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Compiti delle vacanze ieri e oggi
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1. Compiti delle vacanze ieri e oggi
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da La Stampa
Lunedì, 15 Luglio 2002

Compiti delle vacanze ieri e oggi

TRA qualche settimana, se non addirittura prima, comincerà la corvée estiva dei «compiti delle vacanze». Durante le ore calde del giorno, genitori e figli saranno impegnati con libri, quaderni, penne, pennarelli, matite colorate e l'immancabile gomma da cancellare. Comincerà un tormentone che, con alti e bassi, li accompagnerà fino alla prima settimana di settembre, quando i meno volonterosi e i più pigri cercheranno di recuperare il tempo perso a marce forzate prima del fatidico inizio delle lezioni. I compiti delle vacanze sono diventati un rito immancabile dell'estate, non solo per i bambini delle elementari e per i loro genitori, ma anche per i ragazzini più grandi che i compiti li fanno da soli, salvo poi sottoporsi recalcitrando al controllo degli adulti. Più in generale il problema dei «compiti a casa» è una questione che le famiglie italiane si pongono ogni anno e che è causa di continue incomprensioni, veri e propri scontri talvolta, tra insegnanti e genitori, tra ragazzi e adulti. Un insegnante francese, Philippe Meirieu, padre di quattro figli, divenuto direttore di un importante istituto di ricerche pedagogiche, ha pubblicato due anni fa un volumetto che è stato da poco tradotto in italiano con un titolo e sottotitolo molto esplicativi: I compiti a casa. Genitori, figli, insegnanti: a ciascuno il suo ruolo (Feltrinelli, tr. it. Luisa Cortese, 118 pagine, 9 euro). L'idea da cui parte Meirieu è lampante: con l'espandersi dell'istruzione pubblica in Occidente, il bambino è passato dal controllo diretto della famiglia a quello della istituzione scolastica. Questo non ha risolto i problemi, semmai li ha complicati, perché la famiglia è senza dubbio il riferimento essenziale e deve continuare a «proteggere» i bambini, senza tuttavia rinchiuderli in un ambito ristretto né arrogarsi il diritto di deciderne il futuro. Nonostante ciò è perfettamente legittimo, scrive l'autore, che i genitori cerchino di fornire ai propri figli il maggior numero di opportunità per migliorare la propria posizione sociale e, come hanno accertato molte inchieste, il miglior modo per farlo è quello di differire più a lungo possibile il momento della scelta professionale irreversibile. Perciò non bisogna biasimare quelle famiglie che dedicano tempo, denaro ed energie per migliorare il successo scolastico dei propri figli. In democrazia gli interessi individuali hanno una loro legittimità, afferma Meirieu, e non devono essere screditati a priori. In questo quadro il problema dei compiti a casa diventa, almeno per una buona parte dell'infanzia e dell'adolescenza, un problema centrale. Le scuole in Francia, ma non solo lì, funzionano ancora secondo un modello ecclesiastico: un chierico che predica dall'alto della cattedra e una classe di discenti che ascolta. Gli insegnanti affidano gran parte dell'assimilazione dei contenuti didattici allo studio personale da svolgersi a casa. La scuola non assomiglia, come dovrebbe, a un'officina o un laboratorio artigiano, bensì alla navata di una chiesa, quella del sapere. I compiti a casa sono la principale fonte dell'ineguaglianza: «ineguaglianza della condizioni abitative, ma anche e soprattutto dell'ambiente famigliare e culturale». Il successo scolastico dipende, in genere, dal retroterra famigliare degli studenti. Democratizzare la scuola significherebbe realizzare studi assistiti, controlli individualizzati, sostegni da condurre sia nelle ore di lezione sia al di là di queste. In Italia, nella scuola elementare, questo accade con una discreta frequenza, e l'istituzione della figura della doppia insegnante (sono nella maggioranza donne) ha anche questo scopo: si lavora soprattutto a scuola. Alle medie e alle superiori non è già più così. L'apprendimento è altrettanto importante dell'insegnamento, e il primo funziona senza dubbio per osmosi. Gli insegnanti sono oggi i veri professionisti dell'apprendimento, per questo è necessario che nelle scuole si creino spazi destinati a «imparare la lezione», a svolgere i compiti, a ripassare una verifica o un compito scritto. A scuola, scrive provocatoriamente l'autore di I compiti a casa, «si deve imparare a fare a meno della scuola», e per riuscirci bisogna fare lì, dove si è più seguiti, i «compiti». Ma poiché, come sappiamo bene in prima persona noi stessi, questo ancora non è accaduto e non accade, Meirieu fornisce consigli pratici per facilitare i rapporti tra genitori e figli riguardo lo studio a casa che vengono utili per chi questa estate insieme ai propri figli dovrà aprire i «libri delle vacanze». Primo consiglio (che vale in generale): non considerare il successo dei figli una dimostrazione d'affetto (o anche il contrario). Secondo: non trasformare un insuccesso scolastico in un dramma. Vale anche per l'estate: con le maniere forti (urli, sberle, minacce, ma anche con il contrario: le promesse) non si ottiene nulla. Terzo: spesso il rifiuto dello studio e l'esigenza di un aiuto celano una richiesta affettiva: bisogna separare questa domanda dai problemi scolastici. Il mancato studio è sovente il sintomo di un male (spesso affettivo) che bisogna curare. Quarto: non collegare il lavoro scolastico con il lavoro tout-court, quello che si farà da grandi: «Se non studi oggi... non diventerai mai un veterinario!». Quante volte capita agli stessi insegnanti di sollecitare i propri allievi allo studio collegando il successo economico nella vita allo studio stesso? E quante volte lo studio viene paragonato all'amaro calice che occorre bere per diventare grandi? Il simbolico è molto più potente dell'utilitaristico, ci dicono gli antropologi, e del resto lo constatiamo noi stessi nella vita quotidiana. E questo è vero anche nell'apprendimento: la matematica non serve solo a fare i conti a fine mese, ma risponde anche a quesiti sull'infinito, sui paradossi logici. L'apprendimento è un problema davvero complesso. Non esistono due persone che imparano nello stesso modo; per questo quando facciamo fare i compiti ai nostri figli, o controlliamo che abbiano imparato la lezione, dobbiamo tenere presente questo aspetto. Ognuno deve trovare il proprio «stile cognitivo» che è costruito da almeno cinque fattori: il tempo (studiare velocemente in un arco di tempo molto breve, oppure il contrario); lo spazio (studiare bene in un ambiente rumoroso e ostile, oppure cercare il contrario); gli altri (studiare con altri discutendo anche i contenuti, oppure studiare da soli); gli strumenti di studio (ripetere a memoria, oppure rileggere il testo, o ricorrere agli appunti). Lo stile cognitivo è collegato a quella che viene definita la «personalità metodologica» che non è fissata una volta per tutte, ma è in continua trasformazione, soprattutto nell'adolescenza. Tutti noi abbiamo constatato come il luogo dove si fanno i compiti è fondamentale; ci sono bambini che hanno bisogno di avere davanti a sé il piano di lavoro libero, l'astuccio aperto, oppure solo una penna, la matita e una gomma per cancellare. Alcuni amano lavorare isolati, altri in compagnia degli adulti. La prossemica è sempre decisiva. Così ci sono ragazzi che sviluppano una memoria auditiva («si ricordano solo quello che sentono e, quando ragionano, riascoltano la lezione e parlano nella loro testa»), mentre altri sono «visivi» (rivedono le cose viste sulla carta e le riproducono). Il pedagogista Jerome Brunner ha differenziato quelli che imparano prima di tutto l'insieme, mediante un rapido excursus, per poi ritornare a considerare ogni singolo elemento che lo compone, da altri che invece devono studiare a fondo ogni elemento prima di passare a quello seguente e si formano un'immagine dell'insieme attraverso questo procedimento progressivo. Non esiste un metodo di studio migliore di un altro; anche nel ripasso delle lezioni, croce e delizia dello studio a casa, è difficile trovare il proprio ritmo, e una volta che lo si è messo a fuoco è faticoso riadattarlo: ripassi tutta la lezione o te la sento a pezzi? Imparare una lezione è una delle cose più difficili del mondo, così ripassare una lezione è molto complicato. Tutti sono stati studenti, molti se ne ricordano, pochissimi lo restano per il resto della propria vita, eppure non si finisce mai d'imparare! Meirieu, da vero insegnante, ci ricorda di non dimenticarci di essere ancora studenti, ma di non fare gli studenti con i nostri figli: a ciascuno il suo ruolo. Lezione difficilissima da imparare, ma come spesso accade con le cose difficili, utile e giusta.

