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L´UNIVERSO è un videogioco
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da La Stampa
Venerdì, 14 Giugno 2002

STEPHEN WOLFRAM RIVOLUZIONA LE TEORIE DELLA FISICA CON UN LIBRO: DA WALL STREET AL COSMO, TUTTO SI SPIEGA CON UN SEMPLICE PROGRAMMA PER COMPUTER

L´UNIVERSO è un videogioco

NEW YORK JOHN Nash avrà pure una bella mente, così come Newton e Einstein, ma il problema è che l'hanno usata tutti nel modo sbagliato. Davanti ad una provocazione del genere, la maggior parte delle persone di buon senso volterà pagina. Non sapremmo come biasimarle. Per quelle che invece hanno avuto la sfrontatezza di resistere fino a questa riga, bisogna chiarire cosa stiamo dicendo: qui si parla del cervello che rivoluzionerà il pensiero umano, oppure della più grande fregatura mediatica degli ultimi vent'anni. Tale cervello arrogante è montato sul corpo di Stephen Wolfram, autore del libro A New Kind of Science, a cui appartiene la provocazione iniziale. Ignorare il nome di Wolfram è legittimo per il lettore non specializzato, ma è un crimine per qualunque fisico e matematico. Lui è il prototipo dello scienziato pazzo e del bambino prodigio, e la sua vita contiene tutto quello che vi potreste aspettare da un romanzo simile. E' nato a Londra nel 1959, da padre scrittore e madre professoressa di filosofia all'università di Oxford. All'età di 13 anni aveva vinto una borsa di studio per il prestigioso college di Eton, dove crescono anche i reali di Gran Bretagna. Rispettando il motto che vuole la mente sana nel corpo sano, negli intervalli tra gli studi lo costringevano a giocare pure al cricket. Lui allora fece una ricerca statistica per individuare i punti del campo dove era meno probabile che la palla lo trovasse, e li si appollaiava a leggere libri. Risultato: a 15 anni pubblicò il suo primo articolo scientifico, sulle particelle subatomiche. A 17 anni Eton era già diventata troppo piccola: Stephen scriveva per il giornale Nuclear Physics, e Oxford se lo portò via. Al primo anno di università lavorava nel Theoretical High-Energy Physics Groups dell'Argonne National Laboratory, e durante l'estate, tanto per distrarsi, scrisse un articolo sulla heavy quark production che sarebbe diventato un classico del settore. Dodici mesi dopo anche Oxford era diventata troppo stretta, perché il prestigioso California Institute of Technology gli aveva offerto di saltare la laurea e passare direttamente al Ph.D. A Stephen bastò un anno per completare il dottorato, e nel 1980, quando a mala pena aveva raggiunto l'età legale per bere una birra, era già membro della facoltà di Caltech in qualità di docente. Come se non bastasse, l'anno dopo era diventato il più giovane vincitore del MacArthur Prize Fellowship, un premio che allora valeva 128.000 dollari, e viene assegnato ai geni affinché possano lavorare senza preoccupazioni economiche. Da notare che la motivazione non faceva riferimento a qualche suo progetto particolare, ma semplicemente «all'ampio respiro del suo pensiero». A quel punto Stephen fece l'incontro che avrebbe cambiato la sua vita: un videogioco di nome Life. Lo aveva creato come passatempo il matematico di Cambridge John Conway. Era un semplice programma per computer, che dava ad alcuni quadratini bianchi e neri delle regole facili facili secondo cui spostarsi, per creare modelli grafici. Uno scherzo, diremmo noi. No; il fondamento delle «cellular automata», disse Stephen, ossia il segreto della Chaos Theory e la chiave per scoprire il funzionamento dell'universo. Ci torneremo sopra tra un attimo, perché qui sta il succo della storia. Prima però dobbiamo sfatare un pregiudizio, perché a questo punto vi sarete convinti di stare davanti al solito secchione noioso con la testa fra le nuvole. Ebbene nel frattempo, verso la metà