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Sei domande per sapere tutto della «Devolution» di Bossi
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1. Sei domande per sapere tutto della «Devolution» di Bossi
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da L’Unità
Giovedì, 28 novembre 2002

Sei domande per sapere tutto della «Devolution» di Bossi
di Roberto Arduini e Luca Tancredi Barone

Cos’è la «Devolution»?
Sul piano operativo la «devoluzione legislativa» consiste nel trasferimento dal governo e dall'Amministrazione centrale dello Stato alle Regioni della potestà legislativa in materie di grande rilevanza sociale e individuale quali sono la sicurezza, la salute, il lavoro e lo studio. Si tratta di una scelta legislativa che ha già visto negli anni scorsi - esattamente nel 1992 - un secco no della Corte Costituzionale alla richiesta della Regione Veneto di «Devolution». La versione di Bossi non è la temuta secessione, non è un soffuso federalismo, lontana anche dall’esperienza della Scozia, cui si richiama. Nella proposta, sono le regioni che si auto-attribuiscono la potestà legislativa esclusiva su alcune materie (la formula di auto-attribuzione è del tutto inedita nel panorama internazionale).

Cosa prevede la riforma di legge sulla «Devolution»?
Nella proposta di legge 1187, enunciata da Bossi, si prevede che ciascuna Regione possa attivare con una sua legge la propria competenza esclusiva su quattro materie: l'assistenza e l'organizzazione sanitaria; l'organizzazione scolastica e la gestione delle scuole; la definizione dei programmi scolastici di interesse specifico della Regione; la polizia locale. Ma la Regione potrà attivare questa legge solo dopo un giudizio di legittimità da parte della Corte Costituzionale.