Marco Belpoliti

Margherita Oggero: «Un´ipocrisia»
La scrittrice ex professoressa: «A settembre chi corregge davvero le fatiche degli allievi?»

DICI compiti delle vacanze, e Margherita Oggero ripete meccanicamente i primi versi d´una poesia che, sotto l´ombrellone, non volle imparare mai fino in fondo, «Pei putti brutti e per le citte che non stan zitte...». Erano gli anni 50, l´ex professoressa torinese autrice del romanzo di ambientazione scolastica La collega tatuata (Mondadori), che in autunno diventerà un film, frequentava le elementari. «Si usavano i libri delle vacanze - ricorda -, una specie di diario con gli esercizi, lunedì il problema di matematica col solito rubinetto che perde, martedì il tema sulla giornata in spiaggia, mercoledì grammatica». Si usano ancora: quest´anno, tra creme protezione venti e cuscini sottotesta gonfiabili, spuntano dalla sacca delle mamme volumetti tipo Scooter, cruciverba, giochi con le parole mancanti, «metti il verbo al posto giusto: io mangeremo, tu mangerà, egli mangerò». Chiamali come vuoi: son sempre compiti delle vacanze. «Un´ipocrisia», secondo la scrittrice arrivata al successo in coincidenza con la pensione, dopo decenni di insegnamento nei licei, «non ho mai visto una "profia" che a settembre correggesse per intero le fatiche estive degli studenti». Tanto che lei, quando dai banchi è passata in cattedra, non ne ha assegnati mai. «Consigliavo delle letture, quello sì - racconta -, La metamorfosi di Kafka, Guerra e pace di Tolstoj, spy-story per i distratti». In ferie a Borgio Verrezzi, la Oggero sta correggendo le bozze del suo secondo romanzo - «quando sei in pensione i mesi dell´anno sono tutti uguali» - ma è convinta che il tempo dello studio e quello del riposo vadano tenuti divisi. «Ad agosto i ragazzi oliano i muscoli. Ora che il debito formativo ha spazzato via l´esame di riparazione alle superiori, non ci sono neppure più i forzati del ripasso estivo». I compiti delle vacanze, a detta dell´ex professoressa torinese, «restano un onere dei più piccini, quelli che sospirano il passaggio alla prima media, quando la maestra non distinguerà più tra diligenti e no». C´è chi compila l´erbario raccogliendo in un quaderno le foglie delle passeggiate coi genitori, chi, come sua figlia Tuccia, oggi trentunenne, «compone inutili pensierini sulla famiglia tipo "La mamma è grassa", me lo ricordo ancora: la sua prima produzione letteraria».

Francesca Paci


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Date: 15 Jul, 2002 on 07:51
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