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Legge per gli oratori: hanno funzioni sociali
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1. Legge per gli oratori: hanno funzioni sociali
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da Il Corriere della Sera
Mercoledì, 17 Luglio 2002

Approvata alla Camera, contrari Rifondazione e Pdci

Legge per gli oratori: hanno funzioni sociali
Seimila in Italia, non pagheranno mobili e immobili

MILANO - Giovanni Paolo II l’ha definito «un ponte tra la Chiesa e la strada». Per chi l’ha frequentato può essere legato ai ricordi più diversi. L’Ave Maria recitata con le scarpe da calcio ai piedi e con certi «...adesso e nell’ora della nostra morte amen» detti a tutta velocità perché appena si finiva si facevano le squadre. O le delicate trattative con la suora per farsi aprire il cancello della parte femminile. Di sicuro, per molte generazioni di italiani, l’oratorio parrocchiale ha significato qualcosa. Non necessariamente dal punto di vista della fede o della religione. E infatti ieri la Camera dei deputati ha deciso che dev’essere riconosciuta e rilanciata la funzione sociale dell’oratorio, assieme a quella di soggetti - anche di altre confessioni religiose - che svolgano attività simili. Il primo articolo del disegno di legge approvato a Montecitorio dice: «Lo Stato riconosce e incentiva la funzione educativa e sociale svolta mediante l’attività di oratorio...». Il testo fa riferimento a varie attività: dal favorire la socializzazione di minori, adolescenti e giovani di qualsiasi nazionalità residenti nel Paese, alla diffusione dei valori dello sport e della solidarietà.
Per fare in modo che tutto ciò possa essere realizzato il ddl prevede che Regioni e Comuni forniscano agli oratori - in Italia sono 6.000, la maggior parte al Nord - beni mobili ed immobili in comodato, senza oneri a carico dello Stato.
Il provvedimento, che adesso passa all’esame del Senato, è stato approvato anche da una parte dell’Ulivo: i voti a favore sono stati 404, i no 19 (Rifondazione e Comunisti italiani), gli astenuti 14, compreso il gruppo dello Sdi. Soddisfatti i partiti della maggioranza, da Forza Italia ad An, fino all’Udc. D’accordo con lo spirito della proposta Ds e Verdi, che parlano di «legge rispettosa dei diversi orientamenti filosofici, culturali e religiosi della società» e «principio di laicità dello Stato rispettato». Contrari soltanto Rifondazione comunista e Pdci, per una volta uniti nel denunciare la discriminazione dei sette milioni di italiani non credenti e nell’attaccare la maggioranza «che paga il suo debito con la Chiesa che è stata tra gli artefici della sua vittoria».
Ma, polemiche politiche a parte, l’oratorio è ancora in grado di giocare il ruolo che ha avuto nell’Italia di qualche anno fa? Quando entrava nelle canzoni di Paolo Conte, «sembra quand’ero all’oratorio, con tanto sole tanti anni fa. Quelle domeniche da solo in un cortile, a passeggiar...», e i ragazzi ci andavano sul serio (magari per stare assieme, più che per pregare). Un prete impegnato come don Gino Rigoldi la vede così: «Se si pensa di mantenere quello che c’è adesso, questi non saranno soldi spesi bene. Spero che invece si portino negli oratori professionalità in grado di educare i preti a lavorare assieme ai laici. E che si tenti di progettare percorsi educativi moderni che servano a far tornare i giovani». Perché oggi, dice Rigoldi, gli oratori sono vuoti.
Riuscirà questa legge a cambiare la situazione? Se lo augura chi là dentro ha iniziato qualcosa di importante. Come i cabarettisti Aldo e Giovanni, che prima di incontrare Giacomo, a Milano si esibivano sul palco dell’oratorio di Porta Romana come «I suggestionabili». Oppure «lo Zio» Beppe Bergomi, campione del mondo di calcio nell’82 «nato» sul campo della parrocchia Sant’Ambrogio di Settala (Milano): «Dai 6 ai 12 anni ero chierichetto - racconta - e in oratorio ho giocato a tutto: calciobalilla, ping pong, basket e soprattutto calcio. Il campo era un po’ spelacchiato e da 7 contro 7, ma in realtà giocavano tutti quelli che c’erano». Non vuole dirlo ma era il più bravo, tanto che lo «ingaggiò» la Settalese. E viene dall’oratorio anche Luisa Corna, che alla parrocchia di Palazzolo (Brescia) ha imparato a «stare sul palco», e quest’inverno si è trovata su quello del teatro Ariston di Sanremo: «Avevo 6 o 7 anni - dice - don Lino suonava il piano e ci insegnava a cantare. Era la cosa che mi divertiva di più. Il mio cavallo di battaglia era "Romagna mia", ma ballavo anche il Charleston».

Mario Porqueddu


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Date: 17 Jul, 2002 on 07:15
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