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TROPPO PERMISSIVI CON I NOSTRI FIGLI?
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1. TROPPO PERMISSIVI CON I NOSTRI FIGLI?
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da Il Corriere della Sera
Mercoledì, 28 Agosto 2002

Famiglia, scuola, tv: abitudini da rivedere
TROPPO PERMISSIVI CON I NOSTRI FIGLI?

di ALBERTO RONCHEY

Da settembre, verrà sperimentato l’anticipo dell’età minima per l’iscrizione alle scuole pubbliche, materne o elementari. L’intento di utilizzare le capacità che si manifestano già nella prima infanzia è apprezzabile, purché gli strumenti economici e didattici siano commisurati ai fini. Seguirà (forse) la nuova riforma generale dell’istruzione, sulla quale discutono da tempo insegnanti e pedagogisti, burocrati e psicologi. Nella complessa controversia, però, manca un esame critico di consuetudini o costumi che ostacolano l’efficienza dell’istruzione. Anzitutto, rimane indiscusso il dato che nelle scuole secondarie l’anno di studio si riduce a ben poco. Dopo i mesi della lunga vacanza estiva, con l’autunno si ripete il rito delle contestazioni e occupazioni di aule o edifici, accolte ormai come inevitabili manifestazioni di presenza generazionale. Seguono, dalle festività natalizie a quelle pasquali, le «settimane bianche» invernali e le «gite scolastiche» primaverili. Così viene programmato, con dubbi risultati sportivi o informativi, il tempo libero piuttosto che il tempo «lavorativo». Quando studiano gli studenti, nell’età decisiva delle scuole medie? E prima di tanto svago, si vorrebbe insegnare agli alunni delle classi elementari informatica e lingua inglese. Illusione o contraddizione?
Tuttavia, anche una scuola seria e coerente può servire a poco finché le famiglie praticano e sollecitano la massima permissività. Una conseguenza, per cominciare dall’infanzia, sta in quell’indagine Ipsa dalla quale risulta che i figli d’italiani hanno fama d’essere più maleducati degli altri, francesi, americani, greci, inglesi o spagnoli. Poi, con il crescere, vengono assolti e blanditi persino se pretendono d’essere insieme contestatori moralisti e onnivori consumisti. Anche se una minoranza delle ultime generazioni coltiva il rigore dello studio e affronta la vita come res severa , prevale il prolungamento estenuato dell’adolescenza. Basta solo aggiungere che fra prove d’esame indulgenti e famiglie negligenti l’incultura è fenomeno di massa, dalle scuole medie fino ai corsi universitari che moltiplicano i disadattati con o senza laurea.
Se la famiglia e la scuola di base non sanno educare, pregiudicando anche gli studi ulteriori, si può almeno ricorrere alla «maestra tv»? La Rai, persino sotto la voce cultura del suo contratto di servizio pubblico a giustificazione del canone, propina cartoni animati e film o telefilm di qualità mediocre, spesso infima, che inducono gli scolari a sprecare tante ore della giornata. Domina l’attrazione morbosa d’ogni trivialità o spettacolare violenza. Eppure, la tv sarebbe il mezzo più potente per l’educazione collettiva. La risposta dei responsabili di certe scelte è che gli spettatori, dinanzi ai programmi divulgativi ambiziosi, cambiano canale.
È da spiegare però come mai la britannica Bbc, con i programmi affidati allo storico Simon Schama, docente di Harvard, ha ottenuto il 20 per cento di share , 4 milioni e mezzo di spettatori. Qui la risposta è che in Italia, secondo il censimento del ’91 e sia pure sperando in migliori notizie dall’ultimo, i cittadini analfabeti risultano 1 milione e 200 mila, quelli privi di licenza elementare 6 milioni, quelli che hanno solo raggiunto la licenza elementare 17 milioni.
«Tirate le somme», esortano quelli della Rai. D’accordo, tiriamole. Ma l’argomento, si può dire, «prova troppo». Se in Italia tanti sono gli analfabeti o i semialfabeti, perché lasciarli così, o volerne ancora di più, anziché usare il video allo scopo di favorire sia pure per gradi un’accettabile acculturazione della società e dei ceti più svantaggiati? Conta poco, a questo punto, il bilancio della Rai a paragone con i costi dell’arretratezza che ancora non si riesce a superare.


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Date: 28 Aug, 2002 on 08:11
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