Cosa prevede la riforma dell’Ulivo approvata dal referendum del 2001 e già in vigore? La riforma sul federalismo proposta dall’Ulivo è stata approvata definitivamente dal Parlamento l’8 marzo 2001 e confermata dal referendum il 7 ottobre 2001. Vediamo in estrema sintesi quali sono le novità introdotte:
- Entrano in Costituzione tutta i governi territoriali (comuni, province, città metropolitane, regioni) e vengono riconosciuti gli statuti regionali e di Roma capitale
- Viene introdotto il cosiddetto principio del «regionalismo differenziato», secondo cui possono essere attribuite, con legge dello Stato approvata a maggioranza assoluta, ulteriori condizioni di autonomia ad altre regioni su alcune materie specifiche.
- Vengono enormemente rafforzate le competenze regionali, equiparando la possibilità di fare leggi (potestà legislativa) dello stato a quella delle regioni. Vengono infatti elencate le materie di competenza esclusiva dello stato e le materie di competenza «concorrente» in cui allo stato spetta fissare i principi fondamentali, mentre le altre competenze sono attribuite alle regioni. Tra quelle di competenza dello stato: politica estera, difesa, moneta, ordine pubblico, giustizia, determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, norme generali sull'istruzione, previdenza, leggi elettorali, tutela dell'ambiente e dei beni culturali.
- Viene affermato il principio della «sussidiarietà» verticale (attribuendo tutte le funzioni amministrative ai comuni salvo che non intervenga l'esigenza di un esercizio centrale) e orizzontale (favorendo l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale).
- Viene garantita l’autonomia finanziaria di entrata e di spese a comuni, province, città metropolitane e regioni, salvo la rimozione da parte dello stato di eventuali squilibri per i territori con minore capacità fiscale.
- Introduce la possibilità per lo stato di esercitare i poteri sostitutivi nei confronti degli enti locali, soprattutto al fine di tutelare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali oppure di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica.
- Fino alla revisione della prima parte della Costituzione, cioè all’ introduzione della cosiddetta Camera delle Regioni, prevede la partecipazione di rappresentanti degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Ma cosa cambia concretamente per la gente con la «Devolution»? Le fasce più deboli risentiranno molto della «Devolution» di Bossi, soprattutto per quanto riguarda temi come la polizia locale, l’assistenza sanitaria, la scuola e le tasse. Le modifiche proposte appaiono di difficile ed equivoca interpretazione. L'unico punto affrontato dal testo predisposto dal Governo riguarda un gruppo di materie (scuola, sanità e polizia locale) sulle quali singole regioni potrebbero assumere, di propria iniziativa, la competenza legislativa esclusiva. Tale spostamento di competenze appare di modestissimo significato. La polizia amministrativa locale già appartiene alla competenza legislativa esclusiva delle regioni, oltre all'equivoca proposta di una polizia regionale «intermedia» tra quella statale e quella degli enti locali. Inoltre, ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione, è già possibile, su iniziativa delle regioni interessate, attribuire alle regioni medesime la competenza legislativa esclusiva in materia di tutela della salute e di istruzione. Sulla Scuola, il testo sembra indicare l'obiettivo di affidare tutta la politica scolastica ad «alcune» regioni, salva una parte di programmi di interesse nazionale. Ma l'accesso all'istruzione pubblica è la materia in cui più si giocano i diritti dei cittadini, il principio di uguaglianza, la stessa identità della comunità nazionale. Peraltro, nell'ambito della scuola resta preziosa l'autonomia delle istituzioni scolastiche, garantita dal terzo comma del nuovo articolo 117, così come restano fermi i doveri dello Stato indicati dall'art. 33 della Costituzione per l'istituzione di «scuole statali pertutti gli ordini e gradi». Senza considerare il «buono scuola», già presente in alcune regioni italiane come Lombardia e Veneto. Emblematico è l’esempio di quest’
ultimo: la «privatizzazione scolastica» del governatore forzista, Giancarlo Galan. Prima sono state escluse le materne, poiché il 72% dei bimbi dela regione frequenta le private religiose (essendo rarissime quelle pubbliche). Poi sono stati introdotti i «buoni scuola», rimborsabili solo a chi ha pagato almeno 150 euro d'iscrizione. A circa 25 mila studenti delle private sono stati erogati circa 17 miliardi e mezzo di vecchie lire. Ai circa 500 mila studenti della scuola pubblica 178 milioni. E solo perché si tratta di istituti alberghieri o convitti, condizione indispensabile per far domanda alla regione. Una volta applicata, la legge regionale sui «buoni scuola» si dimostra concepita per invertire il più elementare principio della solidarietà. Il 45% dei soldi è finita alle famiglie con redditi netti compresi fra i 40 e i 100 milioni di lire. Per quanto riguarda la Sanità, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti ha affermato che in questo settore «la devoluzione è già avvenuta». Un’indagine del Censis sui farmaci riporta fa emergere che ad accorgersi di quanto sta avvenendo nell'assistenza farmaceutica sono soprattutto coloro che hanno problemi di salute e che hanno subito, più degli altri, le conseguenze delle misure. Il federalismo sanitario non ha avuto alcuna influenza (59,3%) o ha peggiorato (26,4%) l'assistenza farmaceutica. Da sottolineare che sono soprattutto le persone con uno stato di salute valutato come insufficiente
(37,7%) e i residenti nel nord-ovest (32,3%) e nel nord-est (32,2%) che, più degli altri, sottolineano l'impatto negativo che l'attribuzione a livello regionale delle responsabilità in sanità ha avuto sull'assistenza farmaceutica. Particolarmente critici rispetto al ricorso a tale strumento sono i residenti nelle regioni del nord, i giovani e gli anziani. Sulla disparità dei prezzi dei farmaci tra le Regioni, il segretario generale del Censis Giuseppe De Rita afferma: «se accettiamo che la responsabilità sanitaria vada alle Regioni, accettiamo anche gli squilibri». le Regioni avranno sempre più autonomia (ma anche meno soldi) sul controllo e l'erogazione della spesa sanitaria che inevitalbilmente sarà sempre più differenziata secondo le realtà locali e la capacità di spesa. In alcune Regioni, come ad esempio il Lazio, per un ecografia o un doppler ci sono attese lunghissime, anche fino a quattro mesi. Oltrettutto l'aziendalizzazione ha prefigurato una autonomia gestionale da parte dei manager-direttori sanitari che in alcune situazioni hanno appaltato servizi e prestazioni ai privati con costi superiori rispetto a quando venivano forniti in ambito pubblico. Ma ancora più grave è il punto che riguarda le tasse. Suddividendo tra le 20 Regioni italiane l’intero ammontare dei fondi chiesti, ma non inseriti nella prossima Finanziaria, risulta che ogni governatore rischia di dover fronteggiare un «buco» tra i 150 e i 200 milioni di euro (300-400 miliardi di lire). Ma il peso della manovra potrebbe divenire ancora più gravoso se si allarga il discorso al comparto sanità, che causerebbe alle regioni un’ ulteriore perdita di 6 mila milioni di euro (12 mila miliardi di lire). Il governo si è però impegnato a recuperare questa cifra, pur subordinandone l’ erogazione al raggiungimento da parte dei governatori di precisi obiettivi di bilancio (giudicati troppo severi dalle regioni). È probabile che la soluzione sia l'istituzione di nuove tasse, in cui i governatori hanno piena autonomia.

