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Bianco: 'Addio Cnr Senza fondi è la fine'
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1. Bianco: 'Addio Cnr Senza fondi è la fine'
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da Il Resto del Carlino

Bianco: 'Addio Cnr Senza fondi è la fine'

«Non so se riusciremo a tenere aperti i nostri Istituti di ricerca per il prossimo anno e per il futuro. Temo che ci si stia avviando verso la fine della ricerca pubblica in Italia». Il tono delle parole è pacato, ma l'effetto è quello di un urlo disperato, l'urlo che Lucio Bianco, presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) dal 1997, tenta di far arrivare al Palazzo. Sull'ente si addensano nuvoloni oscuri, i tagli della Finanziaria ai fondi per la ricerca si intrecciano con progetti di riforma non ben definiti.
Il futuro è a rischio?
«Temo proprio di sì. Eppure il Cnr è il primo ente di ricerca italiano in termini di produttività e produzione scientifica. E reggiamo bene il confonto con le Agenzie europee».
Allora cosa la preoccupa, presidente Bianco?
«La situazione finanziaria. Dal governo riceviamo un contributo che è fisso in valore assoluto da dieci anni: circa 490 milioni di euro. A mala pena con questi soldi riusciamo a coprire le spese per il personale. Questo significa che già oggi le nostre ricerche sono finanziate sul mercato, tramite la partecipazione ai programmi europei o con i fondi, pochi, delle industrie».
Allora le difficoltà dell'ente non sono nuove.
«No, ma si sono aggravate negli ultimi due anni. Il momento è molto critico. Aspettiamo con ansia l'esito finale di questa Finanziaria. Il taglio del 10 per cento dei contributi statali sarebbe fatale».
Siamo al punto di non ritorno?
«So che già nel 2002 abbiamo dovuto bloccare per mancanza di fondi il progetto giovani, i progetti finalizzati: abbiamo cessato l'attività di promozione della ricerca rivolta a tutta la comunità scientifica nazionale e ai nostri ricercatori all'estero. Il Cnr non è più il promotore di ricerca avanzata ad alto rischio. E nel 2003, ripeto, potremmo essere costretti a chiudere molti Istituti».
Siamo quindi destinati a restare agli ultimi posti nel campo della ricerca scientifica?
«Vede, se facciamo il contro con gli altri Paesi europei, e in particolare con Gran Bretagna, Francia e Germania, non siamo messi poi così male. Certo, se consideriamo indicatori come il numero di ricercatori per occupati o per milione di abitanti, siamo agli ultimi posti...»
Allora cosa dobbiamo considerare?
«Il numero di pubblicazioni scientifiche e di brevetti riferiti ai ricercatori impiegati. In tal caso siamo a fianco degli altri Paesi. La qualità umana c'è, dobbiamo sfruttarla meglio».
Anche per evitare la fuga dei cervelli.
«Esattamente. Ma non confondiamo la fuga con la globalizzazione della ricerca. E' un bene che i nostri ricercatori lavorino all'estero. Dovrebbe invece preoccupare il fatto che il flusso è unidirezionale: non riusciamo ad attrarre scienziati dall'estero, neppure dai Paesi del Terzo mondo o dell'Est».
Lei cosa propone?
«Una politica di rientro dei nostri ricercatori è improbabile. Come facciamo a chiedere loro di tornare in un Paese con poche risorse finanziarie e scarse strumentazioni scientifiche? Credo siano invece disponibili a lavorare dall'estero su programmi di ricerca di interesse nazionale. Insomma, dobbiamo sfruttare la loro intelligenza, più che la loro presenza fisica».
Non c'è quindi alternativa alla fuga?
«Mi sto riferendo a chi è già andato via. Dobbiamo invece impedire che altri ricercatori emigrino, ma possiamo dare loro le giuste opportunità solo investendo nella ricerca».
La ventilata riforma del Cnr può servire in tal senso?
«Si vocifera di questa riforma, leggo alcune ipotesi sulla stampa, ma nessuno ha avuto la cortesia di parlarmene. Ho chiesto un incontro al ministro, ma inutilmente».
Cosa voleva dire al ministro Moratti?
«Innanzitutto che abbiamo appena portato a termine la riforma dell'ente approvata nel 1999, abbiamo ridotto gli Istituti da oltre 300 a poco più di 100, razionalizzato le strutture. Gli effetti li vedremo tra qualche anno».
Tutto qui?
«No, potrei aggiungere che se la riforma del Cnr è nei termini che ho letto sui giornali, allora è inaccettabile. Segnerebbe l'inizio della fine della ricerca italiana, limiterebbe l'autonomia scientifica degli Istituti creando una sovrastruttura quale quella dei dipartimenti. Prefigura un controllo politico molto più grande di quello che non ci sia adesso».

di Achille Scalabrin


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Date: 06 Nov, 2002 on 08:33
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