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1. IL LATO AMARO DELLO SVILUPPO
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da Il Corriere della Sera
Mercoledì, 13 Novembre 2002

Benefici e contraddizioni «neo global»

IL LATO AMARO DELLO SVILUPPO
di ALBERTO RONCHEY

«No global» è un titolo di poco senso, poiché la globalizzazione da secoli è un processo irreversibile, accelerato negli ultimi decenni. Ha più senso «neo global», poiché si discute sulle contraddizioni e distorsioni di quel processo. Per i contestatori, da Seattle a Firenze, il primo argomento è che la globalità non attenua e anzi aggrava il divario tra prosperità e indigenza nel mondo attuale. Ma le origini del divario, innegabile, richiedono spiegazioni articolate. Si può ricordare che il moderno globalismo provocava già conseguenze fuori controllo quando le società industriali esportavano i loro benefici nel resto del mondo, reti stradali o ferrovie come le Indian Railways costruite dai britannici un secolo e mezzo fa, vaccini e antibiotici, elettricità e telecomunicazioni. A quei fattori e altri simili era dovuto nel Terzo Mondo un aumento progressivo della popolazione, che tuttavia non comportava un commisurato sviluppo delle forze produttive. Nelle società tradizionali o arretrate, infatti, si potevano diffondere prodotti delle civiltà industriali, ma non suscitare interne capacità imprenditoriali sufficienti all’equilibrio tra economia e demografia.
Quando poi anche l’arretrato emisfero meridionale s’è rivolto all’industrializzazione, ha preso a modello spesso le tecnologie capital intensive occidentali, utili al risparmio di manodopera e al crescente potere d’acquisto dei consumatori occidentali, anziché tecniche di produzione labour intensive , adatte alla scarsità di capitali e all’abbondanza di manodopera. L’imitazione dei modelli produttivi concepiti dagli occidentali per gli occidentali ha condizionato il sottosviluppo, come viene riconosciuto da numerosi governi del Terzo Mondo. E ora, senza una propria tecnologia oltreché nell’impossibilità di ricorrere all’isolamento autarchico, le società povere possono solo affrontare le competizioni di mercato con il social dumping dei bassi salari, come succede su larga scala.
Nessuno suggerisce un’alternativa. C’è almeno qualche rimedio? Mai sarà sufficiente a ridurre il divario qualsiasi condono di debiti delle nazioni più povere, anche perché spesso governate da oligarchie arbitrarie. Sarà vano concedere a oltranza soccorsi alimentari, anche in assenza di carestie, con il risultato di rovinare le agricolture locali. È ragionevole, invece, reclamare l’apertura dei mercati occidentali tuttora protetti da insuperabili barriere che ostacolano le importazioni dal Terzo Mondo di prodotti come quelli tessili e agricoli.
Quali altri addebiti vengono rivolti al globalismo economico? Appare ingiustificata la condanna di qualsiasi prodotto agroalimentare transgenico, dovuta spesso a timori privi di fondamento scientifico, mentre non possono accettarla nazioni superpopolate come l’India e la Cina. Le denunce consuete contro gli abusi delle onnipotenti multinazionali, veridiche o no, risultano talvolta troppo sommarie, mentre andrebbero documentate nei dettagli. Qualcuno ha voluto attribuire a maneggi delle multinazionali sui mercati persino le declinanti quotazioni del cacao, imputabili a eccessi di produzione o d’offerta del Terzo Mondo, giacché le società industriali non producono cacao. E ancora, si ripetono le accuse contro le transazioni finanziarie da tassare perché definite speculative, benché non sia facile distinguere tra capitali viziosi e virtuosi.
Da ultimo, insieme con l’inquinamento da sperpero energetico, rimane sotto accusa l’iperconsumo delle nazioni occidentali. Anche se, come tutti sanno, i più severi e intrepidi accusatori del consumismo appartengono a ceti sociali che hanno già troppo consumato. E continuano, secondo i costumi delle ultime generazioni.


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Date: 13 Nov, 2002 on 08:33
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