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CARLO BO L’uomo che vide tramontare il romanzo
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1. CARLO BO L’uomo che vide tramontare il romanzo
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da Il Corriere della Sera
Giovedì, 18 Luglio 2002

A un anno dalla morte ricordo del grande critico cattolico, diviso tra la passione per la letteratura e lo scetticismo per la mediocrità della produzione più recente

CARLO BO L’uomo che vide tramontare il romanzo

di GIOVANNI RABONI


Ci sono immagini, figure, presenze che la morte allontana da noi con una rapidità vertiginosa, come se in quel momento il legame che le univa a noi si spezzasse di colpo lasciandole libere di sprofondare, per dirla con Thomas Mann, nel «pozzo del passato», e altre che essa sembra invece lasciarci stranamente vicine, persino più vicine di quando erano, se così si può dire, dal nostro stesso lato della realtà. Ho provato la seconda (la più confortante e, insieme, la più inquietante) di queste due sensazioni ogni volta che mi è capitato di pensare a Carlo Bo da quando, nel luglio dello scorso anno, si è conclusa la sua lunga vita. Cosa vuol dire? Cosa voglio dire? Francamente, non sono sicuro di saperlo. Forse che Bo - con i suoi leggendari silenzi e il suo non meno leggendario pessimismo, con la grandiosità dei «mea culpa» con cui ogni tanto ci sorprendeva, con il monumento di se stesso nel quale si era a poco a poco rinchiuso: tutte cose che, per altro, non gli hanno impedito di esercitare fino all’ultimo una prodigiosa operosità, una straordinaria, vitalissima propensione al fare - ci appariva o, meglio, giocava ad apparirci più lontano da noi, più estraneo ai nostri tempi, più confinato o fortificato dentro un suo glorioso, irripetibile passato, di quanto non fosse veramente. O forse invece (ma perché invece? le due ipotesi, lungi dall’essere incompatibili, potrebbero essere perfettamente complementari) che la sua presenza-assenza è stata per noi molto più importante di quanto da parecchi anni (cioè da quando lui aveva praticamente rinunciato all’esercizio del proprio magistero critico) non capissimo o, chissà, non avessimo il coraggio di ammettere.
In altre parole, potrebbe essere successo questo: che il progressivo abbandono, da parte di Bo, della militanza letteraria per una posizione fortemente e quasi polemicamente appartata di testimone etico all’ombra o, se si preferisce, al riparo di un altro se stesso, del proprio doppio «istituzionale», abbia coinciso con un sommovimento di carattere generale, con un’evoluzione o involuzione nella quale tutti siamo stati in qualche misura coinvolti. La sua quasi assoluta mancanza d’interesse, negli ultimi tempi, per quanto di nuovo o di pseudonuovo avveniva in campo letterario (una mancanza d’interesse che poteva manifestarsi sia con il silenzio sia con una sorta di infastidita condiscendenza: parlar bene di tutto e di tutti per chiamarsi fuori, per non schierarsi a favore di niente e di nessuno...) non era, insomma, come a volte si era tentati di sospettare, una questione personale o addirittura fisiologica, legata all’accumularsi degli anni e alla naturale sazietà di quel lettore di «tous les livres» che l’autore degli Otto studi e dell’ Eredità di Leopardi era stato per tanti anni; no, c’era dell’altro, e quest’altro riguardava e riguarda l’intera comunità dei lettori consapevoli, era (è) una crisi profonda - non ho detto irreversibile - della credibilità della letteratura, della possibilità della letteratura di essere, come il giovane Bo aveva teorizzato, una parte talmente indispensabile della vita da sovrapporsi ad essa, da diventare, in un certo senso, più vita della vita.
A questo penso che Bo avesse smesso di credere; ed è difficile, forse impossibile decidere se a indurre questo drammatico mutamento sia stata la complessiva mediocrità dello spettacolo che la letteratura è stata in grado di offrire, a lui e a noi tutti, negli ultimi decenni, oppure il progressivo e sempre più esigente prevalere in lui di grandi istanze e interrogativi di carattere etico-religioso. Non a caso gli articoli più belli, più emozionanti fra quelli che fino all’ultimo ha continuato a scrivere per il Corriere della Sera non riguardavano il mondo della letteratura e tanto meno l’attualità letteraria, bensì i grandi temi della società e della coscienza; e proprio in questo, riflettendoci, verrebbe voglia di ravvisare un segno particolarmente alto della sua coerenza, della sua fedeltà a se stesso. In fondo, pensare che la letteratura possa essere tutto e pensare che la letteratura sia, di fronte a valori ancora più interni all’essenza e al destino dell’uomo, poco più di niente, sono due concezioni assai meno distanti fra loro di quanto ciascuna di esse sia distante da una concezione della letteratura come bene strumentale o, peggio, come accessorio di lusso, come «abbellimento» dell’esistenza. È nel rifiuto, anzi nell’orrore per questa via di mezzo utilitaria o edonistica che il Bo giovanile della «letteratura come vita» e il Bo degli ultimi, disperati sermoni morali si danno la mano e possono risultarci - o, almeno, risultare ad alcuni di noi - ugualmente vicini, ugualmente fraterni.


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Date: 18 Jul, 2002 on 08:14
CARLO BO L’uomo che vide tramontare il romanzo
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