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«Se i ragazzi sbagliano puniteli, poi aiutateli»
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1. «Se i ragazzi sbagliano puniteli, poi aiutateli»
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da La Stampa
Lunedì, 11 Novembre 2002

APPELLO AI GENITORI DAL CONGRESSO DELL´ASSOCIAZIONE ITALIANA MAGISTRATI PER I MINORENNI

«Se i ragazzi sbagliano puniteli, poi aiutateli»
I giudici minorili: «Abdicare al ruolo di autorità è un tradimento verso il figlio»

SALERNO - Imparare a tormentarci di meno e riflettere di più, non cercare fraternità o retorica amicizia con i figli. E non aver paura dei «conflitti», giacché il conflitto è insito nel confronto fra generazioni, eliminarlo per principio significa soltanto abdicare al proprio ruolo. E se i ragazzi sbagliano punirli, ma tenendo conto di come possiamo aiutarli mentre aiutiamo la società colpita.
È la sintesi dei tre giorni che hanno visto impegnati a Salerno, nel 21° Congresso Nazionale dell'Associazione italiana magistrati per i minorenni, giudici, psicologi, psichiatri, antropologi, educatori. Con un´avvertenza: la devianza giovanile non si combatte, anzi la si incita, se si aboliscono - come vorrebbe un disegno di legge del ministro Castelli - le strutture che oggi ci lavorano. Ha tenuto la relazione conclusiva Pasquale Andria, giudice minorile a Salerno.


Dottor Andria, dell'adolescenza si parla su giornali e tv, anche per fatti sconvolgenti. Non ne sappiamo abbastanza?

«Purtroppo se ne dà, lo dico senza polemica, una rappresentazione deformante. Non c'è un'adolescenza da riconoscere, ci sono diverse adolescenze da conoscere».

Adolescenze al plurale. Che significa?

«Su ogni soggetto incidono molte variabili, a cominciare dal sesso: maschio o femmina fa una bella differenza. Poi bisogna stare attenti alle appartenenze sociali: è un momento della vita in cui non c'è omologazione. Basta guardare gli indici sociali di provenienza per chi approda ai nostri uffici».

Buttiamo via lo stereotipo delle famiglie emarginate?

«Certo. Gran parte del disagio ha le sue radici in realtà di deprivazione, ma è altrettanto palese che assistiamo a delitti efferati dove le appartenenze sono trasversali. Una spia su un disagio diffuso».

E il disagio lo crea una società malata?

«Io non sono di quelli che danno la colpa alla società o alla famiglia. Però riflettiamo: in questa società manca la pedagogia narrativa, il "dire la vita". Sarebbe bene che ciascuno rientrasse nei suoi ruoli, che si recuperasse il conflitto, che è insito nelle differenze generazionali e fa bene, se affrontato con buonsenso. Oggi fa paura l'afasia della famiglia, l'indifferenza».

Però a bastonare la famiglia ci pensano in abbondanza gli esperti in tv. Non picchiamo un po' troppo su questi poveri genitori?

«E´ vero. Non accuso le famiglie. Ritengo che colpevolizzarle indiscriminatamente sia ingiusto e dannoso: le paralizza. Invece vanno sostenute. Dal disagio dell'adolescente dobbiamo cogliere il disagio della famiglia. I genitori hanno paura di sbagliare e si lasciano sedurre, assecondano il giovane in modo acritico. Noi sosteniamo che l'abdicare al ruolo di autorità è un tradimento verso il figlio».

Oggi ci si vanta di essere amici dei propri ragazzi. Poi alcuni di loro approdano da voi. Come vivono questa autorità?

«Con sorpresa. Molto spesso l'impatto con noi è il primo vero incontro con una figura adulta significativa. E questa esperienza funziona quando porta a un'elaborazione della propria condotta. E´ l'obiettivo di ogni intervento».

Si accusa spesso la giustizia minorile di essere troppo tenera, perdonistica.

«Nulla di più sbagliato. Come è sbagliato non dare regole e chiedere a noi sanzioni: è ipocrisia. Quello che invece è vero è il problema di una giurisdizione, quella minorile, che deve tenere conto di alcuni elementi: non può essere quella degli adulti. Non significa dare pacche sulle spalle. E´ un orribile stereotipo. La verità è che si deve tenere conto della specificità del singolo soggetto molto più di quanto si fa con gli adulti, per dare la risposta qualitativamente migliore, per lui e per la società. Lo stesso fatto commesso da un adulto o da un ragazzo è diverso, è l'autore a fare il peso del fatto, ma non significa perdono, significa condanna calibrata, mirata».

Condanne mirate. Una giustizia cucita sul singolo imputato. Ma il ministro vorrebbe cambiare.

«Si vuole accorpare tutta la giustizia. E' inevitabile che ci preoccupi e non, come credono alcuni, per le poltrone, perché nessuno ci toglierebbe lo stipendio. Ci preoccupa perché sarebbe la dispersione di un patrimonio culturale del quale si conoscono gli effetti: ragazzi che hanno pagato il conto e si sono reinseriti in una vita normale, con costi minori per la società».

Colpo di spugna anche per i giudici onorari?

«I giudici onorari, i laici rispetto ai togati del sapere giuridico, portano un ventaglio di conoscenze fondamentale in questa materia. È una riserva indispensabile, alla quale può attingere il magistrato che regge tra le mani i codici».

Marco Neirotti


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Date: 11 Nov, 2002 on 09:30
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