degli anni Ottanta, Wolfram era passato da Caltech all'Institute for Advanced Study di Princeton, patria adottiva di Einstein, e poi alla University of Illinois, lavorando al progetto «Mathematica». Si trattava di un programma per sbrogliare i calcoli più complicati, riuscito così bene che nel 1988 Stephen decise di mollare l'università e fondare la sua compagnia per venderlo. Ne piazzò milioni di copie, dalla Helene Curtis che lo usava per simulare il comportamento delle molecole nello shampoo, agli scienziati che studiavano i ritmi riproduttivi dei leoni marini in Alaska. Quando uno scrive un programma che va a ruba diventa ricco sfondato, e infatti la compagnia di Wolfram è ancora in piedi, con un fatturato annuo di circa 50 milioni di dollari. Lui, insomma, non dovrà mai più preoccuparsi dei soldi per il resto della sua vita. Questo ci riporta alle cellular automata, perché nel 1991 il benessere consentì a Stephen di tornare al primo amore: la ricerca scientifica pura. A differenza dell'inventore dello scooter Segway, Dean Kamen, che vive da solo in uno sconfinato magazzino del New Hampshire, Wolfram nel frattempo si era sposato con una studiosa di matematica e avevano messo al mondo tre figli. Aveva scelto come casa un ghetto di Chicago, e li si era ritirato a pensare. La sua giornata cominciava verso l'ora di pranzo, quando finalmente si svegliava. Nel pomeriggio, per un paio d'orette, gestiva la propria compagnia via e-mail, e poi cominciava a lavorare alla sua idea grandiosa sulla chiave dell'universo, fin verso le cinque del mattino. Così tutti i giorni, in completo isolamento dal resto del mondo, per oltre dieci anni. A gennaio scorso è riemerso, con in mano il prodotto di tanta fatica: un libro di 1.263 pagine, che secondo lui rivoluzionerà il pensiero umano. Il punto di partenza di A New Kind of Science è che le equazioni, a cui erano tanto affezionati Einstein e compagnia, vanno bene per spiegare fenomeni come la gravità o la rotazione dei pianeti, ma falliscono miseramente quando si entra in campi più complessi come il funzionamento dell'universo, lo sviluppo degli uragani, e persino il comportamento di Wall Street. La risposta a tanta complessità, secondo Wolfram, sta nella semplicità di un programma basilare per computer. Basta dare qualche piccola regola di movimento ad alcuni quadratini bianchi e neri, e loro si evolvono da soli in modelli intricatissimi ed affascinanti. Lui ha provato centinaia di ipotesi al computer, come la prediletta «Regola 30», documentate poi con grafici bizantini. E ha trovato conferme empiriche nella natura, ad esempio nel disegno sulla superficie delle conchiglie Textile Cone Shell, che ripercorre proprio le linee di un suo esperimento grafico digitale. L'universo, insomma, funzionerebbe come un semplicissimo programma di computer, che applicando all'infinito poche regolette basilari produce la sorprendente complessità della vita. Nella sua nuova scienza, secondo Wolfram, non c'è posto per Dio. Ma questo - dice il suo amico e ricercatore della IBM Gregory Chaitin - è opinabile, perché una volta svelato il segreto, all'origine del programmino puoi metterci chi vuoi. Secondo i colleghi scettici e magari un po' invidiosi, come il fisico Freeman Dyson, Stephen è vittima di un'abituale sindrome senile degli scienziati, che in quanto bambino prodigio l'ha colpito con un po' di anticipo: inventare qualche teoria tanto grandiosa quanto improbabile, quando l'orologio biologico comincia ad esaurire la carica. Per gli amici e seguaci, invece, sta solo dimostrando un famoso detto di Einstein, secondo cui la cosa più incomprensibile dell'universo è che è comprensibile. Forse.

Paolo Mastrolilli


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Date: 14 Jun, 2002 on 07:08
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