quattro presidenti dei gruppi di maggioranza, Renato Schifani (Fi), Domenico Nania (An), Francesco D'Onofrio (Udc) e Francesco Moro (Lega Nord).

(5 dicembre 2002)