Come mai è possibile modificare la Costituzione nonostante il referendum del 2001? La Costituzione prevede che nel caso le riforme costituzionali siano votate dalle due Camere con una maggioranza inferiore ai due terzi degli aventi diritto, queste possano essere sottoposte a un referendum popolare di conferma (art. 138 Costituzione). La riforma costituzionale approvata dal Parlamento nella scorsa legislatura in materia di federalismo è stata confermata da un referendum che si è tenuto il 7 ottobre 2001. L’eventuale approvazione in Parlamento di un’ulteriore riforma sulla «Devolution» della destra potrebbe avvenire nuovamente con una maggioranza inferiore ai due terzi. E potrebbe quindi essere soggetta a un nuovo referendum costituzionale. Esiste però una legge (la n.352 del 1970) che regola lo svolgimento del referendum e che prevede, all’articolo 38, che nel caso i votanti si esprimano contro l’abrogazione di leggi soggette a referendum, le stesse non possano essere nuovamente sottoposte a referendum per almeno cinque anni. Ma questa legge vale solo per i referendum abrogativi sulle leggi ordinarie, mentre il referendum del 7 ottobre 2001 era su una legge
costituzionale: era infatti confermativo e non abrogativo.

Come è cambiata la Devolution di Bossi?
Nell’arco degli anni, la posizione di Umberto Bossi è cambiata moltissimo. La Lega nasce come un movimento indipendentista, tanto che dopo la vittoria alle elezioni, 29 luglio ‘99, il gruppo parlamentare alla Camera cambia nome in «Lega Forza Nord per l'Indipendenza della Padania» e il 12 settembre, Borghezio è eletto presidente del «Governo della Padania». Già a dicembre, durante la manifestazione leghista nella capitale «contro Roma ladrona», Bossi cambia posizione, spiegando ccome fosse «ormai evidente che le riforme non possono passare per il Parlamento e che quindi bisogna dare la voce al popolo». Da qui, inizia la raccolta di firme per il referendum costituzionale sul Parlamento del Nord. In seguito, Bossi rinuncia definitivamente al referendum e afferma che la Lega accetta l'idea di Stato unitario e che l'obbiettivo è «la devoluzione, cioè lo spostamento di alcuni poteri dallo Stato alle regioni. Tutto avviene all'interno dello Stato». Il 10 giugno 2001, Umberto Bossi è nominato ministro «per le Riforme e la Devoluzione» del governo Berlusconi, ma specificando che «davanti al Presidente della Repubblica ho giurato come un padano».

Il ddl costituzionale sulla «Devolution», presentato da Bossi, si compone di un solo articolo che modifica l'art. 117 della Costituzione aggiungendo un nuovo comma che trasferisce competenza esclusiva alle regioni in materia di scuola, sanità e polizia locale. Il Consiglio dei ministri approva all'unanimità le linee generali della riforma, ma decide di rinviarlo a dopo il referendum confermativo, fissato per il 7 ottobre 2001. Il testo del referendum è modificato su pressione di An, con una frase sull’unità nazionale. A metà ottobre, il presidente Ciampi promulga la legge di riforma costituzionale sul federalismo, in seguito ai risultati del referendum confermativo, che rendono superato la proposta Bossi. Quest'ultimo, però, a metà novembre, forza i tempi: «mi sono dato fino al Congresso della Lega e non oltre. Io non posso più aspettare. O le leggi o la lotta». Pisanu, ministro per l’attuazione del programma, dichiara che il primo testo presentato «aveva alcuni punti discutibili» che sono stati rivisti e riesaminati. A febbraio 2002, il Consiglio dei ministri accoglie una proposta di emendamento della Conferenza unificata delle Regioni, e poi a sorpresa, rimette mano al testo apportando altre due modifiche dopo alcune considerazioni arrivate dal Quirinale. La commissione per cinque mesi l'ha discussa senza arrivare ad alcuna conclusione.

Il 22 novembre, Cesare Ruperto, presidente della Corte Costituzionale, ritiene che «non si può e non si deve procedere a nuove riforme costituzionali prima di avere emanato le leggi di attuazione di quella, tanto imponente e penetrante, varata nell’ottobre 2001».

La «Devolution» come la vuole Bossi forse dovrà aspettare.


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Date: 29 Nov, 2002 on 01:26
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