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LE FERITE DI MALA STRANA
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1. LE FERITE DI MALA STRANA
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da Il Corriere della Sera
Mercoledì, 14 Agosto 2002

Tra attesa dell’Apocalisse e cieca fede nel progresso
LE FERITE DI MALA STRANA

di CLAUDIO MAGRIS

Le immagini di Mála Strana inondata indurrebbero a soffermarsi su quegli incantevoli angoli, su quelle misteriose e insieme familiari piccole vie per le quali è passata tanta storia e tanta poesia e a dire lo sgomento che si prova al pensiero che quei volti del mondo possano essere sfigurati. Indulgere a tali sentimenti sarebbe tuttavia anche empio, perché dinanzi alle catastrofi non esistono luoghi - né tanto meno persone - più e meno degni di compianto e di solidarietà; il dramma di ogni singolo individuo che perde la vita o la casa, siano pur esse anonime o comunque meno famose di quelle di Kafka, non è meno grave della distruzione di vite e monumenti illustri. Naturalmente ciò non impedisce che l’idea di una Praga ferita stringa il cuore. I disastri naturali come quello che sta sconvolgendo vari Paesi suggeriscono facilmente due atteggiamenti entrambi falsi. Da una parte la compiaciuta enfasi apocalittica dei fondamentalisti dell’ecologia, pronti a vedere in ogni elemento e aspetto della società moderna una fatale minaccia alla natura e in ogni progresso tecnologico un fattore di una sicura e prossima distruzione dell’umanità e dunque lieti di ogni catastrofe che conferma o sembra confermare le più fosche previsioni.
Così a suo tempo molti trovavano, con soddisfazione, nel naufragio del Titanic un monito alla superbia umana. Dall’altra parte c’è il precipitoso ottimismo di alcuni scienziati, preoccupati non già delle sciagure che accadono bensì del fatto che esse possano scuotere la tranquilla fede nell’illimitato indubitabile progresso, nella capacità della scienza di prevedere e dirigere il corso del mondo senza mai fallire. L’ottimismo scientista di chi assicura che «tutto va bene, madama la marchesa», accompagnando questo ingenuo e fanatico fideismo con supponenti ostentazioni di sapere, è altrettanto irrazionale quanto il catastrofismo pessimista.
Dinanzi ai disastri naturali ci si deve chiedere, senza timore di apparire troppo amici o troppo nemici del progresso, se e in che misura essi siano o no anche conseguenza dell’agire umano, del nostro modo di vivere, di fare, di produrre, di organizzare, di sfruttare e aggredire l’ambiente. La natura non è mai in pericolo, perché tutto è natura, anche i virus, le eruzioni vulcaniche e gli elementi la cui combinazione forma i gas che inquinano le strade; in pericolo, tuttavia, possono trovarsi alcune specie, dai dinosauri agli uomini, la cui scomparsa non turberebbe la natura, ma turberebbe chi scompare.
La lezione che si deve trarre dai disastri è la consapevolezza che, in ogni settore - fisico, politico, economico - tutto può accadere, anche se a noi piace beatamente e beotamente esser certi che mai il nostro mondo potrà crollare, così come siamo sicuri, quando sorpassiamo in curva, che non resteremo vittime di un incidente mortale. Il guaio è che pure chi ne resta vittima la pensava in quel modo, sino a pochi secondi prima. Il mondo, dice un detto ebraico, può essere distrutto fra la sera e il mattino; solo se ce ne rendiamo concretamente, fisicamente conto e agiamo in conseguenza possiamo evitarlo.

Claudio Magris


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Date: 14 Aug, 2002 on 09:41
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