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Una macchina «fotografa» le nostre emozioni
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1. Una macchina «fotografa» le nostre emozioni
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da Il Corriere della Sera
Sabato, 25 Maggio 2002

Si chiama «risonanza magnetica funzionale». L’obiettivo è allestire una mappa del cervello. Già 400 richieste di studiosi di tutto il mondo

Una macchina «fotografa» le nostre emozioni

Riconosce gli stati mentali e le caratteristiche psicologiche. I dubbi degli esperti: a rischio l’intimità delle persone


MILANO - La chiamano «risonanza magnetica funzionale per immagini» ed è una macchina capace di fotografare una varietà di stati mentali, comprese le emozioni. Ma anche tratti specifici della personalità come la tendenza all’aggressione. Da poco è apparsa sulla scena della ricerca e con essa si sta aprendo la nuova frontiera dello studio del cervello. Con un ambizioso obiettivo: costruire una «mappa funzionale cerebrale» analoga per certi aspetti alla mappa genetica dell’uomo. Per arrivare a questo scopo da un paio d’anni due ricercatori, John Van Horn e Michael Gazzaniga, del Dartmouth College di Hanover nel New Hampshire, hanno creato un database , una banca dati con immagini di cervelli raccolte con la risonanza magnetica funzionale e che sono aperti a condividere con altri scienziati per aiutare lo sviluppo della nuovissima branca di indagini. E finora - come riferisce la rivista britannica The Economist - sono già 400 gli studiosi di varie parti del mondo che hanno avanzato richieste di collaborazione. Le immagini vengono alterate nelle caratteristiche somatiche per evitare il riconoscimento del soggetto. Sarà attraverso questi nuovi studi che si potranno scoprire i misteri più profondi sul funzionamento del nostro cervello rimasto in gran parte un pianeta inesplorato. Notevoli sono gli interessi in questa direzione. Da una parte ci sono i ricercatori impegnati nel decifrare i meccanismi di base, cioè spiegare quali siano i legami tra la fisiologia e le manifestazioni della mente. In secondo luogo vi è l’interesse medico rivolto a trovare il modo di curare le patologie della mente. E infine vi è la ricerca da parte della farmacologia di conoscere questi processi per mettere a punto terapie adeguate.
Ma eventuali scoperte in questo campo delle neuroscienze possono avere implicazioni etiche, legali e di privacy in generale facilmente immaginabili. Trovare che una certa predisposizione dell’individuo all’aggressione o alla violenza ha una precisa base biologica sulla quale poter intervenire pone una serie di domande alle quali oggi non c’è risposta.
Se da una parte la nuova prospettiva di ricerca entusiasma gli studiosi del cervello, altri sono più preoccupati per le conseguenze sociali che ne possono derivare. «Le conoscenze ottenute su questa strada non finiranno per ridurre l’accettabilità di un individuo?» si chiede Erik Parens dell’Hastings Centre di New York.
«Le bioimmagini ci permettono solo di stabilire una relazione tra l’evento fisiologico e mentale - spiega il professor Mauro Mancia, neurofisiologo dell’Università di Milano - ma non ci dicono nulla come un evento fisiologico diventi mentale, cioè non spiegano le cause della manifestazione che si fotografa. Oggi simili strumenti e ricerche sono prigionieri di questo limite. Si potrà anche arrivare a realizzare una mappa funzionale del cervello, ma bisogna stare attenti ai rischi, perché si può porre il presupposto di un furto di identità».
Le «neurotecnologie» come la risonanza magnetica funzionale sono in grado di contribuire al miglioramento del genere umano, sostengono alcuni scienziati. Ma altri rispondono che potranno anche accentuare negativamente le differenze fra gli individui esponendoli a rischi gravissimi personali e sociali di cui bisogna invece preoccuparsi.
Intanto negli Stati Uniti cercano di applicare il nuovo strumento nei tribunali per capire se l’imputato afferma il vero o il falso. Anche dire la verità accende certe zone del cervello fotografabili che altrimenti resterebbero buie. E’ la nuova macchina della verità ed è solo un primo passo.

Giovanni Caprara


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Date: 25 May, 2002 on 09:42
Una macchina «fotografa» le nostre emozioni
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