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I SIMBOLI E LE PAROLE
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1. I SIMBOLI E LE PAROLE
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da Il Corriere della Sera
Venerdì, 15 Novembre 2002

I SIMBOLI E LE PAROLE
di SERGIO ROMANO

Il Papa e la Curia ci hanno dato una straordinaria lezione di oratoria politica. Il discorso di Giovanni Paolo II non è l’ingerenza negli affari italiani che molti dichiaravano di temere. Ma non è neppure una generica allocuzione al mondo e ai fedeli sui grandi temi dell’apostolato cattolico. Invitato al banco di presidenza della Camera dei deputati, il Papa, con inattesa energia, ha parlato soprattutto agli italiani e ai loro rappresentanti politici. E non ha esitato ad affrontare i temi all’ordine del giorno della politica nazionale. E’ probabile che non potesse fare diversamente. Un discorso meno «italiano» sarebbe piaciuto ai laici, ma avrebbe deluso il mondo cattolico e sarebbe parso a molti una occasione mancata. Stretto fra due opposte esigenze, il Papa ha pronunciato una magistrale allocuzione diplomatica in cui ha detto con grande finezza, direttamente o indirettamente, tutto ciò che la Chiesa desidera oggi dalla nazione italiana e, su alcuni grandi problemi, dall’Europa.
Giovanni Paolo II ha sottolineato le radici cristiane dell’Italia e l’indelebile impronta che l’«annuncio evangelico» ha lasciato sulla sua cultura e la sua arte: è un modo per affermare che l’Italia è cristiana o non è. Ha rivendicato i grandi meriti di alcuni Papi italiani, fra Ottocento e Novecento: è una risposta a coloro che lo hanno criticato per la sua devozione alla memoria di Pio IX, Pio XI, Pio XII. Ha condannato l’alleanza tra democrazia e «relativismo etico»: è un modo per deplorare il matrimonio fra gay, le coppie di fatto, le adozioni innaturali, la fecondazione assistita. Ha ammonito che il futuro dell’Italia è minacciato dalla crisi delle nascite e dall’invecchiamento della popolazione: è un modo per condannare l’aborto e deplorare la mancanza di una vera politica per la famiglia. Ha dichiarato che occorre rendere meno onerosa l’educazione dei figli: è un modo per esortare lo Stato ad assistere le scuole private.
Ha reso omaggio alle esigenze della sicurezza, ma ha ricordato che lo stato delle carceri esige un gesto di clemenza. Ha chiesto maggiore attenzione per i membri più deboli del corpo sociale: è un modo per ricordare che lo Stato deve assistere i disoccupati e gli immigrati. Ha chiesto che nella «Casa comune europea» (espressione molto usata da Michail Gorbaciov) vi sia il «cemento» della continuità religiosa e civile del continente: è un modo per chiedere che la costituzione dell’Unione contenga un cenno alle sue «radici religiose». Ha condannato il terrorismo e ha deplorato l’uso distorto che si è fatto delle religioni: è un modo per sottolineare che l’Islam non può essere considerato ispiratore degli attentati. E ha deplorato infine che nelle vicende internazionali sembri prevalere la logica dello scontro: è un modo per affermare che la guerra con l’Iraq può essere ancora evitata e che la crisi palestinese esige una soluzione politica.
Queste sono alcune delle cose che il Papa ha chiesto all’Italia e all’Europa. Chi ha seguito la sua opera in questi ultimi anni sa che appartengono da tempo all’agenda politico-religiosa di Karol Wojtyla. Del tutto nuovo, invece, è il luogo in cui queste richieste sono state avanzate.
Resta quindi da dire una parola sul modo in cui il Papa è stato ricevuto a Montecitorio. Pensavamo che i deputati e i senatori della Repubblica lo avrebbero accolto con simpatia, ascoltato con attenzione e applaudito, alla fine, con calore. Ma l’emozione per l’eccezionalità dell’evento ha travolto alcune regole dell’etichetta politica e molti parlamentari si sono impadroniti di quelle parti del discorso che maggiormente convenivano al loro partito per salutarle con fragorosi applausi. Senza volerlo il Papa è stato spregiudicatamente usato dalla politica italiana. E’ probabile che la Santa Sede, accettando l’invito, non avesse valutato questo rischio.


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Date: 15 Nov, 2002 on 07:08
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