DUE INDAGINI (POCO VERITIERE) SUI NOSTRI RAGAZZI
Foto di giovani idioti

di Vincenzo Cerami

IN questi giorni sono stati resi noti i risultati di due importanti indagini sui ragazzi italiani. La prima è stata eseguita dalla McCann-Erikson (la più importante agenzia pubblicitaria del mondo) e ha avuto come oggetto di studio i ragazzi dai 18 ai 24 anni; l'altra dal nostro Censis (per conto dell'Osservatorio europeo sui giovani) si è occupata di giovani che vanno dai 18 ai 30 anni. I due studi giungono a conclusioni analoghe e del tutto risapute: i nostri figli sono superficiali, smemorati, narcisisti, massificati, abulici; amano vivere in casa e accettano volentieri lo stato delle cose; si mostrano estranei alle questioni della cosa pubblica (solo il 2,3 per cento è interessato alla politica) e quasi la metà pratica la religione.

In comune hanno il desiderio di una maggiore libertà di fare ciò che si vuole (e quindi di avere più disponibilità economiche) e un'incontrollata spinta a volersi riconoscere con un'identità propria e irripetibile. Si nota anche che il «giovane adulto» non è portatore di esigenze e bisogni diversi dal ragazzino. Anch'egli, il trentenne, non lascia volentieri la casa paterna e quando lo fa va ad abitare a non meno di un chilometro dalla mamma, la quale continua a lavargli le camicie e ad accudirlo. Come si vede, niente di nuovo sotto il sole. Le due fotografie fanno piovere sul bagnato.

La campionatura scelta per le indagini sarà stata sicuramente corretta, anche se la McCann-Erikson, per vocazione, cerca nell'area dei possibili consumatori e il Censis quasi mai tradisce la sua vocazione al giudizio pacato e rassicurante. Nel leggere i dati pubblicati dai due istituti si ha comunque l'impressione che i giovani di cui si parla abitino tutti nei centri storici delle città benestanti. È come se in Italia periferie, Sud e degrado non esistessero. Dati sulla marginalità, sui suicidi giovanili, sugli inferni famigliari, sull'abbandono (diffuso in molte aree) della scuola dell'obbligo, sulle mitologie e conflittualità urbane, sul consumo di droghe varie, sulla disoccupazione, sulle decine di miliardi di euro che formano il grande mercato nero della criminalità (fonte principale di reddito per centinaia di migliaia di persone), sul fenomeno del consumo sessuale di strada (siamo tra i primi nel mondo): nei due studi non se ne fa cenno.

Eppure in Italia, ogni anno, vengono denunciati circa 3 milioni di reati. Possibile che a tutto questo i giovani siano totalmente estranei? Francamente qualche sospetto sulla scientificità della campionatura scelta viene spontaneo. E sicuramente dal quadro che vien fuori dei nostri giovani non si riesce ad avere un'idea neppure vaga della nostra società, come se quei ragazzi non ne facessero parte. Anzi, come fossero tutti scemi, felici ma beoti. Forse, più che nella rappresentatività della campionatura qualcosa non funziona nel metodo d'indagine. Ad esempio l'intervista al giovane è sicuramente l'approccio più sbagliato perché il più menzognero.

Così come sono poco indicative le analisi delle riviste, dei siti web più visitati dai giovani o dei prodotti che di più usano. Ci si chiede se può essere credibile un rapporto su una parte della società senza farlo precedere dalla descrizione obiettiva del quadro generale in cui essa si inscrive. Queste due indagini ci dicono che i giovani italiani sono idioti, e basta. Ma non è vero affatto. Vivono nella complessità più di quanto si voglia far credere. E sono proprio la complessità e la vitalità del mondo di oggi che non fanno da background a queste due indagini. Al ritratto di quei giovani manca lo sfondo, l'habitat contraddittorio e spesso drammatico della nostra realtà.