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La Capria: io, ferito a morte dalla letteratura
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1. La Capria: io, ferito a morte dalla letteratura
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da Il Corriere della Sera
Domenica, 16 Giugno 2002

CONFESSIONI Lo scrittore, che a ottobre compirà 80 anni, si racconta in due libri. E spiega perché al romanzo preferisce il saggio

La Capria: io, ferito a morte dalla letteratura
Dal capolavoro del ’61 alle prose di oggi, i segreti di un protagonista

«Guaglio’, tu hai letto troppi libri», ripeteva il nonno, preoccupato che l’anima cortese del ragazzo non resistesse agli urti della vita. Invece quella gentilezza ha accompagnato Raffaele La Capria fin sulla soglia degli ottant’anni, rivelandosi un efficace antidoto contro i soprassalti del destino e la volgarità del quotidiano. E i tanti (mai troppi) libri masticati e digeriti nel corso dell’esistenza, hanno costruito un’impalcatura culturale del tutto anomala nel panorama letterario italiano. Quella stessa implacatura che oggi viene messa a nudo in due preziosi volumi: Letteratura e libertà , edito da Quiritta, restituisce i frutti d’una lunga conversazione fra lo scrittore napoletano e il critico Emanuele Trevi; Me visto da lui stesso , una raccolta d’interviste curata da Silvio Perrella e pubblicata da Manni. Basterebbe il titolo del primo libro a disegnare il profilo di un’avventura intellettuale che ha scelto la curiosità, e non l’ideologia (politica o culturale), come suo unico punto cardinale. Fin dall’inizio. «A casa mia, non c’era nemmeno un libro - racconta La Capria -. La prima biblioteca l’ho formata io, con i libri della Utet. Pensa che iniziai a leggere Edgar Allan Poe perché mi incuriosiva il nome». Navigando lungo questa rotta, lo scrittore sostiene d’aver capito che «uno dei maggiori difetti degli italiani, non solo degli uomini comuni, ma anche degli intellettuali più generosi e raffinati, è quello di pensare in grande rimanendo , nonostante la grandezza dei pensieri, piccoli », perché «in nome di un’ideologia si riusciva con poche frasi a mettere a posto mezzo mondo, tralasciando la relatività e la complessità di tutte le cose che accadono». Alla logica ideologica , che è la «pratica dell’astrazione concettuale», La Capria contrappone quindi quella che Goffredo Parise (l’autore italiano forse da lui più amato) chiamava la logica elementare .
«Cerco di non far sentire al lettore l’autorità intellettuale incombente di chi sta riferendo propri pensieri - si legge nelle pagine curate da Silvio Perrella -. Anche per questo, intervallo le riflessioni con racconti sullo stesso tema, cercando di rendere in qualche modo il senso di una verità. Oggi mi sembra siano tutti occupati a scrivere romanzi, dove in definitiva cambia un poco soltanto la storia... In questi romanzi ci sono pochi pensieri. Allora, da queste considerazioni e dalla mia voglia invece di dirli questi pensieri, di dirli nella accalorata maniera in cui li si può dire in un romanzo, è nato il mio stile saggistico-narrativo».
E dire che spesso Duddù (come lo chiamano gli amici) viene ricordato quasi fosse l’autore di un solo romanzo, quel Ferito a morte che nel ’61 gli regalò un’improvvisa fama insieme alla conquista (per un solo voto in più) del Premio Strega.
«La consapevolezza della stupidità delle cose che mi circondavano, rimanendo sempre lucida - spiega rievocando la stesura del suo capolavoro - mi ha suggerito di complicare e rendere sempre più problematico e raffinato, quasi per una compensazione, il modo di descriverle: l’organizzazione dei piani del racconto, le strutture della rappresentazione. Ferito a morte fu il raggiungimento di questo strano equilibrio: alla povertà del materiale, delle situazioni umane di cui parlavo (l’infantile dissipazione di una giornata trascorsa al Circolo Nautico) si contrapponeva la ricchezza della mia scrittura, che non si distaccava da quel materiale "povero", ma voleva rivelarne nuovi aspetti attraverso un accanito lavoro formale».
Durante la conversazione con Trevi, La Capria affronta sovente il tema del «doppio», facendone l’architrave della sua ricerca stilistica e culturale. «Io ho sempre immaginato un altro me stesso che sosteneva idee completamente opposte alle mie - sottolinea -. Mi piaceva addirittura figurarmelo , questo altro me stesso, perché tutte le domande che mi poneva mentre scrivevo richiedevano, provenendo da qualche parte di me, una pronta risposta». Ma l’altro , l’opposto, Duddù se l’è ritrovato a fianco anche in famiglia: difficile, infatti, immaginare qualcuno più diverso da lui del fratello Pelos, il Ninì di Ferito a morte , morto pochi mesi fa. «Era lieve e svagato, pieno di verve, inventava continuamente la sua vita e il suo linguaggio», confessa lo scrittore, mettendo a fuoco un personaggio che rappresentava «la napoletanità più civile», quell’impasto di leggerezza e ironia che segnò una generazione nel dopoguerra e diede lo spunto a Vittorio Caprioli per Leoni al sole , splendido (quanto dimenticato) film. Chi era Pelos? Si potrebbero snocciolare decine di aneddoti e di storie su di lui. Ma ne basta una, l’ultima. Affidata alla voce del fratello: «Proprio alla fine, gli restava ormai meno di un’ora di vita, vedendomi stravolto perché lui non ce la faceva a respirare e io non sapevo come aiutarlo, mi dice, sempre con quel suo sorriso strafottente: "Duddù, ti serve qualcosa?"».


I libri: Raffaele La Capria, «Letteratura e Libertà» - Conversazioni con Emanuele Trevi, edito da Quiritta (pagine 91, euro 11,40). Raffaele La Capria, «Me visto da lui stesso - Interviste 1970-2001», edito da Manni (pagine 208, euro 13).
Enzo d’Errico


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Date: 16 Jun, 2002 on 08:46
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